La scienza va a teatro

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di Paolo Quazzolo

 

«Non credo che il teatro sia un mezzo adatto a trasmettere la scienza, credo invece che esso possa e debba concentrarsi sugli scienziati, sulle loro vicende, sull’entusiasmo della scoperta, sulle delusioni e sulle speranze. Insomma il teatro secondo me deve portare in primo piano ciò che vi è di profondamente umano nell’impresa scientifica, allora può avere esiti molto interessanti e può conquistare il pubblico il quale sente gli scienziati vicini a sé: è di te che si parla, spettatore.»

Così esordisce Giuseppe O. Longo nella presentazione del suo ultimo volume, La scienza va a teatro, una raccolta di pièce teatrali dedicate al rapporto tra il palcoscenico e la scienza, ove viene sondata, attraverso strade e soluzioni di volta in volta diverse, la possibilità di proporre, a un pubblico spesso profano, temi anche complessi che riguardano il mondo scientifico. Ma, come sostiene l’autore, la sfida non è tanto quella di parlare di scienza, quanto piuttosto di rappresentare emozioni, sentimenti, storie di uomini alle prese con scoperte spesso sensazionali, caratterizzate tuttavia da risvolti talora imprevedibili. Lo scopo è quello di far riflettere lo spettatore / lettore su tematiche di ordine morale, per cercare di capire quale sia il ruolo della scienza nel mondo contemporaneo (e non solo in quello), e soprattutto – questo è il cuore del discorso – meditare su un problema di capitale importanza: fino a che punto la scienza può o deve spingersi e quando viceversa essa deve arrestarsi per non oltrepassare i limiti imposti dall’etica e dalla morale.

Il teatro scienza sta andando a costituire oggi una sorta di vero e proprio genere a sé. Numerose sono infatti le pièce scritte negli ultimi anni all’interno di questo ambito, con un doppio intento: da un lato c’è la prospettiva della divulgazione, ossia la volontà di diffondere presso un pubblico profano, in modo accessibile, temi solitamente riservati a una ristretta cerchia di addetti ai lavori; dall’altro l’intento morale, ponendo lo spettatore di fronte a questioni di ordine etico, spingendolo quindi alla riflessione e, in questo modo, recuperando il ruolo più antico e più vero del teatro. Vale a dire la sua capacità di incidere all’interno della società, ponendo in discussione i grandi temi, mostrandone le mostruosità, denunciandone i pericoli, suggerendo possibili vie d’uscita.

In verità il rapporto tra il teatro e la scienza è molto antico: taluni ritengono infatti che già in un testo classico quale il Prometeo di Eschilo, sia da rintracciare il primo esempio in cui la scienza compare all’interno di un dramma. Il personaggio mitologico, infatti, portando agli uomini il dono del fuoco, apre loro la strada verso la civilizzazione, il progresso e la conoscenza. Ma la scienza è stata più volte chiamata in causa dai drammaturghi con intenti polemici. Pensiamo ad esempio al Candelaio di Giordano Bruno (1582), in cui compaiono un pedante, un alchimista dilettante e un mago che, con le loro pretese conoscenze scientifiche cercano di influenzare il corso degli eventi. Ben nota, poi, l’avversione di Molière per gli uomini di scienza (o presunti tali), che sfocia in alcune celebri commedie, prima fra tutte Il malato immaginario (1673), ove medici cialtroni e disonesti cercano di volgere a loro favore le paranoie di un ipocondriaco. Sicuramente uno dei testi che più e meglio incarna il genere teatro-scienza è il celebre Vita di Galileo di Bertolt Brecht (1938-56) che costituisce uno degli esempi drammaturgicamente più alti sulla riflessione dei rapporti tra scienza e potere, sull’impossibilità per il pensiero scientifico di essere totalmente libero e su come il potere pieghi sempre alle proprie torbide necessità le scoperte tecnologiche. Ma, in tempi più recenti, si può citare I fisici di Dűrrenmatt (1961) commedia grottesca in cui l’autore svizzero propone una riflessione, sempre attuale, sull’uso distorto delle invenzioni scientifiche, gli esempi di “docudrama” degli anni Sessanta come Sul caso Oppenheimer di Heinar Kipphard (1964) un’indagine sulle presunte responsabilità della perdita del monopolio atomico dagli Stati Uniti a vantaggio dell’Unione Sovietica, oppure ancora Copenaghen di Michael Frayn (1998) in cui si cerca di ricostruire l’incontro, avvenuto nel 1941, tra Niels Bohr e Werner Heisenberg, i due “padri” della bomba atomica.

