La Venezia nei difficili anni di Canova e Cicognara

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Un grande intellettuale e “manager” ante litteram alle origini delle Gallerie dell’Accademia

di Nadia Danelon

 

A torto si potrebbe ritenere che la gloria di Venezia, città dei Dogi, abbia avuto termine con la caduta della Repubblica Veneta: la conseguenza diretta dell’insediamento francese (dal 1797) ha portato invece a una volontà di riscatto e di riscoperta, legata a un comune desiderio di tutela nei confronti del patrimonio cittadino. La mostra Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia, allestita nelle sale al pianoterra delle Gallerie dell’Accademia e aperta al pubblico dal 29 settembre 2017 al 2 aprile 2018, tratta un argomento tanto affascinante quanto di fondamentale importanza per la storia cittadina: riscoperto e proposto al pubblico proprio in occasione del bicentenario delle Gallerie, nate con la riforma napoleonica dell’Accademia veneziana.

Procedendo con ordine, è possibile capire le ragioni per cui l’epoca in cui Leopoldo Cicognara ha diretto l’Accademia di Belle Arti di Venezia debba essere considerata di peculiare importanza, tanto per la tutela verso l’arte del passato quanto per l’attenzione nei confronti delle opere di più recente produzione. Grazie all’appoggio di Cicognara e dell’amico Antonio Canova sono entrati in gioco alcuni giovani autori, formati proprio nel contesto della rinnovata accademia veneziana: tra questi, motivo di orgoglio e concreta speranza per i suoi maestri, troviamo il pittore Francesco Hayez. Come accennato, i grandi stravolgimenti che hanno segnato Venezia nell’epoca napoleonica hanno suscitato una volontà di riscatto nei confronti di un periodo complicato e tenebroso, segnato dal trafugamento di molte tra le opere d’arte conservate nel territorio della città: con dolorosa rassegnazione dei veneziani, il 13 dicembre 1797 anche i cavalli di San Marco sono partiti alla volta di Parigi.

La dominazione francese su Venezia, come noto, si divide in due fasi: la prima, immediatamente successiva alla fine della Repubblica Veneta e contrassegnata dall’insediamento di un governo democratico controllato dai francesi, si conclude con il trattato di Campoformio (17 ottobre 1797). Si ha così un periodo di dominazione austriaca che si conclude, il 26 dicembre 1805, con il trattato di Presburgo: il Veneto rientra sotto il dominio francese, finendo per essere devastato da nuovi decreti e continue depredazioni. Si procede quindi con la celebre soppressione dei conventi, delle parrocchie e delle scuole di devozione: di conseguenza, il patrimonio ricavato da questo decreto diventa di proprietà statale. Le opere, collocate inizialmente nei depositi, prendono direzioni diverse: alcune vengono inviate a Milano, per entrare nelle collezioni della Pinacoteca di Brera (il museo principale del regno d’Italia). Altre, purtroppo numerose, sono state vedute all’asta: la dispersione di quegli anni, irrefrenabile, scorpora e devasta l’insieme del patrimonio cittadino. Molte opere non hanno mai più fatto ritorno a Venezia. Una tappa significativa nell’ambito di questa vicenda è collegata al decreto promulgato il 12 febbraio 1807, per mezzo del quale Eugenio Napoleone (viceré d’Italia) ha potuto mettere in atto l’impegnativo progetto di riorganizzazione della settecentesca Accademia di Belle Arti di Venezia, sul modello di quelle di Milano e Bologna. Il rinnovo non modifica solo la burocrazia dell’istituzione e il metodo di insegnamento, ma comprende anche il trasferimento in una sede più consona alle attività previste: abbandonati gli ambienti del Fonteghetto della Farina, l’Accademia viene trasferita nel complesso della Carità. A distanza di un anno dalla promulgazione del decreto napoleonico, la prestigiosa istituzione veneziana è oggetto di un altro profondo cambiamento: con la morte del presidente Alvise Almorò Pisani (12 febbraio 1808), in breve tempo la direzione dell’Istituto viene affidata al conte ferrarese Leopoldo Cicognara.

