VIRTHAL

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Un inedito di Giuseppe O. Longo

 

 

Le lampade basse inondavano lo stanzone dell’obitorio di bianca luce crudele. Il medico legale si chinò leggermente e sollevò il lenzuolo.

«Guardi, signor giudice. Non ho mai visto niente di simile. Una specie di trasformazione. Interrotta a metà. Collasso cardiocircolatorio. Peli così neri. Lunghi. Da scimmia. Ma solo sulla metà destra del corpo. Anche i muscoli, gli arti più corti e tozzi. Solo a destra. A sinistra è un uomo normale, invece a destra…»

«A destra?» chiese il giudice istruttore, come se non avesse sentito. Fissava il cadavere mostruoso con un misto di ribrezzo e di stupore. L’acidità di stomaco lo tormentava. Una notte insonne. Vivere da solo. A sessant’anni non è piacevole. Si riscosse alla voce del medico.

«A destra… è come se fosse di un’altra razza… primitiva… paleo… paleo…»

«Paleozoica» mormorò il giudice.

«Sì, anche se non può essere…» disse il medico, «mi ricorda qualcosa…»

Anche al giudice ricordava qualcosa quell’essere deforme, metà uomo metà… Il viso era contorto, la parte destra s’ispessiva nelle arcate sopracciliari, nella mandibola enorme. Era strano come le due metà si raccordassero sul piano di mezzeria del corpo, ma era un raccordo deforme, un pasticcio anatomico. Il giudice pensò per un attimo al mostro di Frankenstein…

 

***

 

«Vediamo di ricapitolare, ma si attenga ai fatti» disse il giudice con un sospiro. Il commissario estrasse un taccuino dalla tasca della giacca. Al giudice parve impossibile che i fatti potessero stare su quei piccoli fogli a quadretti, tutti sgualciti.

«La vittima… l’uomo… insomma il morto… è il professor Tárgyak. Si occupava di… vediamo… realtà virtuale… una specie di cinematografo…»

«Si attenga ai fatti» ripeté il giudice senza troppa convinzione. Neppure lui sapeva bene che cosa fosse la realtà virtuale, aveva letto qualche articolo di cui non gli era rimasto quasi niente. Mentre ascoltava osservava il casco, i guanti, il calcolatore, la poltrona del professor Tárgyak. La sera prima qualcosa era andato storto.

«Dagli appunti del professore», leggeva intanto il commissario, «ecco qua… Seduta conclusiva. Ricostruzione dei Cro-Ma-gnon… quasi perfetta. Sistema vulnerabile. Possibile aggressione virale. Rafforzare frangifiamme. Pa- le- onto- logia, mi scusi signor giudice, pale-an-tro-po-logia, mi scusi, sono nomi che non conosco… immersione nella savana primitiva…»

Il giudice si distrasse di nuovo. Una fitta allo stomaco. Gli capitava spesso negli ultimi tempi. Doveva smettere di fumare, il medico era stato tassativo… da quando era rimasto vedovo… Dunque Tárgyak voleva costruire uno scenario per addestrare i paleo… paleo… insomma quelli che studiano gli uomini primitivi… dar loro una visione… in modo che potessero spostarsi a piacimento nella savana… ma quali incontri potevano fare in quella pianura sterminata, coperta di erba giallastra che ondeggiava nel vento torrido… Là sotto poteva nascondersi qualunque cosa… qualcosa di tremendo… una svolta evolutiva sbagliata… una contaminazione genetica… un virus mostruoso… cercava di mettere a fuoco i frammenti delle sue letture disordinate.

«Senta» disse mentre l’assaliva un’ondata di nausea, «dov’è quel… come si chiama, quel tale che si è costituito… lo porti qua.»

 

 

***

 

Il giovanotto sedette sull’orlo della sedia. Capelli lunghi, occhiali spessi. Il giudice lo guardava diffidente. Avrà sì e no venti ventidue anni. Tutto il giorno sul computer, in quello scantinato. Come li chiamano questi qui…

«Come vi chiamano, voialtri?»

«Hacker. Ci chiamano hacker. O cracker, o anche spoofer. Cioè, viviamo nel ciberspazio…»

«Lasci perdere» il giudice si ricordò che quella sera c’era la riunione condominiale. La questione dell’antenna… poi i lavori alla facciata… Un senso di repulsione per quei discorsi vacui, per quella gente sguaiata che urlava e tentava di sopraffarsi a vicenda… Quelle assemblee non facevano certo bene alla sua ulcera. Tornato a casa doveva bere un bicchiere intero di Fosfidral, e allora il bruciore si calmava un po’ e poteva dormire per un paio d’ore. Si riscosse, guardò il giovane sciamannato lì davanti che lo guardava con fare interrogativo e assunse un’aria professionale. «Mi racconti di ieri sera.»