Il volume di Longo contiene una raccolta di tredici testi drammatici – alcuni dei quali inediti – che alternano stili e tecniche differenti, dalla struttura monologante alla pièce a più voci, dal ritratto di celebri scienziati alla commedia grottesca, dalla ricostruzione storica alle riflessioni sul significato, per la società contemporanea, del progresso tecnologico. Apre la raccolta un gruppo di atti unici riunito sotto il comune titolo Le orme del sapere, che va a costituire un percorso in quattro tappe attraverso l’evocazione – in ordine cronologico – di altrettante figure di scienziati: Lucrezio, Pascal, Babbage, Einstein. Ciascuno di loro è colto di fronte a una sorta di bivio intellettuale – la ragione o la follia; il genio e l’infermità; i calcoli e la poesia; la fisica e l’immaginazione – che ci inducono a riflettere sul rapporto scienza-etica, tramite prospettive e problematiche di volta in volta differenti.

Fa seguito Il cervello nudo, pièce che ha già conosciuto numerose messinscena e in cui si pone la drammatica e inquietante ipotesi di una macchina talmente sofisticata, da essere addirittura capace di provare dei sentimenti.

Di ordine completamente diverso è Un trapianto molto particolare, in cui Longo, rivelando il suo carattere giocoso e a tratti beffardo, ci pone il problema – assolutamente non frivolo – di quali conseguenze potrebbe portare con sé il trapianto del cervello umano da un corpo all’altro.

Un altro modo di affrontare la scienza è quello proposto in Farm Hall 45, il dramma di più lungo respiro contenuto nella raccolta. Vi è rievocato un fatto storico, la detenzione, in una villa della campagna inglese, di dieci scienziati tedeschi che, a loro insaputa, nel 1945 vennero spiati attraverso registrazioni audio, per verificarne le eventuali compromissioni con il nazismo. Partendo delle trascrizioni di quelle registrazioni, Longo costruisce, in piena libertà, un dramma in cui prevalgono non tanto le ipotesi scientifiche, ma soprattutto le paure, le aspirazioni, le speranze, i pettegolezzi e le invidie dei dieci scienziati.

Con l’atto unico Il crepuscolo dei simbionti l’autore ci trasporta in un angosciante mondo del futuro ove si sta consumando l’ultima battaglia tra una civiltà che ha cercato nella scienza la sua estrema emancipazione e un popolo rude e primitivo che è riuscito ad avere il sopravvento sul progresso tecnologico.

Evoluzione di un matrimonio è viceversa un testo dal sapore tragicomico nel quale le peripezie coniugali vengono ripercorse e analizzate, con comico rigore scientifico, attraverso un percorso che parte dal primo giorno di nozze e si conclude in modo inaspettato vent’anni dopo.

La raccolta termina con una serie di atti unici dalla forma del tutto particolare, in cui teatro, scienza, filosofia, teoria dell’informazione e procedimenti conoscitivi trovano una imprevedibile forma di convivenza. Si tratta di quattro “metàloghi”, ossia dialoghi tra due personaggi (quasi sempre un padre e una figlia) attorno ad argomenti problematici. È la rielaborazione di una forma drammaturgica introdotta negli anni Settanta del Novecento dall’antropologo e sociologo britannico Gregory Bateson (1904 – 1980), di cui Giuseppe O. Longo ha tradotto in italiano le opere. Ancora un modo sorprendente di affrontare il rapporto tra teatro e scienza perché, come sostiene l’autore, «La scienza è fatta dagli umani e anche le discipline più astratte, come la matematica, hanno carattere sociale e culturale. È vero che la loro sistemazione, che prescinde dallo sviluppo storico, dà l’impressione di assolutezza e di impassibilità, ma nel loro farsi tutte le scienze sono soggette a vicende alterne, alle passioni e alle vicissitudini umane. Quando si fa ricerca non si può non riconoscere che razionalità ed emozione sono strettamente intrecciate. Ecco, a me interessa portare sulla scena questo groviglio inestricabile di passione e di logica».

 

 

 

 

Copertina:

 

Giuseppe O. Longo

La scienza va a teatro

Eut – Edizioni Università

di Trieste, Trieste, 2017

  1. 432, euro 16,00