Un capolavoro pazzesco

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di Stefano Crisafulli

 

Soldati che sparano sui civili. Gente che fugge all’impazzata. Un bambino viene colpito ed è ferito a morte. Una madre che lo tiene in braccio e non scappa più, ma avanza verso i soldati chiedendo pietà per suo figlio. Ma non c’è pietà né per lei né per il figlio e viene uccisa, così come l’altra madre, più giovane, che lascia la presa e la carrozzella col neonato cade giù, a precipizio, dalla scalinata di Odessa. Sì, proprio quella scalinata che il film di Sergej Ejzenstejn La corazzata Potëmkin del 1925 ha reso celebre grazie alle immagini appena descritte. Per caso, vi sembrano attuali? Dovrebbero, in effetti, perché queste scene tratte da un film di un regista russo (e sottolineo russo, vista la follia recente di censurare opere e autori russi, come se la cultura non fosse un modo per favorire la pace) ci riportano direttamente alla tragedia che sta vivendo l’Ucraina adesso, nel 2022. Lì, nella pellicola di Ejzenstejn, la rivoluzione russa del 1905, preludio di quella rivoluzione “definitiva” che arriverà solo pochi anni dopo, raccontata emblematicamente con l’episodio della rivolta dei marinai della Potëmkin; oggi l’assurda guerra della Russia di Putin contro l’Ucraina, che vede la popolazione di Odessa non più solidale con i soldati russi, come nel film, ma bersaglio dei loro cannoni.

Meravigliosamente restaurata dalla Cineteca di Bologna e distribuita in dvd assieme ad una raccolta di saggi, La corazzata Potëmkin è la storia della ribellione di una nave contro gli ufficiali e il comandante, che rappresentano il potere oppressivo e assoluto dello zar. Una delle parole che appare più volte nelle didascalie è ‘fratelli’: in particolare, quando il plotone di esecuzione sta per sparare su una parte dei marinai che si erano rifiutati di mangiare la zuppa con i vermi imposta dagli ufficiali, ottenendo la solidarietà dei suoi componenti, e quando la Potëmkin, che rischia di essere cannoneggiata dal resto della flotta zarista, capisce che pure le altre navi si sono ribellate e può passare indenne tra di loro. Ma il film di Ejzenstejn, che era stato commissionato dall’Unione Sovietica per festeggiare il ventennale della prima rivoluzione e serviva quindi come prodotto propagandistico, non è solo centrale per la storia raccontata, lo è anche dal punto di vista formale. Le riprese innovative, infatti, lo inserirono di fatto tra le opere più moderne dell’epoca, andando ben oltre l’intento celebrativo dei suoi committenti. Nel film, che dura poco più di un’ora e che venne censurato in molti paesi europei, c’è tutto: la rabbia sommessa e la sua deflagrazione, l’attesa carica di tensione, il dolore e la sofferenza di una guerra civile che diventa dolore e sofferenza universale per ogni guerra. C’è il porto di Odessa nella foschia, ci sono i volti dei marinai e del popolo. Immagini rese ancor più potenti dal bianco e nero e dal ritmo del montaggio che, del resto, ha giustamente reso famoso il suo autore.

Eppure di tutto questo agli italiani, purtroppo, rimane solo l’ingiusto giudizio emesso dal ragionier Fantozzi nel film diretto da Luciano Salce Il secondo tragico Fantozzi (1976), quando il ragioniere, costretto a vedere il film di Ejzenstejn (tra l’altro storpiato nel titolo in ‘Kotiomkin’) per l’ennesima volta da un tirannico dirigente, si alza e sfoga la sua rabbia repressa con quella frase che tutti ricordano e che perciò è inutile citare. Ma, come giustamente osserva Wu Ming 1 in uno dei saggi che accompagnano il dvd, la ribellione di Fantozzi e colleghi è verso il potere della ‘megaditta’, non tanto verso il film in sé, e in fondo imita quella dei marinai verso il comandante della nave. Per chi ama il cinema, invece, La corazzata Potëmkin è e resta ancora oggi un capolavoro pazzesco.