Le ferite di Sarajevo

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di Stefano Crisafulli

 

Sono passati ormai più di trent’anni dall’inizio di quella guerra fratricida nel cuore dei Balcani e dell’Europa che ha portato alle estreme conseguenze, nel modo più violento e sanguinoso, la dissoluzione politica della ex-Jugoslavia, eppure il cinema, prima, durante e dopo, non ha mai smesso di raccontarla. In particolare la città di Sarajevo, martoriata da un assedio durato quattro anni e bersagliata sia dalle bombe dell’esercito serbo-bosniaco sia dai fucili dei cecchini, che sparavano ai civili mentre andavano a procurarsi il cibo o l’acqua per sopravvivere. Ed è proprio la storia di una donna ferita da un cecchino, Asja, ad essere al centro del film di apertura del 34esimo Trieste Film Festival, L’uomo più felice del mondo (Najsrekniot čovek na svetot) della regista macedone Teona Strugar Mitevska, proiettato come evento speciale fuori concorso sabato 21/1 in un Teatro Miela pieno di gente, nonostante il freddo e la Bora. Si è stupita del coraggio del pubblico anche la cosceneggiatrice del film, Elma Tataragić, sarajevese doc, chiamata dalla regista per collaborare ad una storia che aveva bisogno di entrambi i punti di vista: quello interno al conflitto e quello esterno di chi può raccontare i vissuti individuali con una certa equidistanza. Non un’operazione facile, visto che a Sarajevo la guerra è finita da un pezzo, ma gli strascichi dell’odio e del rancore sono ancora ben lungi dall’essere dimenticati, come del resto purtroppo accade in tutte le guerre. Presente in sala, Elma Tataragić ha risposto alle domande della direttrice artistica del festival Nicoletta Romeo alla fine della proiezione.

Tutto comincia con uno ‘speed dating’, ovvero un appuntamento amoroso al buio tra uomini e donne che non si conoscono, organizzato da due entusiastiche organizzatrici in un grigio albergo di Sarajevo. Lì Asja incontra Zoran e assieme a lui dovrà partecipare a tutta una serie di giochi e iniziative per permettere alle potenziali coppie di fare conoscenza. All’inizio bisogna rispondere a domande sulla propria vita e i propri interessi e ben presto Asja scoprirà di trovarsi di fronte una persona che ha un obiettivo diverso rispetto a tutti gli altri partecipanti. Zoran, infatti, non è andato lì per cercare l’anima gemella, ma per svelare ad Asja il suo passato e, soprattutto, per chiederle perdono. È lui, in qualità di cecchino dell’esercito assediante, ad averle sparato dalla finestra di fronte alla sua casa, rischiando di ucciderla. Da quel momento in poi Asja riverserà su di lui la rabbia per ciò che ha vissuto, coinvolgendo, però, via via anche gli altri e spostando, dunque, la vicenda personale su un piano collettivo. Riemergono così le tensioni sopite di carattere politico, etnico e religioso che avevano caratterizzato il conflitto, fino al raggiungimento di un climax che riporterà tutti alla situazione presente. Non rimarrà in sospeso, però, la richiesta di essere perdonato da parte di Zoran, che verrà, alla fine, accolta da Asja, dopo una danza liberatoria. Un finale che è ancor di più un auspicio, affinché prevalga, col tempo, la ragionevolezza e la possibilità di costruire un futuro anche per gli abitanti di una città ferita come Sarajevo.