Le geometrie immaginarie di Escher

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In mostra al Salone degli incanti di Trieste una quantità di calcografie dell’autore olandese

di Walter Chiereghin

 

Dopo aver provato con scarsi risultati di affluenza e pressoché nulli dal punto di vista storico-artistico la via di un’autonoma politica culturale con le mostre della collezione Cavallini Sgarbi e con quella celebrativa di Gabriele d’Annunzio, il Comune di Trieste si è provvidenzialmente deciso ad affidarsi a chi queste cose le sa fare, se non altro dal punto di vista commerciale, e alla fine il Salone degli Incanti ha potuto esibire due mostre di successo, dal punto di vista dell’affluenza, quali quella “I love Lego” e quella attualmente in corso e aperta fino al prossimo 7 giugno, anch’essa frutto della collaborazione con Arthemisia e Generali Valore Cultura, dedicata alla straordinaria figura dell’artista olandese Maurits Cornelis Escher. L’esposizione, realizzata in collaborazione con la «Maurits Cornelis Escher foundation», ha alcune precedenti edizioni premiate da notevole afflusso di visitatori: Milano, Roma, Napoli, Bologna e, all’estero, Parigi, Singapore e New York. D’altra parte il solo nome di Escher costituisce di per sé una garanzia riguardo all’affluenza del pubblico: nel 2011, per esempio, una sua grande retrospettiva allestita in Brasile ebbe 1.200.000 visitatori, risultando con ciò la mostra più visitata di quell’anno a livello mondiale.

Oltre all’indiscutibile talento incisorio e alla fascinazione promanante dalle fantasiose elaborazioni grafiche di Escher, bisogna dire che la mostra allestita nell’ex Pescheria risulta attrattiva anche in forza di un allestimento e di materiali informativi che consentono una visione approfondita e complessiva della parabola evolutiva dell’artista, partendo dai passi che inizialmente l’artista mosse nel mondo dell’incisione, su presupposti di rappresentazione realistica, per affrancarsi in seguito dalla tirannide del verosimile ed approdare quindi a una ricerca formale che, sfruttando ogni possibile metamorfosi illusionistica, forzava la percezione per costruire contesti dominati da variazioni grafiche sui moduli base della rappresentazione, da forzature prospettiche, da ogni altro artificio che mettesse alla prova l’esperienza visiva dell’osservatore.

Escher nacque a Leeuwarden, in Olanda, nel 1898, figlio di un ingegnere. A cinque anni si trasferì con la famiglia ad Arnheim e più tardi affrontò con estremo disagio e difficoltà gli studi superiori per approdare quindi ad Haarlem per seguire i corsi di Architettura, che abbandonò quasi subito per frequentare invece i corsi di disegno di Samuel Jesserun de Mesquita. Nel 1922 compì un viaggio in Italia, dove subito dopo si trasferì, soggiornando dapprima in Toscana e poi viaggiando a lungo nel Meridione. Incontrata Jetta Umiker, svizzera e innamorata della pittura, la sposò e i due si trasferirono quindi a Roma, dove rimasero fino al 1935. Due anni più tardi, fece un viaggio nella Spagna meridionale, fondamentale nella sua carriera artistica in quanto poté soffermarsi a studiare le decorazioni moresche dell’Ahlambra di Granada. Le composizioni geometriche ispirarono il suo interesse per la tassellatura, la tecnica cioè che consente di realizzare la suddivisione regolare di una superficie piana mediante la ripetizione di figure regolari organizzate in moduli interconnessi tra loro. Di ritorno dal viaggio in Andalusia, Escher si trasferì in Belgio e poco dopo a Baarn, una cittadina olandese. Crescendo la popolarità del suo lavoro, fu insignito di onorificenze ed ebbe modo di presentare le sue opere in importanti mostre, ma per motivi di salute che lo colpirono nel 1964 e successivamente con la perdita della moglie dalla quale si era del resto separato, si esaurì la sua prorompente vitalità creativa e alfine si ritirò in una casa di riposo per artisti a Laren, dove morì nel 1972.

L’esposizione triestina è articolata su un percorso che prevede, nel problematico spazio del Salone, la suddivisione in otto sezioni, attraversando le quali il visitatore ripercorre la biografia dell’artista e l’evoluzione della sua opera, ricostruita per mezzo delle prove, tutte tecnicamente molto impegnative, cui Escher si era sentito chiamato, dalla formazione negli anni giovanili fino agli approdi più estremi della sua perizia incisoria e originalità creativa negli anni della tarda maturità e ancora, nell’ultima sezione, le influenze e i crediti dell’artista olandese nelle arti applicate, nella moda, nel cinema, nel fumetto e nella pubblicità.

