Racconti di Idria

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Appartato nel piccolo ambiente goriziano, Francesco Macedonio non è stato, nemmeno negli scorci conclusivi della vita, né un isolato né un ozioso. Al centro di una rete di gratificanti rapporti umani e professionali ha mantenuto, quasi fino all’ultimo istante dei suoi ottantasette anni, una invidiabile vitalità, che si sposava con una lucidità intellettuale foriera di idee, progetti, ipotesi di lavoro.

Anche quando ha rallentato il faticoso impegno della regia (ultima direzione memorabile: la messa in scena nel 2013, al teatro della Contrada, di un’edizione di Due paia di calze di seta di Vienna, di Carpinteri e Faraguna), la creatività ha continuato ad abitarlo come un demone geloso ed esigente. E negli ultimi mesi, come può testimoniare chi gli è stato vicino, piegandosi ad un irresistibile bisogno interiore, ciò che un tempo si chiamava ispirazione, ha preso in mano la penna, riaperto vecchi quaderni, e rielaborati, senza quasi prendere respiro, un serie di racconti brevi, ambientati nella cittadina slovena di Idrija (ma era Idria, al tempo della sua giovinezza, dentro i confini di un regno d’Italia che, dal 1918, si era spinto con prepotenza ad Est, ben oltre l’Isonzo), con un riconoscibilissimo alter-ego come protagonista. In altre parole, rimembranze di infanzia e giovinezza, presentate con il piacere di ricostruire un ambiente, ritrovare emozioni e presenze perdute (in primo luogo il nonno, poi, guida negli anni dell’adolescenza, Ignazio), mostrare la propria iniziazione alla vita, come si era svolta  in un ambiente rurale  e bilingue che appare, agli occhi del fanciullo, e, in parte, dell’adulto conquistato dalla sirene della nostalgia, come il migliore dei mondi possibili. Eppure, se è vero che nell’affabulazione a posteriori di questo fondamentale incipit della vita risuona spesso un’intonazione intenerita, l’uomo maturo sa bene quanto sia stato duro allora il lavoro dei campi, quanto sgradita la presenza straniera che imponeva una lingua, una legge e una bandiera sentite estranee, quanto intrisa di piccoli e grandi crudeltà, invidie e gelosie la vita quotidiana di un microcosmo solo in apparenza perfettamente armonioso. Non importa: se il racconto delle opere e dei giorni ne esce, a tratti, tagliente o crudo, in un continuo intreccio di chiaroscuri con i sentimenti buoni della solidarietà e dell’altruismo, l’occhio del narratore non è mai gelidamente impassibile, l’inventario delle stagioni vissute è sempre riscaldato da un cuore che non sa impedirsi di tremare mentre fa rivivere il piccolo mondo che era la sua casa. Ed anche il realismo, che è la vocazione costante e coscientemente perseguita di questa scrittura, acquista così una sua peculiare intonazione: non tradisce il proprio progetto, ma, con felice straripamento dell’immaginazione, si vena di un fiabesco che lo impreziosisce, un po’ come in certe azzurre visioni di Marc Chagall.

Lasciamo al lettore il piacevole compito di seguire gli snodi in cui si dipana la scoperta del mondo del piccolo “eroe”: ciò che invece va evidenziato è la natura profonda di una scrittura che “emana calore”, per la sua carica vitale, per il messaggio che da essa traspare di benessere e felicità. Sono le potenze positive di un libro che ci fa pienamente partecipi dell’umano nella sua essenza più autentica di gioia di vivere e affettuosa emozionalità, compartecipazione ed empatia.

L’empatia di Andrea nei confronti delle persone care che affollano un mondo di cui va allo scoperta con curiosità fresca e ingenua, l’empatia di Macedonio che recupera una trama di esperienze erose dal tempo con la capacità di comprensione dell’uomo adulto, reso saggio dalla vita, l’empatia dello scrittore che offre ai lettori un tesoro di parole e sentimenti che ci toccano nell’intimo, facendoci ritrovare il fanciullo che è in noi.

Chi scrive queste righe ha iniziato quasi distrattamente la lettura dei racconti di Idria, ma prestissimo si è ritrovato a godere di un dono prezioso e irrinunciabile. Un’esperienza che non lascia indifferenti. È il premio che talvolta tocca ai lettori professionisti e che li ripaga di tante nottate spese male su pagine di poco conto. Un premio che non posso che augurare a tutti di voler condividere.

 

Da: Il Ponte rosso n. 0, aprile 2015

  1. 4-5

Autore: Fulvio Senardi