La serva padrona al Verdi

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L’opera di Paisiello rivisitata da Respighi ripresentata al Ridotto del Teatro Comunale di Trieste

di Luigi Cataldi

 

In attesa dell’inizio della stagione lirica, il Teatro Verdi di Trieste ripropone La serva padrona di Paisiello rivisitata da Ottorino Respighi, in una produzione con regia di Oscar Cecchi già andata in scena nella sala principale nel 2016, poi nel 2018 e oggi riadattata dal medesimo regista, con le scene di Paolo Vitale, per la sala “Victor de Sabata” del Ridotto.

Non siamo di fronte al fortunatissimo intermezzo di Giovan Battista Pergolesi (che fu rappresentato fra gli atti del Cavalier superbo nel 1733 e che vent’anni dopo diede origine in Francia alla Querelle des bouffons, sollevata dagli enciclopedisti e soprattutto da Rousseau, sostenitori dell’opera buffa italiana, contro lo stile dell’opera francese di Lully e Rameau), ma alla meno celebre versione che, dallo stesso libretto di Gennaro Antonio Federico, Giovanni Paisiello ricavò per Caterina di Russia di fronte alla quale questa «burletta in musica» fu rappresentata nell’Estate del 1781 nella residenza di Carskoe Selo. Paisiello aggiunse un’aria, due duetti e rafforzò l’orchestra (in Pergolesi di soli archi) con una sezione di fiati, trasformando l’intermezzo in una breve opera comica.

Gli intrighi (attraverso i quali Serpina, dispotica servetta scaltra, fingendosi promessa a Capitan Tempesta, che è in verità il servo muto Vespone da lei stessa travestito, riesce a divenire sposa del suo padrone Uberto, di cui, peraltro, come lui stesso ammette, è già padrona) restano però gli stessi e tali rimangono anche nella versione di Respighi. Il progetto a lui commissionato da Djagilev per gli spettacoli dei suoi Ballets russes, poi abortito, prevedeva però una ben più ampia rielaborazione. Dobbiamo la ricostruzione filologica di questo testo (su cui si basa anche la rappresentazione del “Verdi”) e della collaborazione fra Respighi e Djagilev agli studi di Elia Andrea Corazza.

Djagilev, non solo impresario ma vero catalizzatore di artisti, con solidi studi musicali alle spalle, si era dedicato con passione al Settecento italiano (in particolare a Paisiello e Cimarosa per la loro stagione russa di maestri di cappella di Caterina II): aveva studiato la letteratura musicologica, cercato nelle biblioteche e trascritto di proprio pugno le opere da adattare. Per gli spettacoli da realizzarsi negli anni 1919-20 Djagilev si rivolse a Respighi, che aveva conosciuto a san Pietroburgo intorno al 1900 (erano entrambi al servizio dell’orchestra del Teatro Mariinskij, l’uno come segretario artistico, l’altro come violinista) e col quale aveva già collaborato in passato. Nacquero così Boutique fantasque (da Rossini) nel 1919, un grandioso successo con oltre 300 repliche, e Le astuzie femminili (da Paisiello) nel 1920. La serva padrona, prevista per quello stesso anno, rimase invece incompiuta. Respighi ritoccò l’orchestrazione dei numeri chiusi dell’opera, aggiunse un coro alla fine della prima parte, su motivi presi dalle arie compose nuovamente e orchestrò i recitativi e poco altro. Si trattò di una rivisitazione moderna che conservava la struttura del melodramma originale. Djaghilev aveva in mente invece una rielaborazione ben più profonda: tagli ancor più drastici dei recitativi, interpolazione, sostituzione e aggiunta di arie con altre provenienti da opere diverse (cantate in scena o fuori scena), aggiunta di danze e cori, in modo da creare un’opera-balletto del tutto nuova di cui quelli originali erano solo i materiali grezzi da utilizzare. Forse per queste divergenti visioni del lavoro da svolgere il progetto si arenò. Quello che resta, sebbene frutto dell’attento restauro filologico fatto da Corazza, è un’opera incompiuta, che non ha né la ragion d’essere che animò Paisiello, né quella che avrebbe voluto darle Djagilev.

La versione andata in scena al Verdi quest’anno (vi ho assistito l’11/10/2022) è nuova, ma derivante dalle precedenti, in particolare per la doppia ambientazione, novecentesca e settecentesca, che nel 2016 discendeva dalla burlesca messa in scena delle vicende del ritrovamento dell’autografo dell’opera (smarrito dopo la morte di Djagilev e lo smembramento del suo archivio, poi riapparso nel 1984 a Londra in un’asta di Sotheby’s) e nel 2018 dalle immagini e i drammi della Trieste del 1920, l’epoca della composizione di Respighi, di cui sullo schermo apparivano i palazzi e l’incendio del Narodni dom. Di tutto ciò nella versione attuale restano la regressione degli abiti di scena dai giorni nostri al passato e la commistione degli oggetti (pannelli con fregi antichi e mobili moderni), volte probabilmente a «reinterpretare il soggetto attraverso una visione favolistica», come afferma il regista, e a renderne più semplice la comprensione ad un pubblico «molto giovane». Tutto è lecito, anche ricavare una favola infantile dalle maschere dell’antico regime di cui si rideva all’epoca di Paisiello e che di lì a poco sarebbero salite sul patibolo dei rivoluzionari, ma la messinscena, così com’è, rischia di banalizzare l’oggetto della rappresentazione. Anche il trasferimento dal teatro grande al ridotto non giova. L’eccessiva risonanza della sala appesantisce la massa sonora e rende incomprensibili le parole cantate, mentre le lavagne presenti ai lati della scena, intese con ironica funzione didattica, poco contribuiscono alla comprensione della vicenda. Eppure l’esecuzione è pregevole. Serhii Nesteruk, ucraino, direttore ospite dell’Orchestra Sinfonica di Kyiv, conduce con equilibrio e sicurezza i bravi strumentisti del Verdi e il coro ben preparato da Paolo Longo. Olga Dyadiv, anche lei ucraina, dà vita a una Serpina dalla vivace presenza scenica, con voce potente nei registri acuti e con abilità di fraseggio. Francesco Auriemma, giovane baritono partenopeo, è un Uberto misurato, non caricaturale, di voce chiara, adatta alle eleganti melodie di Paisiello. Il servo muto Vespone, interpretato dal triestino Giacomo Segulia, riacquista a tratti la voce, attenuando nel contempo il carattere di Zanni che in origine lo contraddistingueva.

Si attende ora la stagione lirica e di balletto 2022-23, che sarà inaugurata il 4 novembre dal verdiano Otello con la regia di Giulio Sabatti e la direzione musicale, in alternanza, di Daniel Oren e Francesco Ivan Ciampa.