Laura Grusovin alla saletta della Hammerle

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di Walter Chiereghin

 

La Saletta della Hammerle Editori, a Trieste, in Via Maiolica 15/a, dopo essere stata inaugurata come spazio espositivo con una personale di Deziderij Švara, ospita dal 30 ottobre e fino al 17 novembre una serie di opere di Laura Grusovin, dipinti a olio che esibiscono una volta di più la necessità di manifestare se stessa, la propria storia, il paesaggio in cui è immersa per mezzo di un raffinato e collaudato insieme di strumenti espressivi che consentono all’artista di approfondire quasi ad ogni successivo passo del suo procedere creativo la propria visione del mondo e di sé nel mondo.

Solidamente ancorata a una vocazione figurativa che poco o nulla concede all’astrazione, la Grusovin negli ultimi anni ha in parte – solo in parte, si badi – abbandonato la vena più direttamente ascrivibile a un’ispirazione surrealista, mantenendo tuttavia una modalità espressiva che più o meno esplicitamente interviene sulla tela per mezzo di figurazioni e accostamenti dalla forte connotazione simbolica, in molti casi aperta e scoperta, immediatamente leggibile, in altri casi più sottile ed ermetica, ma sempre rispondente a una sua esigenza di manifestarsi compiutamente, in uno sforzo di chiarezza rivolto tanto a chi ne contempla l’opera, quanto a se stessa. Tra i numerosi artifici di cui si avvale per imbrigliare la propria visione fantastica, sono individuabili con nettezza alcuni stilemi che rendono riconoscibile il suo lavoro, sovente basato su contrapposizioni binarie quali il dentro e il fuori, la luce o la tenebra, l’elevato e il profondo.

Giocando con le metafore che animano i suoi dipinti, divaricati spesso ad includere le polarità opposte cui sopra si è fatto riferimento, Laura Grusovin riesce a trovare nelle sue composizioni fortemente strutturate delle dimensioni aggiuntive, di norma non concesse alla bidimensionalità del piano su cui si esercita. Così il vano di una finestra non si limita ad essere cornice suppletiva di un dipinto, ma separa di volta in volta due fasi diverse della vita, attingendo alla nostalgia di giochi multicolori che rimandano a un’infanzia certo idealizzata, ma comunque fuori della realtà dell’oggi, oppure segna il discrimine tra il mondo reale e quello della memoria o della dimensione onirica, che consente, ad esempio, in una libertà che non risente di alcuna costrizione logica o dettata dalla realtà empirica nella quale ci aggiriamo, di riempire il cielo di pesci o altri animali che prendono il posto delle nuvole.

Per quanto siano accattivanti le immagini che la inesausta fantasia dell’artista ci propone, non si tratta mai, o non soltanto, del prodotto di un suo atteggiamento meramente ludico, né di un compiacimento lirico o elegiaco che rimanda in via esclusiva alla sua soggettività, ma intende essere la rappresentazione, eseguita mediante segni e colori, di una riflessione, quando non di un articolato ragionamento sulla nostra comune condizione umana, della quale, di volta in volta, la pittrice ci suggerisce un possibile sviluppo. Contribuisce di sicuro alla profondità di tali riflessioni il modus operandi dell’artista che richiede una lunga elaborazione del dipinto, fin dalla fase della sua progettazione, la ricerca continua e assidua delle tonalità di colore e degli accostamenti più adeguati, uno studiato gioco di luci, la meticolosa precisione del disegno, tutti elementi che concorrono a costruire l’immagine finale con ritmi sicuramente non compatibili con un’esecuzione “di getto”. Anche tale modalità di esecuzione ha contribuito nel tempo all’edificazione di uno stile preciso e inconfondibile, pure nel continuo variare dei soggetti rappresentati in un progredire insofferente di ogni pedissequa ripetizione o autocitazione.

Due dipinti, nella mostra della Hammerle, sembrano inopinatamente sgattaiolare fuori dal consolidato schema compositivo, dalle consuete tematiche e anche dall’usuale gamma cromatica utilizzati fin qui dalla Grusovin: si tratta di due tele fortemente dinamiche, le più recenti, eseguite nel corso dell’estate passata, improntate da una tavolozza di colori squillanti, da una variazione sul tema della spirale e comunque da una vivacità cromatica e compositiva che non è stata fin qui nelle corde dell’artista goriziana. Se poi tale salto stilistico sia originato da un momentaneo sussulto nella sua creatività o invece costituisca il punto di transizione di due periodi profondamente diversi l’uno dall’altro è troppo presto per dirlo. Sarà quel che sarà, ma è solo da aggiungere che, comunque vada, il lavoro della Grusovin continuerà a elargire generosamente a chi ne fruisce ancora molto in termini di qualità d’esecuzione e di toccante condivisione emotiva.