Le Lettere Triestine di Slataper

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Gli esordi su La voce di un intellettuale borghese apolide della sua classe, almeno fino al richiamo all’ordine esercitato dall’interventismo

di Walter Chiereghin

 

«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possedette parte sancti Benedicti»: conosciamo tutti – o almeno dovremmo – il Placito capuano, la prima documentazione di un volgare italiano, probabilmente la più antica testimonianza scritta della nostra lingua.

Se mi si passa il paragone, che in effetti riconosco un po’ forzato, le Lettere triestine di Slataper costituiscono per la cosiddetta letteratura triestina qualcosa di analogo alla veneranda testimonianza riportata in volgare in un documento processuale redatto in latino nel marzo del 960. Non che in precedenza non si fosse manifestata a Trieste, e ai massimi livelli, un’attività letteraria che in seguito verrà iscritta di forza nella visione di Pietro Pancrazi relativa a una specificità della letteratura triestina in lingua italiana. Infatti Italo Svevo, quando comparvero nel 1909 le Lettere slataperiane, aveva pubblicato già da anni i primi due suoi romanzi, ma essi erano passati quasi del tutto inosservati. Comunque, perché si determinasse il fenomeno degli anni d’oro delle lettere triestine, si dovette coagulare una comunità di giovani scrittori e intellettuali che proprio attorno alla Lettere triestine e alla Voce, la rivista che le ospitò, attorno soprattutto al loro autore, investito di un eccezionale carisma nonostante avesse poco più di vent’anni, esercitarono i rispettivi talenti sulla base di alcuni tratti comuni che li distinsero dal panorama culturale altrimenti polveroso della città e dell’area giuliana dalla quale provenivano.

È adesso di una Casa editrice romana, Historica, l’iniziativa di ristampare le Lettere triestine, curate da Fulvio Senardi, che firma anche il breve saggio posto a prefazione del volumetto. In esso, lo studioso triestino tratteggia un sintetico ritratto di Slataper, propedeutico ovviamente all’approfondimento dei contenuti delle Lettere. I cinque articoli che furono pubblicati sul settimanale, in definitiva, costituiscono un’acuta e talvolta irridente narrazione della realtà soprattutto culturale osservata attraverso una lente di ingrandimento impugnata dal giovanissimo intellettuale arrivato a Firenze e subito folgorato dalla rivista di Prezzolini. A lui Slataper indirizzò nel gennaio del 1909 una lettera con la quale offriva la propria collaborazione, per la diffusione del giornale, proponendo contestualmente dei contributi a sua firma che controbilanciassero l’offerta di diffusione a Trieste della rivista con una corrispondenza informata sulla realtà politica e culturale della città giuliana: «Avrei piacere la mia città – tagliata fuori dalla vita intellettuale del regno – conoscesse la Voce. E forse anche a voi non dispiacerebbe l’esposizione delle principali condizioni nostre in fatto di arte e di scienza. Che le pare?». Da quella lettera e dall’incontro che di lì a pochi giorni ne seguì, nacque immediatamente una solida amicizia che facilitò la cooptazione del giovanissimo Slataper nel gruppo dirigente della prestigiosa rivista fiorentina.

Le Lettere costituirono anche la prima e più approfondita analisi della natura e dei limiti della cultura della città cresciuta turbinosamente in senso economico e demografico, ma attardata invece sotto il profilo culturale e segnatamente letterario.

Senardi, nella sua nota introduttiva, definisce lo Slataper autore di quegli articoli «un intellettuale borghese apolide della sua classe, almeno fino al richiamo all’ordine esercitato dall’interventismo», ma è cosa, quest’ultima, che avverrà anni dopo: ciò di cui stiamo parlando avvenne invece nel 1909.

Nei (pochi) anni che hanno preceduto il periodo fiorentino dello scrittore, coincidenti grossomodo a quelli dei suoi studi presso il Liceo ginnasio comunale, il giovane triestino aveva vissuto in una città dove imperava una maggioranza italiana, irredentista, guidata dal partito liberal nazionale che tendeva saldamente le redini dell’amministrazione comunale, insidiato in ciò da un forte partito socialista, di ispirazione chiaramente internazionalista, ma soprattutto impegnato a contrastare con ogni mezzo una comunità slovena in ascesa sia numerica che socio-culturale, percepita come antagonistica rispetto ai valori di italianità enfaticamente sostenuti dai nazionalisti di lingua italiana.

Slataper, che in un suo soggiorno carsico aveva avuto modo di conoscere da vicino la comunità slovena storicamente installata in tale territorio, vicino alle posizioni espresse in città dal Circolo di Studi Sociali d’ispirazione socialista, che non condivideva l’impostazione xenofoba dei liberal nazionali, per di più si valeva di una retorica di stampo carducciano quando Carducci era ormai scomparso due anni prima. Il progetto era di dar luogo a una sorta di “irredentismo culturale” che, tra l’altro non affermasse la necessità di por fine alla dominazione asburgica in relazione alle esigenze economiche della città e del suo porto. «Ci vuole qualcosa di nuovo: la difesa dell’italianità di Trieste – mai messa in dubbio – si può ottenere solo attraverso un’opera di rifondazione culturale che passi attraverso il riconoscimento della verità della situazione contingente» (L. Tommasini, Slataper tra irredentismo e nazionalismo, in Il Ponte rosso “speciale Scipio Slataper”, 3 dicembre 2015, pp. 20 e segg.).

Propedeutica a tale rifondazione culturale era innanzitutto, nella visione del giovane polemista, una disamina sulla cultura triestina e delle sue istituzioni nel primo decennio del Novecento, e lo strumento che individuò erano appunto i cinque articoli delle Lettere triestine, il primo dei quali – dal titolo Trieste non ha tradizioni di coltura, assai poco diplomatico – viene pubblicato sulla rivista l’11 febbraio 1909. Era, fin dal titolo, un pugno allo stomaco per i notabilato della città irredenta e suscitò, com’era logico aspettarsi, un vespaio di risentite confutazioni da Trieste, delle quali tuttavia il giovane neo-redattore della rivista non si curò, portando a compimento per intero il suo progetto editoriale con i successivi quattro articoli, una logica prosecuzione dei quali si ebbe nei mesi successivi.

Opportuna la ripubblicazione delle Lettere, nelle quali il lettore di oggi può trovare elementi di estremo interesse non soltanto dal punto di vista storico, ma anche da quello della comprensione di molti elementi della realtà attuale; bisognerà attendere il 1982, con la pubblicazione di Trieste. Un’identità di frontiera di Angelo Ara e Claudio Magris per avere a disposizione uno strumento interpretativo della realtà giuliana di così ampia visuale.

Il «vivace slancio polemico […] che brucia senza risparmiare nessuno», come rileva Senardi, renderà anche piacevole la lettura per l’irridente ironia che viene posta nell’esaminare i “mezzi di coltura”. Magari trovando collegamenti diretti con la realtà odierna, ove si pensi ad esempio alla Biblioteca Civica, che da dieci anni ormai vive affetta da emiparesi, in attesa del compiersi dei lavori di ristrutturazione della sede conosciuta da Slataper, che attendono ancora di essere iniziati.

 

 

 

Copertina:

 

Scipio Slataper

Lettere triestine

Prefazione di Fulvio Senardi

Historica edizioni, Roma 2918

  1. 81, euro 12,00