«L’ho già detto al commissario, non è stata colpa mia… cioè il programma girava bene… ho detto proviamo a lanciare il nuovo virus… è un programma per giocare, tipo… cioè a volte può fare dei danni, ma solo ai dati… mai alle persone… si moltiplica, magari fa fuori un archivio, una banca… le memorie saltano… lui si moltiplica… si annida in un punto della memoria, va in rete, circola… cerca i pertugi, le falle, i buchi… s’infila dove può… sì, cioè, come un’infezione, tipo… continua a moltiplicarsi… invade tutta la memoria, sì, cioè, trova gli anelli deboli… si possono costruire delle barriere, noi diciamo frangifiamme, firewalls… poi ci sono i vaccini che entrano in funzione per bloccare il virus… ma ieri… ieri…»

«Ieri?»

Il giudice non capiva bene quei farfugliamenti, tutti quei cioè, quei tipo, guardava il giovanotto allampanato, le scarpe da ginnastica, il maglione sdrucito, gli occhiali spessi, qua e là sulle guance e sul mento gli spuntava qualche peluzzo nero crespo di una barba che non si decideva a infoltirsi. In un angolo il commissario prendeva appunti e ogni tanto faceva con la bocca un rumore succhiato, come per togliersi un frammento di cibo dai denti.

«Ieri sera il mio virus si è infilato nel computer di Tárgyak… chissà perché non era protetto… cioè di solito c’era un firewall, forse stava cambiando la password… ha incontrato i Cro-Magnon… io lo sapevo, cioè ero al corrente delle sue ricerche… era un pezzo che volevo fargli uno scherzo, tipo… ma non immaginavo che… insomma il virus ha attaccato il programma dei Cro-Magnon, cioè… li ha trasformati uno a uno in Neanderthal… era un virus che genera i Neanderthal, tipo…»

«Neanderthal…» mormorò il giudice ricordandosi di una vecchia illustrazione vista da ragazzo su un’enciclopedia. Il giovane continuava a borbottare.

«I Neanderthal sono tozzi, pelosi, aggressivi… si moltiplicavano intorno a Tárgyak nella sua savana… ma tutto doveva restare dentro il programma… cioè… Tárgyak si sarebbe trovato i Neanderthal invece dei suoi Cro-Magnon biondi e slanciati e… capisce… uno scherzo, il mio virus era uno scherzo, tipo… si chiama virthal, trasforma ciò che incontra in qualcosa di arcaico, di primitivo… una regressione genetica… ma sempre dentro il programma… creature informatiche… nel ciberspazio, cioè, non sapevo che potesse trasformare anche gli operatori… forse Tárgyak era entrato in contatto troppo stretto con la sua realtà virtuale… non so… è stato aggredito dal virus… cioè…»

«Basta così» disse il giudice, «commissario, lo faccia accompagnare in cella, domani vedremo.» Una mano gigantesca gli torceva i visceri. Tornare in quella casa vuota… La riunione condominiale… virthal… come possono accadere certe cose… Poco dopo il commissario rientrò. Il giudice si alzò per andarsene. «Commissario, vorrei un rapporto completo domani mattina alle nove». Uscì nella sera di novembre, nella foschia lattiginosa in cui si perdevano gli aloni stanchi dei lampioni.

 

* * *

 

La mattina dopo trovò sulla scrivania il rapporto del commissario, ma non c’era niente di nuovo. Scosse la testa, ma subito l’assalì una fitta alla tempia. Si accese un’altra sigaretta, odiandosi per la sua debolezza. Decise di andare di nuovo all’obitorio, quel Tárgyak… quell’essere… il mostro… lo inquietava e lo affascinava, voleva vederlo di nuovo. Mentre attraversava i lunghi corridoi che dal suo ufficio portavano alla morgue ripensò con un senso di disagio alla riunione della sera prima. Uno dei condomini, un tipo violento e nerboruto, l’era presa con lui per un’osservazione scherzosa su un punto all’ordine del giorno e l’aveva quasi insultato. Il giudice non aveva avuto il coraggio di reagire, ma l’incidente non gli aveva fatto chiudere occhio. Ora gli pareva di avere la testa piena di bambagia e di affondare in un mare opalescente, soffocante.

