Carnevale acuminato

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Ho scritto queste righe nella mattina dello scorso 22 febbraio, mentre si profilava ormai con nettezza l’invasione dell’Ucraina in uno degli ultimi giorni del carnevale, che impazzava fuori, ma – a parte forse per i più piccoli, adescati dal costume in maschera e da coriandoli e stelle filanti – la formula un po’ stantia “impazza il carnevale” convince più per il verbo che per il sostantivo. C’eravamo coricati la sera prima meditando sul discorso del presidente di tutte le Russie che giustificava l’intervento trovandone la ragione nel preteso errore di Vladimir Il’ič Ul’janov – più noto come Lenin – che consentì la nascita di una repubblica ucraina autonoma (si fa per dire) nell’ambito dell’URSS. Qualche ingenuo telespettatore italiano avrà pensato che anche noi, eredi diretti dell’Impero romano, avremo le più vaste pretese da poter avanzare, dal Vallo di Adriano (te la do io la Brexit!), alla Dacia o alla Bitinia. Per non parlare, dirà subito qualcuno dalle mie parti, di Istria e Dalmazia. Intanto viene inviato un corpo di spedizione russo nel Donetsk, con carristi e parà mascherati da garanti della pace.

Mascherati anche loro, in questo caso da responsabili sostenitori della maggioranza di governo, i deputati leghisti hanno presentato in commissione Affari sociali della Camera due emendamenti con l’opposizione di destra, l’uno contro la quarantena per i bambini, l’altro contro l’obbligo di lasciapassare rafforzato per gli ultra cinquantenni, in scadenza alla fine di marzo. Due autentici siluri contro il Governo, disinnescati – stavolta – dal voto parlamentare prima della conflagrazione, ma anch’essi mimetizzati da pretesi “miglioramenti” al testo proposto dall’esecutivo.

Intanto, forse per festeggiare la ricorrenza dei trent’anni delle inchieste giudiziarie cosiddette di Mani pulite, i lupi che all’epoca agitavano un cappio a Montecitorio oggi si sono travestiti da agnelli garantisti, promuovendo una raffica di referendum per “tagliare le unghie” a una magistratura riottosa ad ogni richiamo all’ordine da parte della politica. Emblematico, su tutti, il referendum che chiede di abrogare la legge Severino per impedire che decada dall’incarico dopo una prima sentenza di condanna un parlamentare o un amministratore ancora in attesa di sentenza definitiva della Cassazione o, si sa mai, della Corte di Giustizia europea. Sarebbe facile ironizzare sui delinquenti travestiti per decenni da presunti innocenti, per restare nel clima carnevalesco.

Cresce intanto l’occupazione nel nostro Paese, ma anche in quest’ambito, se scostiamo appena la mascherina di questa informazione, ci accorgiamo che sotto di essa compare il volto ghignante di una ripresa drogata, dove quasi per intero i nuovi posti di lavoro sono regolati da contratti a tempo determinato: in molti casi si tratta di cattiva occupazione, fatta di bassi salari e di precarietà.

Se è risultato relativamente semplice camuffare sotto le mentite spoglie dell’equità fiscale gli ultimi interventi in materia, che di fatto accordavano i più sostanziosi risparmi sull’Irpef alle classi di reddito medio alto per elargire pochi spiccioli a quelle più disagiate, risulterà però problematico allestire un ballo in maschera per festeggiare il ritorno dell’inflazione, dacché i cartellini coi prezzi del supermercato, le puntuali bollette di gas e luce, le indicazioni sui distributori di carburante risultano difficilmente celabili. Almeno agli occhi di chi sa bene che ogni aumento dei prezzi, soprattutto per i beni di primaria necessità, si traduce in un aumento della disuguaglianza sociale, in un trasferimento di ricchezza dai percettori di redditi da lavoro dipendente verso coloro che possiedono beni materiali e redditi finanziari.

La guerra iniqua e asimmetrica scatenata dal signore del Cremlino farà sicuramente il resto, per agevolare per tutti un vistoso ritorno all’indietro, tra difficoltà economiche e incertezza sul futuro e sulla stessa pace finora garantita in (quasi) tutto il nostro continente.

Finiamola qua, in fin dei conti è ancora carnevale: alle ceneri ci penseremo domani.