Ibridazioni, riti e miti del corpo

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A Gorizia, nella prestigiosa sede di Palazzo Attems Petzenstein, la prima antologica di Roberto Kusterle

di Walter Chiereghin

 

Dalle grotte di Altamira e di Lascaux, attraverso le statue della grecità

e i dipinti del Rinascimento, fino alle cere gialle e rosse dei musei

anatomici, il corpo simboleggia il nostro greve retaggio di creature

terrestri e insieme lo slancio verso le mete più alte della spiritualità.

L’innocenza virginale e le infinite variazioni della pornografia

costituiscono gli estremi opposti , ma forse coincidenti, della

vastissima gamma di esperienze e vibrazioni che ci offre questo

strumento mutevole, splendido e misterioso che è il nostro corpo.

Giuseppe O. Longo

 

Approfittando dell’avvenuto restauro dei soffitti del piano nobile di Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, che ha ovviamente imposto la rimozione e il trasferimento delle collezioni della Pinacoteca dei Musei provinciali, attualmente gestita dall’Erpac, un felice progetto espositivo ha dato luogo alla prima antologica dedicata al lavoro creativo dell’artista goriziano Roberto Kusterle, che ha così potuto usufruire degli spazi normalmente occupati dalle opere della Pinacoteca, per riempirli con 230 sue creazioni, tra dipinti, disegni, sculture, installazioni, video, e, naturalmente, fotografie analogiche e digitali, molte delle quali presentate per la prima volta al pubblico in questa occasione. L’esposizione, intitolata “Compendium”, è curata dal critico d’arte Angelo Bertani e dal conservatore dei Musei provinciali Alessandro Quinzi e si è inaugurata lo scorso 30 aprile, rimanendo visitabile fino al primo di ottobre. Il ricco catalogo, opera dei curatori della mostra coadiuvati da Sara Occhipinti dello Studio Faganel, si propone di dar conto – in quasi 350 pagine in buona parte illustrate – dei contenuti dell’esposizione goriziana e quindi dell’intero itinerario artistico di Kusterle, valendosi del contributo critico di altri quattro studiosi, Angela Madesani, Franca Marri, Francesca Alfano Miglietti e Stefano Pedulli, oltre ai due curatori.

Goriziano, classe 1948, Kusterle come i suoi contemporanei concittadini vive dalle più remote stagioni infantili in una città drammaticamente lacerata dal confine che la attraversa, alla quale rimane comunque attaccato fino al presente. A partire dagli anni Settanta si cimenta in campo artistico, iniziando ad esplorare ambiti informali con gli strumenti della pittura e, sollecitato in questo dalla fascinazione che esercita su di lui la materia e la tridimensionalità, la scultura e quindi le installazioni. Concorre anche l’esigenza di documentare per mezzo di video le installazioni a sospingerlo verso la fotografia, esercitata nei primi tempi per mezzo di una reflex 35 mm, (una Nikon, per la cronaca), che è tuttavia considerata soltanto una parte del processo di creazione fotografica, che trova il suo prologo nella scelta di materiali e modalità di sviluppo e stampa e la sua prosecuzione nel lavoro in camera oscura, dove materiali e tecniche di esposizione ed elaborazione dei supporti finiscono per essere un continuo stimolo alla sua ricerca creativa.

Nella mostra goriziana, ordinata secondo uno sviluppo cronologico, sono presenti anche gli esordi, ma la parte del leone è assegnata, logicamente, alle immagini fotografiche, declinate nelle due varianti analogica e digitale. che hanno costituito, a partire dagli anni Ottanta, l’ambito più adeguato ad esprimere quella che presto divenne la riconoscibile poetica di Kusterle, che fin dagli anni Ottanta si è concentrata principalmente sulla figura umana, dalle origini ibridata con elementi attinti dalla natura, nelle sue varianti minerali, vegetali ed animali. Il corpo umano, dunque, ma non si tratta affatto di ritrattistica: al contrario, i suoi modelli si presentano sempre anonimamente irriconoscibili come individui, vuoi perché i lineamenti del volto non sono visibili nelle riprese di spalle, oppure perché deformati o mascherati da fantasiose sovrapposizioni che ne alterano la più banale riconoscibilità. Gli occhi, in particolare, “specchio dell’anima” secondo un radicato luogo comune, non sono mai intercettabili dallo sguardo dell’osservatore, delegando ad altri fattori la comunicazione, che in tal modo si concentra sulla postura, sul ritmo compositivo dell’immagine e soprattutto sulla lussureggiante intersezione tra la figura umana e gli elementi naturali, siano essi animali, vegetali o anche inanimati.

Alcuni documenti e un filmato presenti in mostra testimoniano della meticolosa cura che l’artista pone nella progettazione scenografica delle immagini, come pure nelle successive fasi di preparazione dei soggetti, nella attenta predisposizione delle luci e ovviamente nella ricerca dell’inquadratura che meglio disegni gli aspetti compositivi del singolo fotogramma, così che il momento dello scatto è appunto un momento, per quanto essenziale, di un ben più complesso percorso creativo, sia che si tratti di una scena onirica di carattere teatrale che organizza scenograficamente la composizione, sia che invece l’attenzione del fotografo si concentri su un soggetto più ravvicinato ed esplorato con concentrata intensità.

I risultati formali della ricerca di Kusterle attorno al corpo, alla sua caducità e alle ibridazioni e mutazioni delle quali può apparire oggetto si inscrivono all’interno di una articolata vicenda fantastica che percorre per intero la storia della cultura, da ben prima che Ovidio nelle sue Metamorfosi ne compisse un compendio, attingendo ai miti greci e successivamente percorrendo tanto nelle lettere quanto nelle arti visive (si pensi anche soltanto all’Apollo e Dafne del Bernini, alla Galleria Borghese) itinerari complessi e ricorrenti nel tempo, dei quali l’artista isontino testimonia i più recenti sviluppi, con esiti talvolta inquietanti, ma sempre densi di fascinazione. In particolare negli sviluppi relativi all’ultimo decennio, del resto, Kusterle rende esplicito nei suoi cicli più recenti – Ad fontem (2021), ma anche Le spose del mare (2016) e Mutabile Nymhae (2010) – il collegamento con la tradizione artistica del passato, a partire dalle sculture aquileiesi per confrontarsi poi con affreschi e stucchi del Settecento veneto.

Finisco qui queste mie noterelle, anche per lasciare più spazio alle immagini, ma raccomandando caldamente ai lettori di non perdere l’occasione di questa antologica per accostarsi alla fluente creatività di questo nostro instancabile artefice.

 

Piercing naturale

(ciclo Morus nigra)

stampa ai pigmenti, 2015