Il medico legale non c’era. Il giudice chiese all’inserviente di estrarre il cadavere di Tárgyak dal frigorifero. Quando fu solo esitò a lungo prima di sollevare il lenzuolo. Poi si decise e scoprì completamente il corpo. Benché l’avesse visto il giorno prima, ne provò comunque un’impressione enorme. Nel silenzio del camerone, sotto le luci al neon, l’orrenda disarmonia del cadavere lo sopraffece. Si chinò per osservare da vicino la zona di transizione, il passaggio da Cro-Magnon a Neanderthal, che nelle ere aveva probabilmente richiesto migliaia di anni per compiersi, ma all’incontrario, e che lì, sotto i suoi occhi, era coagulato in una sorta di cicatrice che dal cranio scendeva fino al pube, spaccando in due quell’essere che non doveva esistere. Che cosa aveva provato, Tárgyak, quando era avvenuta la mutazione, o meglio la mezza mutazione? Dolore, angoscia, disperazione, impotenza… Quanto era durata quella trasformazione? Ripensò a una sua lontana lettura, a quell’immenso insetto in cui il giovane Gregor Samsa si era trovato rinchiuso dopo una notte di sogni inquieti. Ma almeno Samsa si era trasformato tutto

Dopo un tempo, il giudice si scosse da quella visione che lo turbava e lo commoveva stranamente con la sua nudità tragica e inerme. Allungò una mano verso la cicatrice, rosea e traslucida, tesa nel mezzo e un po’ sollevata agli orli ispidi di peli. Poi, con un dito, sfiorò quella carne dolente. Ne provò una sensazione forte, una sorta di scarica che dal dito gli si propagò al braccio e poi alla nuca e al dorso, come tante manine che lo solleticassero tra risate argentine di bimbi che subito si persero in un fruscio di foglie secche, in un rotolare di matite. Ebbe la visione di una piccola forma mercuriale che gli balenò tra le dita per sparire subito, assorbita dalla pelle. Ebbe un brivido che dal braccio raggiunse il dorso, di lì il sacro e poi scese lungo le gambe: e gli venne da piangere. Uno sconforto irrimediabile, come di vita perduta, di ricordi e di rimpianti, un turgore dell’anima che andava e veniva tra smarrimenti. Il suo corpo fu assalito da tremolii e sussulti, barbagli accecanti di luce gli ferivano gli occhi che teneva ostinatamente chiusi, mentre il dito continuava a premere sullo sfregio che segnava quel cadavere infelice. Poi sentì che il suo corpo si fendeva, una lama gigantesca lo tagliava in due e quello squarcio gli diede un sollievo immenso, come se la causa di tutto quel tormento fosse stata finalmente estirpata. Avvertiva una calma solenne, come di nubi torreggianti su uno sfondo di lapislazzuli, uno sdoppiarsi di terra e cielo separati da un orizzonte corrugato e petrigno. Il cielo rimaneva fermo sotto quel carico di nubi bianchissime, mentre la terra si gonfiava minacciosa e si torceva per brevi scosse telluriche. Sentì la parte destra del suo corpo percorsa da brividi e tremori e dilatarsi e assumere dimensioni gigantesche. La manica della camicia si lacerò sotto quel lievitare, la giacca si spaccò con un crepitio che gli giunse agli orecchi da una lontananza. L’occhio destro si gonfiava premendo contro l’orbita in un susseguirsi di lampi dolorosi che gli si conficcavano nel cervello. Ebbe il tempo di pensare ecco il virus, l’algoritmo mi ha invaso e mi sta lavorando… finché sentì il fremito supremo, la vita restringersi nel piccolo golfo tra la gola e il cuore, poi un grido silenzioso nel nulla.

 

* * *

 

Il medico legale lo trovò riverso sul cadavere di Tárgyak, supino, a braccia spalancate, i due corpi a formare una croce grottesca. Dopo un primo momento di stupore orrorifico si chinò sul cadavere del giudice e lo fissò negli occhi, così diversi tra loro, adesso, uno azzurro cupo come il cielo del tramonto precoce che si scorgeva fuori dei finestroni dell’obitorio, l’altro nero, enorme e smarrito, stranamente dolce come quello di un cetaceo, che sembrava aver contemplato ciò che ai Cro-Magnon è precluso per sempre.

 

 

febbraio 1994

riveduto novembre 2015

 

qualcosa di tremendo… una svolta evolutiva sbagliata… una contaminazione genetica… un virus mostruoso

 

 

Nel silenzio del camerone, sotto le luci al neon, l’orrenda disarmonia del cadavere lo sopraffece