Lunga vita alle lingue morte

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Un libro di Giovanna Guidetti ci parla del sanscrito. E delle sue gioie

di Maria Grazia Ciani

 

Nel 2016 Andrea Marcolongo rilanciava il greco antico con un libro geniale quanto il suo titolo ( La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco, editori Laterza). Improvvisamente quella lingua  così poco amata, gli incubi delle versioni enigmatiche, lo spettro dei paradigmi, il lessico articolato dove un  termine può assumere mille significati, la disperata ricerca di dare alle frasi un senso plausibule… tutto questo spariva davanti all’incanto di una riscoperta: il valore assoluto dell’aspetto verbale, l’azione irripetibile espressa dall’aoristo, il rarissimo duale, il numero della coppia (che permane nel sanscrito), l’accento melodico e il ritmo, l’autonomia di ogni singola parola… e così via.

Fu una vampata che presto si estinse nel rinnovato delirio grammaticale, nel rito immutato delle versioni, anzi della Versione, dove Esopo sta accanto a Tucidide, Erodoto a Senofonte, Lisia e Isocrate vanno a braccetto, come se lo stile fosse  sempre lo stesso, come se le parole avessero sempre lo stesso valore… e nessun inquadramento storico o linguistico. Nessun amore.

Il sanscrito non si studia più nemmeno in sede universitaria – tranne che a Oxford e alla School of Oriental and African Studies di Londra. Ma, sorpresa!, nella scuola privata londinese di St.James lo si coltiva «dall’asilo ai diciotto anni» e lo si promuove «come strumento di conoscenza e di apertura mentale». Cos’ leggiamo nel delizioso saggio di Giovanna Ghidetti  Le gioie del sanscrito, recentissima pubblicazione di Neri Pozza editore.

Giornalista, scrittrice, velista (sì, ha attraversato varie volte l’Atlantico a vela), Giovanna Ghidetti è esperta di lingue antiche e in particolare del sanscrito, studiato in profondità con maestri illustri. Il suo saggio non si presenta come un trattato scientifico ma non è nemmeno un libro di divulgazione. Scritto con eleganza e con brio, ci introduce abilmente nel cuore della lingua, alternando la dottrina con frequenti incursioni nel mondo moderno dove l’eredità indiana è fonte di ispirazione più di quanto non si creda.

Se il greco era una lingua “geniale”, il sanscrito è una lingua “perfetta” per definizione samskrta (pronuncia: sànscrita) significa appunto  “perfetto”. Ed è perfetta in quanto basata su minuziosissimi studi grammaticali. Ci risiamo, dunque? Non ci libereremo mai dell’eterno rosario grammaticale? Dipende: nel v secolo a.C., quando nella Grecia imperava il teatro  tragico, il grammatico Panini (pronuncia Pànini) inventava un metodo, quello di “analizzare  le parole dividendole in unità semantiche più piccole per studiarne i singoli elementi e le operazioni aritmetiche che permettono, come in una formula chimica, di generare qualsiasi parola e qualsiasi frase che il senso richieda”: non le singole parole, quindi, ma le radici sono alla base del vocabolario, le radici disposte in  ordine alfabetico con le parole da esse derivate. Dalle radici si irradia il sapere che riguarda tutto, dalla letteratura alla scienza, dal corpo  alla mente alla vita intera. Guida imprescindibile il Sanskrit-English Dictionary si Sir Monier Monier-Williams (1872) che ci proietta in un mondo infinito. I capitoli finali di questo saggio “in crescendo” sono i più impegnativi, nella visione allargata di una lingua che è insieme anche tecnica e chiave universale per comprendere il tutto.

Ma non mancano le esemplificazioni più semplici, i termini che si sono insinuati nel nostro linguaggio e che vengono usati nei campi più diversi: giungla, iuta, zen, sciamano, avatar, karma, nirvana, guru, bandana (!), svastica (!!). E ognuno di questi termini, spesso evocato in modo improprio, viene cortesemente ricondotto al suo significato legittimo oltre che alla sua pronuncia esatta. Così come le opere maggiori e più famose, i Veda, le Upanishad, sono collocate nel loro tempo e spiegate nel loro valore testimoniale.

Il Kamasutra o “manuale del desiderio” – compendio di una tradizione orale che è alla radice del carattere manualistico della cultura sanscrita – questo testo passato alla storia comune come una trattato di pornografia, è in realtà, nella sua composizione rigida e didattica, mistica e scientifica, una raccolta che sancisce il desiderio secondo regole psicologiche e moralistiche.

Per chi ha mangiato pane e Omero o pane e Virgilio, i grandi poemi indiani – Mahabharata e Ramayana – spalancano una dimensione fantasmagorica, al cui centro domina una temporalità ignota all’Occidente, una dilatazione del pensiero che non conosce limiti, una riflessione sul bene e sul male, sull’amore e la vendetta, la violenza, la fedeltà, su tutti i possibili risvolti della psiche – riflessione che interrompe l’azione anche nei momenti estremi (famoso è il dialogo tra l’eroe Arjuna e l’auriga Krsna, personificazione del dio Visnu, che costituisce da solo un libro intero, noto come “il canto del beato” – Bhagavadgita – una lunga pausa di riflessione mentre gli eserciti antagonisti dei Pandava e dei Kaurava stanno per scontrarsi in una lotta mortale).

L’esplosione di Bollywood in gara con la cinematografia hollywoodiana si colloca in una dimensione neutra, dove caratteri opposti entrano in contrasto o si mimetizzano causando spesso un effetto caricaturale. Più significative le allusioni (anche se manipolate) che possiamo riscontrare in altri luoghi: nella musica dei Beatles, ad esempio, nel monumentale Mahabharata  del regista britannico Peter Brook (teatro, cinema, TV), nella poesie di Eliot e Yeats, nel celebre romanzo Siddhartha di Hermann Hesse, nei racconti di Kipling e di Salgàri e infine nei fumetti di Topolino, puntualmente citati dall’autrice: Topolino e Pippo cervello del secolo, Topolino e il segreto della settima meteora, Topolino e il furto archeologico. E possiamo ricordare anche Woody Allen, Franco Battiato ecc.

Morti o tramortiti il greco e il latino, dopo la pandemia che sembra la bora-spazza-tutto, non ci attende dunque un futuro da costruire ma un passato da recuperare? Torneremo indietro, alle lingue morte? Ci salverà il sanscrito, la grammatica di Pànini, la mitica meditazione di Arjuna (pronuncia àrjuna)? Tutto è possibile.

 

 

 

Giovanna Ghidetti

Le gioie del sanscrito

Neri Pozza editore, 2021

  1. 192, euro 18,00