Il linoleum rosso

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di Giuseppe O. Longo

 

Una fila di casette a un piano coi terrazzini a ringhiera, lui cerca il numero sotto il sole a picco di quella fine giugno infocata, preme il pulsante di un campanello, Giancarlo viene ad aprirgli, saluti, stretta di mano, la mano del compagno è madida di sudore, gli stringe le dita in punta, facendogli male, tutto ciò lo indispone e gli viene voglia di maltrattare un po’ quel marcantonio sciamannato con i capelli lisci sul biondo che gli spiovono davanti agli occhi, ma ha bisogno di lui per la faccenda del greco, il professore di lettere gli ha consigliato di andare da Giancarlo per farsi spiegare le proparossitone e le perispomene, la questione degli accenti, acuto grave circonflesso, e intanto Giancarlo lo guida lungo il corridoietto, una porta a vetri dà su un cortile interno abbagliato di sole e subito da quello sfascio di luce viene avanti la mamma di Giancarlo asciugandosi le mani nel grembiale e lo invita a entrare nel tinello e lì c’è un po’ di ristoro da quel fulgore crudele, le tende pesanti sono tirate, nel centro della stanza, sotto il lampadario a braccini, alcune mosche girano in tondo, ubriache d’estate, la donna l’invita a sedersi, è grande, massiccia, bionda come il figlio, lui la guarda di sfuggita, lei gli offre un bicchier d’acqua, Giancarlo lo fissa paziente, aspetta che succeda qualcosa, allora lui dice sono venuto per il greco, il professore mi ha detto di rivolgermi a te per qualche dritta sugli accenti, Giancarlo strizza gli occhi, certo, adesso andiamo nella mia stanza, intanto la donna ha portato un bicchier d’acqua, lui beve un po’, ne lascia gran parte, poi Giancarlo lo conduce in una stanzetta, gli spiega i meccanismi degli accenti, sono piuttosto facili, basta riconoscere le sillabe brevi e le sillabe lunghe e i dittonghi e così via, tutte cose elementari, perché a scuola il professore l’ha fatta tanto complicata, poi si distrae, Giancarlo è sudato, i capelli biondastri gli occhi infossati, nella stanza vaga un alito di sostanze chimiche e infatti conclusa la questione degli accenti Giancarlo dice, vuoi vedere le mie cose di chimica, si vede che ci tiene molto, è così bravo a scuola anche perché fa gli esperimenti di chimica, lui la chimica non la può soffrire, acidi e basi e sali e tutto non li sopporta, e gli odori poi, ma si sente in obbligo di dare una soddisfazione al compagno, certo, dice, e Giancarlo spalanca le due ante di un grande armadio scuro, e lì, in bell’ordine, sono allineati alambicchi, storte, matracci, serpentine e provette, in un ordine maniacale, come maniacale è la precisione con cui Giancarlo gli illustra il nome e la funzione di ciascun apparecchio, passando poi alle boccette dei reagenti, acido solforico, acido nitrico, acido cloridrico, soda caustica, potassa caustica, sali diversi, con le proprietà e gli usi preferenziali, in una profusione in cui lui si perde subito, è impressionato dal lucido pavimento di linoleum rosso, dalla passione elencatoria del compagno, dalla competenza tassonomica, dallo sguardo che finalmente si è acceso e lampeggia di bagliori azzurrognoli in fondo alle orbite incavate, Giancarlo gli nomina l’alchimia, Cagliostro, Paracelso, la pietra filosofale, nel soffoco della stanza piena delle esalazioni che escono dall’armadione chimico lui si sente quasi venir meno, cerca di avviarsi alla porta, ma la voce dell’altro lo tiene agganciato, finché entra senza bussare il padre di Giancarlo, un uomo alto, dall’impalcatura ossea imponente, occhi azzurri e infossati come quelli del figlio, e al figlio ha trasmesso anche il naso a vomere, grande e impervio, Giancarlo ti ha fatto vedere i suoi tesori, e sorride mostrando una dentatura stranamente grande, lui si scusa, si congeda brusco, ha bisogno di aria, esce nella stradina, Giancarlo e suo padre restano un po’ interdetti, lo guardano allontanarsi nel fulgore del pomeriggio sotto quel sole crudele, lontano dal greco, dalla chimica, dal linoleum rosso.