L’anima di Livio Rosignano negli appunti poetici

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Il disegno come nervatura del pensiero e preludio alla pittura

di Enzo Santese

 

L’abitudine di intercalare la scrittura alla pittura è sempre stato un modulo operativo tipico di Rosignano che negli ultimi anni, costretto a casa dalla malattia, aveva accentuato la tendenza e sempre più spesso alternava il disegno alla poesia o alla narrativa. I suoi erano appunti sparsi, disposti sulla pagina bianca di getto, senza il filtro della disciplina normativa, anche perché diceva sempre di doversi dedicare in un secondo tempo alla revisione che non è riuscita completamente, di modo che a tratti i versi si inanellano con un ritmo torrenziale, dove latita l’interpunzione (riservata a un secondo momento di labor limae) e il pensiero si riverbera sulla pagina quasi in una scrittura automatica accompagnando vari momenti psicologici dell’autore che, peraltro, affida alla parola soprattutto i suoi attimi di malinconia risultando nella maggior parte dei casi permeati da un tocco di elegia. A due anni dalla morte, l’editore Battello pubblica la raccolta Lampi d’amore e veli di malinconie (poesie e disegni); l’opera, si sviluppa lungo una linea che privilegia il dato tematico rispetto a quello cronologico e conferma il carattere vibratile della sensibilità dell’autore, più spesso proteso a considerare la realtà con uno sguardo cupo.

L’obiettivo dell’attenzione inquadra un ambito del quotidiano che, proprio per il fatto di essere confinato solitamente nella marginalità della cronaca oppure nella ripetitività della consuetudine, è assunto da Rosignano come elemento di crescita e centro motore per la distillazione di una poesia, insita nelle cose, nelle persone e nelle vicende che ogni giorno scorrono davanti agli occhi. È un modo per essere dentro quel piccolo universo, ritratto sempre non da un occhio che guarda dall’esterno, ma che da dentro assorbe gli umori del reale centellinandoli in porzioni di calda partecipazione. Non è strano che il tutto provenga da una persona schiva e a suo modo introversa; l’artista mostra infatti una capacità visionaria proprio nell’esercizio di quella sottile immaginazione dentro il labirinto di ambienti, di figure, di oggetti che di fatto appartengono al suo vissuto. Innanzitutto il popolare quartiere di San Giacomo a Trieste, dove risiede da sempre, con i suoi ritmi quotidiani tipici di una brulicante periferia, immediatamente a ridosso del centro cittadino. Poi il mondo delle osterie, dove molte volte il coraggio della parola è istillato dalla compagnia di amici veri o occasionali, che si rapportano tra loro anche sulla liturgia del bere: lo spazio in cui l’allegria meccanica, prodotta dal vino, in ognuno degli avventori si fa splendido pretesto a un’intermittenza del proprio intimo malessere. L’intonazione diaristica si intreccia con quella di una visione negativa di alcuni aspetti del reale. L’autore – sia nella scrittura che nella pittura – è stato per più di mezzo secolo il cantore di un’umanità apparentemente poco titolata a farsi protagonista di eventi poetici; in realtà egli va a scavare nella parte della città meno rivestita di prestigio per indagare su quel tratto di umanità così misterioso, che un artista avveduto e sensibile come lui sa mettere in rilievo in una superficie capace di dichiarare profondamente della seduzione per la l’arte centro- europea, rivista alla luce di un animo che pulsa fortemente a contatto con le atmosfere dell’Adriatico. La memoria è il combustibile per un viaggio retrospettivo in quegli affetti che sono rimasti nei sedimenti dell’anima e si prospettano con sempre maggiore incidenza proprio quando Rosignano avverte il battito di quella vena malinconica, che è una delle caratteristiche portanti della sua personalità, come rivelano alcune delle sue tematiche preferite anche in pittura. La visione di luoghi che hanno perso le connotazioni d’origine senza peraltro aver smarrito la possibilità di essere riconosciuti come teatri minimi dei giochi infantili, gli elementi della natura quali punti di riferimento per un’accensione del ricordo dell’adolescenza, le figure della madre e del padre emerse dalla nebulosa del passato a illuminarlo non sminuito, anzi ingigantito dalla distanza temporale. C’è sempre una sorta di diaframma che sospende – come nella pittura – il tema in un’atmosfera slegata dalla cronaca intima e inserita in una sorta di epopea personale. Così avviene per le donne del popolo che vivono la loro quotidianità di lavoro e di commissioni quotidiane, per gli avventori dell’osteria che cercano nel vino fino all’ora di chiusura l’antidoto alla loro depressione, per il motivo della follia intesa come possibilità di distanziarsi dalle pastoie del reale.

C’è un legame stretto tra gli appunti poetici e gli schizzi e i disegni. L’individuazione di una forma saldamente strutturata nell’orditura grafica a reticoli, condotti con regolarità nella trama oppure con alternanza di addensamenti, avviene per progressiva scoperta del grado di risposta del piano alle sollecitazioni della grafite o del carboncino. Sulla pagina vengono ricomposte suggestioni e dilatazioni fantastiche, puntuali annotazioni fisiche che costituiscono la piattaforma di decollo di un’avventura creativa sempre legata al motivo di partenza, eppur libera di fluttuare in un magma di umori diversi, entro cui è dato rilevare tracce ricorrenti, come la malinconia, il disincanto, la rabbia contenuta in una visione esacerbata.

Certi fogli sono ricchi di prospettive molteplici, ma non risultano solo prospettici: scaturiscono dall’impaginazione e dal concerto di linee in movimento, che creano una profondità partendo solitamente da un primo piano. Nella trama del disegno cova spesso la memoria di una notte insonne, un’impronta di fantasmi privati disposti sulla pagina in una sorta di esorcismo, per cui l’oggetto delle proprie paure e dei trasalimenti viene allontanato da sé e installato in una condizione di specularità; davanti alle componenti naturali e umane, l’artista sente prima una necessità imperiosa d’ascolto e poi, immediatamente, di registrazione in una “scrittura” del foglio per lineamenti grafici. Talvolta la moltiplicazione indefinita del segno dilata lo spazio e allora l’immagine sta lì ad evocare, prestandosi a una serie nutrita di significati. Si legge con immediatezza nel suo livello letterale, ma reclama un’analisi puntuale per la decifrazione dei simboli alla base dell’opera medesima.

Per Rosignano il disegno e la pittura, di cui il disegno stesso è fattore fondante insieme al colore, sono la pellicola di un film sugli atteggiamenti degli uomini nelle loro azioni abituali: i camerieri che si muovono in una danza prosaica, adibita alla relazione con un pubblico che socializza sull’auspicio del brindisi o si apparta idealmente nell'”ascolto” del giornale; la sosta pensosa su una panchina, persone con volti scavati dal tempo e trascinati dallo sguardo verso obiettivi indistinti; i pescatori che coccolano le loro reti; la darsena tagliata dalle geometrie costitutive delle barche; le maternità per nulla eroiche, anzi esaltate nella loro sofferenza da una figurazione sghemba e pietrosa; gli autoritratti come pretesti per misurare la propria sudditanza al tempo che avanza inesorabile; i nudi, quali occasioni per celebrare la volumetria degli affetti.

 

 

 

Copertina:

 

Livio Rosignano

Lampi d’amore e veli di malinconie

Battello stampatore, Trieste 2017

  1. 120, euro 12,00