 

Nella sezione d’apertura dell’esposizione sono presenti alcuni suoi lavori giovanili connotati dal decorativismo che affonda le sue radici in alcuni stilemi dell’Art noveau. Da segnalare, se non altro perché per la prima volta esposte contemporaneamente, le sei xilografie ispirate alla Genesi, che illustrano le sei giornate della creazione del mondo, eseguite tra il dicembre del 1925 e il marzo successivo. Una ragguardevole copia di incisioni è poi relativa al lungo soggiorno italiano dell’artista, a testimonianza del fascino che su di lui esercitarono tanto le visioni di paesaggi naturali o in scordi architettonicamente organizzati di agglomerati urbani del nostro Meridione, quanto quelle relative a Roma, la città che aveva scelto per la sua residenza, alcune delle quali la ritraggono in una visione notturna di suggestivo e non comune effetto chiaroscurale.

Nelle sezioni successive si palesa in un crescendo di inventiva la geniale reinterpretazione della realtà di Escher, che sempre più saldamente assume una connotazione propria, esercitandosi con fantasiosa metodica nell’illustrazione di tassellature sempre più complesse in cui spesso, come nel caso della xilografia Giorno e notte (1938), confluiscono più motivi ispiratori, dal paesaggio, alla simmetria alla metamorfosi oggetto della divisione regolare del piano, il tutto visto in una prospettiva estrema, a volo d’uccello, come quella che diede corpo in precedenza alla Torre di Babele (1928) raffigurata dall’alto.

Il tema della metamorfosi si estrinseca, in forme progressivamente più complesse in una quantità di opere presenti nella mostra triestina, evidente conseguenza della fascinazione che agiva sull’artista in merito alla progressiva trasformazione di una forma in un’altra (caso classico i pesci che divengono uccelli) o anche da una serie di figure piane che assumono profondità in modo da apparire solidi anziché figure bidimensionali. Nella quinta sezione della mostra, è presente una grande xilografia (192×3.895 mm.), Metamorfosi II (1939-1940), considerata un capolavoro, dove l’imponente sviluppo orizzontale dell’immagine consente di dare corpo a una serie “circolare” di trasformazioni che, partendo da un cruciverba dove compare il termine olandese “metamorphose” si perviene alla fine alla medesima scritta passando però attraverso la successione di tassellature che partono dal cruciverba iniziale che si trasforma in scacchiera, che a sua volta si trasforma in una serie di animaletti a quattro zampe, in esagoni in alveari, in insetti e poi in pesci, in uccelli, in cubi, in paesaggi urbani che esplicitamente richiamano i suoi trascorsi meridionali, quindi nuovamente in scacchiera e infine nello schema semplificato del cruciverba, concettualmente come un uroboro che si mangia la coda.

Oltre a questo, alcune opere indagano il tema dell’immagine riflessa, i cerchi concentrici della superficie di uno stagno, i riflessi in una pozzanghera, o la superficie curva di una sfera che riflette l’autoritratto dell’incisore con i dettagli dell’arredo di una stanza della sua casa romana, come nella celebre litografia Mano con sfera riflettente, del 1935, e poi ancora i paradossi geometrici che non mancano di lasciare interdetto l’osservatore con i labirinti di scale che si intersecano in uno spazio tridimensionale assolutamente improbabile e disorientante. In queste opere, come in molta parte delle altre presentate negli spazi del Salone degli Incanti, è difficile non intuire, oltre all’estrema raffinata perizia incisoria, anche l’accuratezza e la profondità del pensiero matematico e geometrico che era alla base della realizzazione delle calcografie, che difatti ha condotto Escher a stabilire rapporti di collaborazione con alcuni matematici, tra cui Roger Penrose, creatore di un celebre triangolo impossibile, rielaborato concettualmente dall’autore olandese in diverse opere, tra le quali la litografia La cascata (1962), in cui è un corso d’acqua inscritto entro un tracciato formato da due triangoli di Penrose allungati a costruire il paradosso geometrico che origina la cascata.

In tutto l’esposizione triestina esibisce quasi duecento opere, per molte delle quali è utilizzabile il commento di un’audioguida distribuita senza sovrapprezzo assieme al biglietto d’ingresso, che approfondisce i contenuti dei commenti alle pareti delle singole sale. Oltre a questo, la ricostruzione di alcune opere in spazi tridimensionali fruibili dai visitatori e l’invito rivolto ad essi a intervenire personalmente in apposite aree attrezzate per ricostruire empiricamente alcuni concetti in prossimità delle incisioni in cui essi sono raffigurati contribuisce, con l’aspetto ludico, a rendere piacevole e persino divertente una visita che rimane comunque di notevole interesse.

 

 

Maurits Cornelis Escher

Mano con sfera riflettente, 1935

Litografia, 31,1×21,3 cm

Collezione privata U.S.A.

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