Eliott Erwitt a Pordenone

| | |

Tra gli sguardi più originali e innovativi della fotografia nei decenni tra la seconda metà del ‘900 e l’inizio del Duemila

di Paolo Cartagine

 

Alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone, al suo esordio in Italia, è visitabile fino 10 febbraio 2023 la mostra fotografica Elliott Erwitt. Il mio sguardo sul mondo, curata da Alessandra Mauro, promossa dal Comune di Pordenone con il CRAF Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo e con l’Editrice Contrasto di Milano.

Elio Romano Erwitz, nato a Parigi nel 1928 da genitori ebrei di origina russa, aveva vissuto a Milano fino al ’38. A seguito delle leggi razziali la famiglia emigrò negli Stati Uniti d’America, e il suo nome venne trasformato in Elliott Erwitt, più vicino alla lingua inglese. Terminati gli studi di fotografia e di cinema, era entrato come fotografo nell’Esercito americano. Dopo il congedo, conosciuto Robert Capa, aveva intrapreso la carriera di fotografo freelance. Dal ’53 fa parte della prestigiosa Agenzia Magnum Photos per la quale ha prodotto i reportage che gli hanno valso fama internazionale. Dal ’70 si dedica anche a lungometraggi, documentari e spot televisivi. Attualmente vive a New York, dove risiede dalla metà del Novecento.

L’esposizione è integrata dal volume Erwitt Fotografie ritrovate, non perse (Ed. Contrasto 2021), e dal docu-film I Bark at Dogs (Io abbaio ai cani) uscito nel 2011.

Oggi Erwitt è riconosciuto come uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, e le sue foto e i suoi libri sono sempre molto richiesti per le immagini che contengono. Indimenticabili, in particolare, quella del celebre diverbio ravvicinato a Mosca fra Chruščëv e Nixon, e quella del funerale di J. F. Kennedy dove risalta lo sgomento del fratello Robert e, soprattutto, il dolore e lo smarrimento di Jacqueline. Con i suoi scatti ha immortalato grandi star (Dietrich, Monroe, Gable) al tramonto del cinema hollywoodiano classico, e ha dedicato molte pagine ai suoi amati cani.

Erwitt si era rivelato da subito come fotografo dalle idee chiare, dalla grande precisione e dalla completezza informativa trasposta in un essenziale bianconero.

Oltre alle immagini “pubbliche” riguardanti la nostra Storia più o meno recente, la sua poliedrica e originale produzione comprende altri temi che vanno dal “costume” (imperdibile la serie in cui sono ripresi i visitatori nei musei) alla vita quotidiana, alle immagini “private”. Ma Erwitt è apprezzato anche per le sue ricerche di straordinario rilievo e attualità sui grandi temi di fondo, dal sociale alla povertà alla discriminazione razziale. Aveva in particolare fatto il giro del mondo la foto che, nel 1950 in un bagno pubblico di Wilmington piccola città della Carolina del Nord, ritrae un uomo di colore intento a bere da uno sgangherato lavandino sovrastato da una targa con la dicitura in stampatello “colored”. Più in là, un moderno e pulito lavabo dove un’altra targa indica “white”.

Certamente meno conosciuta, ma di sicuro interesse locale, Trieste, 1949 che mostra due soldati statunitensi del Governo Militare Alleato sulle Rive in un momento di pausa dal servizio; quello seduto su una bitta sta leggendo Inside Detective, rivista specializzata in storie criminali.

Settant’anni di ininterrotto lavoro sono condensati in una sintesi riassuntiva costituita da fotografie celebri, e da altre inedite selezionate di recente dall’autore stesso fra 600 mila provini. Dunque viene spontaneo chiedersi: perché Erwitt aveva confinato una così cospicua parte delle proprie foto nel silenzio e nel buio di un archivio, lasciando trascorrere tanti anni prima di ripescarle dall’oblio? Un’imposizione dell’industria culturale, oppure una sua autonoma decisione?

In realtà la mostra non mira a sviscerare dubbi – e dunque ogni visitatore potrà trarre le proprie conclusioni – in quanto punta direttamente farci vedere come Erwitt ha guardato alla vita e al mondo. Per evidenziare la continuità del suo operare, nell’open space della Galleria sono mescolate senza distinzioni le foto inedite e quelle celebri, affinché il visitatore possa addentrarsi in una lettura libera e personale, lasciarsi coinvolgere dalle suggestioni che le immagini suscitano, apprezzare il composito repertorio dell’autore intriso di empatia verso tutti e vicinanza agli “ultimi”.

A questo proposito basti pensare a due foto. In New Orleans, Louisiana 1947, immerse in un paesaggio di una periferia scialba e disadorna, compaiono affiancate due bambine di colore che guardano in macchina fiere; una regge una bambola bianca, l’altra più sorridente tiene in braccio una bambola nera. In Valencia, Spagna 1952, all’interno di una decadente abitazione due innamorati si stanno baciando: in secondo piano, sulla parete della cucina, si legge in un incerto stampatello “papas r.i.p”. Per entrambe le foto, un fiorire di ipotesi interpretative che fanno riflettere sul destino degli esseri umani rispetto al tempo a venire e a quello già passato.

Nel suo insieme, Elliott Erwitt. Il mio sguardo sul mondo è una narrazione per episodi perché ogni foto racconta una storia in maniera completa e autosufficiente. L’autore sceglie di farlo – con il suo consueto modus operandi che lo ha sempre contraddistinto – cogliendo i suoi soggetti inseriti nel contesto. Per ottenere questo risultato espressivo utilizza un obiettivo fotografico di caratteristiche tali da restituire (sul fotogramma della pellicola e poi sulle stampe) una prospettiva simile a quella recepita dall’occhio e dal cervello umani. L’autore procede alle variazioni di scala avvicinandosi al soggetto per ingrandirlo e dargli maggior rilievo, oppure allontanandosene per sottolineare l’importanza dell’ambiente circostante, cioè sceglie sul campo cosa escludere e cosa includere (e come farlo).

Non sono altro che gli strumenti di base della scrittura foto-grafica finalizzata alla semplificazione visiva dell’inquadratura. La sua abilità e la (apparente) semplicità dello stile fanno sì che le immagini siano in realtà delle vere e proprie descrizioni che attivano l’immaginazione del lettore coinvolgendolo nelle sfumature della narrazione.

L’efficacia comunicativa delle foto di Erwitt è arricchita dai sentimenti che in lui precedono e portano allo scatto, ed è spesso attraversata da un’ironia arguta e delicata; sono fattori che, in qualche modo, aggiungono due ulteriori punti di vista, come se – metaforicamente – nella foto fossero presenti più figurazioni che si intrecciano e si sovrappongono in trasparenza completandosi a vicenda.

Tra gli sguardi più originali e innovativi della fotografia nei decenni tra la seconda metà del ‘900 e l’inizio del Duemila, Erwitt ha percorso il mondo osservandolo con partecipazione e occhio critico, per conoscerlo e lasciarsi sempre sorprendere da mille aspetti straordinari o di consueta normalità, tragici o teneri, banali o irripetibili con cui la vita si è manifestata di fronte a lui, e che lui ha fermato per noi con la sua macchina fotografica.

Non sono molti gli autori che hanno saputo guardare e interpretare il mondo come lui.

 

Nikita Chruščëv e

Richard Nixon

Mosca 1959