Gli effetti della nuova amministrazione non tardano ad arrivare: nel 1809 viene attivato per la prima volta un prestigioso concorso, in grado di entusiasmare i promettenti allievi dell’Accademia. Vengono messi in palio tre anni di pensionato a Roma: un’opportunità unica, che permette ai giovani vincitori di vivere nella Città Eterna, alloggiati nel complesso di Palazzo Venezia (già sede dell’ambasciata veneziana) e costantemente seguiti dal prestigioso maestro Antonio Canova. Naturalmente, per continuare a godere di questo privilegio, è stato necessario imporre ai giovani artisti l’obbligo di inviare periodicamente a Venezia le loro opere di più recente produzione: necessarie per tenere costantemente monitorati i progressi derivanti dallo studio delle opere presenti nel contesto romano (molta arte antica, ma anche capolavori del Rinascimento e del Seicento). I primi allievi a beneficiare di questo lungo soggiorno romano sono stati Hayez, De Min, Baldacci e Antolini. Del primo, promotore del Romanticismo in pittura abbiamo già parlato: tuttavia, Canova ha dimostrato anche una costante ammirazione nei confronti di Giovanni De Min, molto abile nel ritrarre il nudo. Inoltre, nel 1813, al talentuoso Hayez viene offerta la possibilità di completare la propria formazione con un quarto anno da passare a Roma: un privilegio ottenuto grazie al suo dipinto Rinaldo e Armida, inviato dall’autore all’Accademia di Venezia e oggetto di sincera ammirazione da parte dei suoi maestri.

Nell’aprile del 1814 sopraggiunge un nuovo stravolgimento politico: viene proclamato il Regno Lombardo-Veneto, si tratta quindi del secondo periodo di dominazione austriaca sul territorio veneziano. La tirannia napoleonica è terminata: finalmente vi è la concreta possibilità di rientrare in possesso dei capolavori sottratti (non solo opere d’arte ma anche libri, manoscritti e altri oggetti antichi), di cui viene tempestivamente chiesta la restituzione. Nell’agosto del 1815, l’imperatore Francesco I si reca al Louvre in compagnia dei suoi delegati, determinato ad ottenere la restituzione delle opere sottratte dai territori posti sotto il suo controllo: l’operazione riesce ed è con sincero sollievo che Canova annuncia il ritorno in patria di una parte del patrimonio sottratto a Venezia nel periodo napoleonico (“Ho la consolazione di dirvi che i nostri quadri veneti sonsi riavuti e già s’incassano per l’Italia”). Un’atmosfera trionfale sancisce la solennità della cerimonia (testimoniata dal dipinto di Vincenzo Chilone presente in mostra) in cui, alla presenza dell’imperatore Francesco I, i cavalli vengono finalmente ricollocati nel contesto della basilica di San Marco: è il 13 dicembre 1815, un evento che riaccende la speranza di restituire la dignità perduta alla città di Venezia, riprendendo le redini di un passato glorioso e millenario del quale è protagonista una tradizione artistica di straordinaria importanza.

La grandiosa esposizione presente alle Gallerie dell’Accademia celebra, come si è detto, una ricorrenza speciale: si tratta del bicentenario di questo museo famoso in tutto il mondo, fulcro della pittura veneziana. Le collezioni, organizzate in origine con scopo puramente didattico, hanno permesso di tutelare sin dal periodo napoleonico una parte del patrimonio cittadino. Successivamente, con l’approdo a Venezia di alcuni tra i capolavori sottratti nel corso della dominazione francese, è stato possibile ampliare la raccolta: in quel periodo sono infatti giunte all’Accademia le opere “rimaste orfane” dei luoghi di appartenenza. Nel 1817, vengono inaugurate le prime cinque sale delle Gallerie: l’apertura al pubblico è breve, ma nel museo giunge una moltitudine di visitatori. Si tratta, quindi, di un’iniziativa di grande successo: un altro grande traguardo raggiunto dall’amministrazione Cicognara.

