Freud e Gadda nel XXI secolo

| | |

Come nel 1914, nel 2018 esiste solo il presente

di Francesco Carbone

 

 

 

 

«Italiani, vi esorto alle istorie!

Tra le quali ci guazza dimolto sterco, mi pare a me.»

(Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo)

 

 

«Chi prova ad appropriarsi del proprio passato

sommerso deve agire come chi scava.

Soprattutto non deve temere di tornare sempre

allo stesso identico fatto – per smuoverlo

come si smuove la terra, per agitarlo da cima a fondo,

come si agita da cima a fondo il suolo.»

(Walter Benjamin, Scavare e ricordare, 1932)

 

 

Nel labirinto italiano attuale, molto urlante, congestionato e cafone, potrebbe aiutarci a non perderci del tutto riprendere pensieri e ragionamenti non proprio sulla punta della lingua del Senso Comune dominante. Per capirci qualcosa, dovrebbe venir naturale rivolgersi a quei tempi del passato, vicini e lontani, in cui si siano date condizioni simili: Machiavelli faceva così, e lo si legge ancora in tutto il mondo, sempre fresco come una pesca colta dall’albero. Così, inevitabilmente, ci si ritrova sempre a quel punto cruciale e catastrofico: al 1914, che scatenò in Occidente dèmoni e diavoli con una violenza senza pari per l’inizio della nostra folle guerra dei trent’anni (1914-1945). Solo in un paio di brevi periodi ci illudemmo di esserci liberati dai nostri mostri: il secondo dopoguerra e la caduta del muro di Berlino. Tempi felici, visti da quest’oggi in cui brancoliamo di nuovo tra nazionalismi che si fanno chiamare sovranismi, resi afoni dal bisogno isterico e generale di guide semplici e carismatiche, seppelliti sotto il martellare della propaganda: raffiche di news, che esorcizzano come fake tutte le versioni che non piacciono, comprese le proprie quando pare il caso di cambiare versione. Come nel 1914, nel 2018 esiste solo il presente.

 

Intanto capita di leggere Freud, che nel 1915 scriveva che sempre, quando prevale l’elemento emozionale, anche l’intelligenza più aristocratica si comporta «come uno strumento al servizio della volontà», producendo «il risultato che essa gli impone»; questo soprattutto quando l’emozione è un fatto di massa: «è veramente come se, per il solo fatto che una moltitudine, o milioni di uomini, si riuniscono, tutte le acquisizioni morali dei singoli si annullassero, lasciando sussistere soltanto gli atteggiamenti psichici più primitivi, più antichi e più rozzi» (S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, 1915). – Aiuto! Siamo ancora a questo punto? Nonostante la storia della psicanalisi sia anche una storia di scissioni e anatemi, almeno su questo, da allora a oggi, i dottori della psiche sono rimasti unanimi: la massa, e soprattutto al massa in guerra, genera per tutti una condizione regressiva e sostanzialmente paranoica. Lo scrivono Freud, il ripudiato Jung, Lacan, e, tra i nostri attuali, Galimberti, Recalcati, Zoja (del quale è utilissimo Paranoia. La follia che fa la storia, 2011). Aggiungiamoci il libro più geniale sul carattere italiano predominante nel XX secolo, l’Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda, finalmente pubblicato senza censure e con un apparato critico perfetto da Adelphi nel 2016.

 

Grandezza di Freud, che, già in mezzo ai deliri ancora speranzosi del 1915, aveva capito che, chiunque avesse vinto la guerra, la catastrofe culturale dell’Occidente era ormai irrimediabile: «ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato così profonda confusione nelle più chiare intelligenze, degradato tanto radicalmente tutto ciò che è elevato». L’altro isolato a capire fu Karl Kraus, che sempre durante la guerra scriveva Gli ultimi giorni dell’umanità. Qualcuno ascoltò? Subirono, come quasi sempre quelli che vedono più in là del loro naso, la condanna che aspetta ogni Cassandra.

La prima guerra mondiale fu un crimine di massa: «Credete veramente che un pugno di arrivisti e di corruttori senza coscienza sarebbe riuscito a scatenare tutti questi spiriti maligni, se milioni di uomini al loro seguito non avessero anch’essi la loro parte di colpa? Osate anche in queste circostanze spezzare una lancia in favore dell’esclusione del male nella costituzione psichica dell’uomo?» (S. Freud, Introduzione alla psicanalisi, ciclo di lezioni tra il 1915 e il 1916).