Un anno dopo, i territori del Regno Lombardo-Veneto vengono raggiunti da una grossa notizia, che di fatto comporta un enorme esborso finanziario: l’imperatore Francesco I si è sposato per la quarta volta. La nuova consorte è Carolina Augusta di Baviera. Alle provincie venete viene richiesto il pagamento di un’enorme somma di denaro: a trovare un compromesso è Leopoldo Cicognara, che propone di saldare una parte del tributo con l’invio alla corte di Vienna di una selezione di opere d’arte realizzate per l’occasione. Una volta approvata la proposta, un gran numero di artisti e artigiani veneti (tra cui spiccano i giovani allievi dell’Accademia e in particolare Francesco Hayez, rientrato da Roma per l’occasione) si mette al lavoro per creare una serie di opere degne di nota, destinate ad abbellire gli appartamenti della nuova imperatrice: nasce così “L’omaggio delle provincie venete”, quasi totalmente ricostruito nel contesto della mostra. La perla rara, in questa serie di capolavori, è davvero prestigiosa: si tratta della splendida Musa Polimnia di Antonio Canova, il principale motivo del consenso dato dalla corte di Vienna all’iniziativa. Si tratta di un ritratto ideale di Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone. Nel momento in cui l’opera viene esposta nella Sala del Capitolo dell’ex Scuola della Carità (all’epoca, l’ambiente più importante delle Gallerie Veneziane), viene svelato anche il segreto celato nel suo basamento: la statua si dimostra in grado di girare su sé stessa, esattamente come un altro capolavoro canoviano e ritratto divinizzato di un’altra sorella di Napoleone, la Paolina Borghese ritratta come “Venere Vincitrice”.

Passano altri quattro anni quando, il 13 ottobre 1822, Venezia viene colpita da un grave lutto: al cospetto di Leopoldo Cicognara, si spegne Antonio Canova, considerato come il più importante scultore della sua epoca. I funerali solenni vengono celebrati alla basilica di San Marco: una veglia ha invece luogo, alla presenza della cassa contenente le spoglie mortali dell’illustre maestro, nella già ricordata Sala del Capitolo all’interno delle Gallerie dell’Accademia. A fare da sfondo al feretro, vi è un dipinto imponente e di gran fama: l’Assunta di Tiziano, rimossa dalla basilica dei Frari ed entrata a far parte delle collezioni nell’agosto del 1816, per volere dello stesso Cicognara. Questa importante cerimonia in onore di Canova è testimoniata da un dipinto presente in mostra, opera di Giuseppe Borsato, utilizzato anche per una ricostruzione virtuale della sala raffigurata. Cicognara decide di omaggiare l’amico defunto con un notevole monumento, opera di artisti veneti, da collocare nella basilica dei Frari: lo contraddistingue la forma a piramide, simbolo dell’eternità, un chiaro riferimento ai progetti di Canova per il monumento a Tiziano (da lui mai realizzato) e per il suo celebre Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria. Nel capolavoro che commemora Canova all’interno della celebre chiesa veneziana è custodita un’urna che contiene il cuore dello scultore: lo “smembramento” del corpo del grande artista indica una sorta di divinizzazione di questo autore di talento, tant’è vero che la sua mano destra viene amputata e custodita per decenni nell’Accademia di Venezia. Il corpo riposa da sempre a Possagno, la località veneta in cui Canova è nato il 1° novembre 1857.

La morte del grande scultore segna la fine di un’epoca: appena un anno dopo, Francesco Hayez si trasferisce a Milano. Nel 1826 Cicognara, infastidito e rattristato a causa delle crescenti difficoltà nei rapporti all’interno dell’Accademia, abbandona la carica di presidente della prestigiosa istituzione veneziana. Con amarezza, rende pubbliche le motivazioni che gli fanno dubitare della fondamentale importanza attribuita alle Accademie di Belle Arti. Si esaurisce così “l’ultima gloria di Venezia”, celebrata in questi mesi dalla mostra di successo allestita alle Gallerie: risuonano nelle orecchie le parole di Lord Byron, la cui permanenza nella città lagunare viene ricordata all’interno dell’esposizione (“…tutto ciò che concerne Venezia è o fu degno d’osservazione; il vederla fa l’effetto di un sogno, i suoi annali sono un romanzo”).

Il catalogo della mostra, pubblicato da Marsilio, racchiude un gran numero di saggi che approfondiscono in modo puntuale ed esauriente gli argomenti trattati.