Il male è nella possibilità sempre latente della regressione a «stati primitivi» e narcisisti: con molta fatica ogni uomo è stato costretto a farsi civile, rinunciando al soddisfacimento delle proprie pulsioni; con molta fatica ha imparato la Legge, che è sempre riconoscimento dell’Altro, in quel passaggio traumatico che Freud ha chiamato Edipo (questa la fondamentale interpretazione di Jacques Lacan). È quindi l’educazione che ha il compito di fare dell’uomo quello che Aristotele credeva fosse il suo carattere innato: un animale politico. L’educazione è una battaglia perenne. E il prezzo che ognuno paga per adattarsi agli altri lascia un inconscio primordiale rancore: «quel che vi è di primitivo nella psiche è veramente imperituro», mentre «il processo distruttivo colpisce solo acquisizioni e fasi evolutive recenti» (di nuovo Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte).

 

Dunque, perché stupirsi di quell’inconscio a cielo aperto che è lo sproloquiare di Trump e dei suoi cloni anche italiani? «L’uomo preistorico continua a vivere inalterato nel nostro inconscio», e l’inconscio «non conosce in generale alcunché di negativo». L’abolizione del negativo è il jolly del leader, specie occidentale, che sta andando per la maggiore. Soprattutto se si presenta come il demiurgo di una distruzione, il nuovo leader mostra «pochi bisogni, di cui il minore è sapere cosa subentri al posto di ciò che è stato distrutto. […] Il carattere distruttivo fa il suo lavoro, evita solo quello creativo. Come il creatore cerca la solitudine, così il distruttore deve circondarsi di gente, di testimoni della sua efficacia. […] L’esser frainteso non può nuocergli.» (Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, 1931).

 

Dato questo circolo tra leader esorcizzatori del negativo e masse che in loro si rispecchiano, si sarà costretti a pensare che l’Occidente è abitato ancora una volta da popoli di deficienti? Gadda per l’Italia fascista lo scrisse. – Freud capì la portata della prima guerra mondiale; Gadda scrisse Eros e Priapo durante la seconda: una tela di Penelope via via ampliata, sfatta e rifatta, fino al 1961 (tutta la storia è mirabilmente ricostruita nelle Note al testo di Paola Italia e Giorgio Pinotti). Per lui, grazie anche a Freud, si trattò di riconoscere nel fascismo gli uomini; in particolare «per capire, attraverso una degenerazione estrema, l’articolarsi del delicato rapporto tra narcisismo individuale e vivere civile». Il risultato fu, «più che un pamphlet antimussoliniano, un trattato di psicopatologia delle masse valido in ogni epoca e per ogni forma di totalitarismo» (Paola Italia e Giorgio Pinotti, Note al testo di Eros e Priapo). Quindi buono anche per noi, anche per l’adesso.

 

Si ha una sensazione di eterno ritorno dell’uguale italiano, leggendo che già nel ventennio trovarono il loro posto al sole «que’ liceali trombati a mezzo che erano di fatto, quegli universitari malinconici e titubanti con diciotto esami da smaltire fuori corso […], insigniti di laurea fasulla più o meno corporativa o scienzepolitichesca»; «si trattava per lo più di poltroni, di gingilloni, di senza-mestiere, dotati soltanto d’un prurito e d’un appetito che chiamavano virilità, che tentavano il cortocircuito della carriera attraverso la politica; intendendo essi per politica i loro dipartimenti camorristici»; «giovinastri pronti a tutto per tirare a casa un biglietto da cento: pronti a tutto e in primis a leccare chi è in alto…»: viene in mente qualcuno?

«Quanti? Quanti? Dico quanti sul novero?». E quanti oggi? Gli elenchi di Gadda sono stupendi e strepitosamente reali, quindi grotteschi, comici, gogoliani. Trent’anni dopo, senza aver avuto bisogno di leggere una riga di Freud o di Gadda, Berlusconi capì cosa volesse dire avere a che fare con gli Italiani e quali erano e sono i bacini elettorali interessanti: la quindicina di milioni di analfabeti funzionali o quasi, i dieci milioni di puttanieri, gli undici milioni di dipendenti da psicofarmaci, gli innumerevoli evasori fiscali; una massa che passa in blocco quattro ore e venti minuti al giorno davanti alle sue televisioni e almeno due sui social e sul cellulare: in un anno fa il tempo per leggere trecento libri. Dieci milioni di genitori di adolescenti (due terzi vivranno fino a trentacinque anni con mamma e papà) che sono già in ritardo di tre anni sui coetanei degli anni Settanta (ricerca della San Diego State University e del Bryn Mawr College, incrociando dati di oltre otto milioni di persone, pubblicato su Child Development). All’opposto, come ai tempi di Mazzini, la «sinistra» rischia di parlare a un popolo che non esiste.

Gadda: «Il senno medio nazionale è quello di un bambino di due anni e mezzo pur essendovi ceti, uomini, collettività perspicaci», con una memoria media che «non risale ad oltre 10÷15 giorni all’indietro rispetto all’attimo vissuto»; è appunto l’Italia che Berlusconi ha sentito nelle vene (Questo è il Paese che amo, 1994), e che, ancora prima della discesa in campo, presentò per quello che era ai suoi procacciatori di pubblicità: Machiavelli avrebbe lodato una così lucida capacità di stare alla verità effettuale della cosa.

 

C’è un legame inscindibile tra smemoratezza e narcisismo: come nel Dorian Gray di Oscar Wilde, il narcisista non deve conoscersi per amarsi, né può farsi conoscere dagli altri: conta solo l’idolatria della propria maschera. E dovrebbe fare impressione, in questo tempo di insegnanti che vengono picchiati e dileggiati da studenti e genitori, leggere in Gadda che il tipo narcisista fu l’humus del fascismo: «egli è fermo a otto anni. Egli è irremovibile come ippopotamo. Egli assevera come un decenne, denega come un undicenne. Il suo dettato di ragazzo cretino è inesorabile»: ci si para davanti una pletora di politici di fresco conio, di capifamiglia che pontificano a vanvera al bar e sul lavoro, di seduttori da spiaggia, di imprenditori piccoli e grandi dalle dichiarazioni dei redditi farlocche, benedette da ognuno dei capigoverno di turno.

 

A parte l’autoculto della personalità, idee? Il narciso «non bada al contenuto di codeste idee: purché le siano idee da poterne fare sfoggio su i’ su’ culo, lui le infila tutte le une e le altre, e anche le contraddittorie»; «un cosmo sciocco inesorabilmente centrogravitante: secondo la qual gravità centripeta tutto ch’è in lui gli è bene, onore e fulgore e bellezza: tutto ch’è fuor di lui gli è miseria e stupidità, o tenebra: cioè addirittura non esiste»; «lui vede e dice Io-Io-Io, Lui ejacula Io»…

Questo ejacularsi la psichiatria lo chiama pseudologia phantastica: è il parlare a vanvera credendo alle proprie balle. Scrive Gadda: «consiste nel negare una serie di fatti reali che non tornano graditi a messere lo Tacchino, e nel dare come esistenti in cassa una serie di imagini e fantasie che gli titillano al prefato messere il bucio dell’ano del sedere». – Siamo come prima e più di prima in questo stagno. Da generazioni tirate su a tv berlusconiane e scuole facili, sono emersi leader tali e quali: «di nissun’arte buoni se non che a ciance», con «quel maestro senso e quell’abilitata prestezza dell’appicciar tra loro gli estremi capi del Nulla», «con quella pronta mimesi ed espedita procedura del furbo di provincia»…

 

Questi imbonitori sprigionano a loro modo un fascino (il fascino di Dulcamara). Trump – che , preso il voto degli operai, ha lasciato l’economia agli stessi che hanno provocato il disastro mondiale del 2008 – ha portato rapidamente al delirio la righteousness: il sentimento paranoico e molto americano di essere sempre e comunque nel giusto: il contagio ha subito raggiunto tutte le provincie dell’Impero. È un meccanismo che funziona: «La società è sempre incline ad accettare lì per lì una persona per quello che pretende di essere, di modo che un ciarlatano atteggiantesi a genio ha sempre qualche probabilità di essere creduto» (Hannah Arendt, Le origini del totalitarisimo, 1951, capolavoro che non si finirà di leggere e rileggere).

Catturati nel miraggio del fascino del megalomane, i vivi «non pensano pensieri autonomi. Non si interessano agli uomini che hanno vicino, non per malvagità, ma perché non li capiscono» (Luigi Zoja, La morte del prossimo, 2009). La conseguenza etica, ahimè molto aristocratica, Gadda la chiarì in un’inchiesta sulla fine del fascismo del 1961: «È necessario vincere il fascismo in noi stessi […] nella nostra capoccia di superuomini cretini o addirittura malati di malattia mentale». Intanto questo, per non ridurci a dirci che ormai «non sappiamo più agire (…). Non sappiamo che applaudire» (C. Malaparte, Kaput).