Le mie suore

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di Giuseppe O. Longo

 

Ho sempre avuto un debole per le suore, un misto di attrazione, curiosità e repulsione che risale addirittura agli anni dell’asilo. L’asilo era retto dalle suore dorotee, il cui abito m’ispirava una certa ripugnanza per il suo color nero uniforme e per la cuffietta a piegoline, nera anch’essa, che rimpiccioliva il capo e dava alle suore l’aspetto di formichine. Io adoravo le formiche, le studiavo appassionatamente, sia pure con i mezzi limitati di un bambinetto di tre o quattro anni, ma vederle ingigantite, severe e a volte crudeli, in quelle monache inflessibili come fil di ferro, mi atterriva. Eppure tra le varie formicone, suor Pia, suor Ubalda, la terribile Direttrice, suor Teresa, ce n’era una, suor Lucia, giovanissima e bella, di cui m’innamorai perdutamente. Di questo amore incontenibile, che traboccava dal mio cuore di bambino, parlai a mia nonna, che mi parve comprendere tutta la portata di questo sentimento, e ne fui felice. Però un pomeriggio di giugno, che sopra il cortile dell’asilo garrivano le rondini intrecciando voli ebbri furenti, mentre io raccoglievo le mie cose per tornare a casa, vidi la nonna che parlava con suor Lucia, e sorrideva guardandomi, e anche la suora mi guardava con i suoi occhi stellanti e sorrideva imbarazzata, le gote arrossate, strette nella cuffia da formichina. Capii che la nonna aveva tradito il mio segreto e che nelle cose d’amore non ci si deve fidare di nessuno (ma più che un pensiero articolato fu una vampata di sentimento offeso, che mi attraversò improvvisa e mi lasciò stordito). Confusamente seppi che suor Lucia non era per me, e ripiegai su conquiste più agevoli, in particolare sulla mia compagna di classe Laila Bedei, un delizioso musetto impertinente e treccine castane. Era una bambina giudiziosa, e infatti non rispose mai alle mie occhiate, tanto che cominciai a coltivare tetri pensieri sul mio amaro destino di amante infelice e non corrisposto. Passarono gli anni, finché mi ritrovai, in terza elementare, nell’istituto delle suore del Sacro Cuore. E qui m’innamorai a prima vista di suor Ernesta: a questo colpo di fulmine contribuirono in parti più o meno uguali il suo bellissimo viso e il copricapo bianco immacolato a forma di ali (solo anni più tardi seppi che si chiama cornetta) che lo incorniciava. Ma suor Ernesta, nonostante la sua bellezza e la piccola, graziosissima ruga verticale che le segnava la fronte, era inaccessibile. Non che io coltivassi pensieri erotici, verso di lei mi spingeva soltanto un desiderio di bellezza, un empito estetico, una delicatezza contemplativa che confinava con il rapimento estatico di cui ci avevano parlato le suore formiche anni prima senza che noi bambini potessimo comprendere granché. Un giorno vidi che dalla cornetta di suor Ernesta era sfuggita una piccola ciocca di capelli, e con mio doloroso stupore mi accorsi che era grigia. Sulla mia sconfinata ammirazione per quella bellezza assoluta calò un’ombra. Stranamente ne fui sollevato. Troppo dolore mi causava quel volto perfetto, troppa smania: non riuscendo a comprenderlo, ad abbracciarlo, ad assimilarlo, sentendo che nonostante i miei sforzi suor Ernesta restava al di là dalla mia portata, soffrivo. Cominciavo a capire che l’amore è anche tormento per quel solco incolmabile che ci separa e sempre ci separerà dall’oggetto amato. Fu il principio delle mie interminabili riflessioni sull’amore, sulla donna, sul mistero. Ma il colpo di grazia lo ebbi qualche tempo dopo. Eravamo in classe e suor Ernesta faceva lezione, quando si presentò una conversa e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Il viso della suora si fece di fiamma. Ci disse, torno subito e uscì in fretta dall’aula tra il frusciar della veste. Io ero vicino alla finestra e attraverso la porta aperta del parlatorio di fronte vidi suor Ernesta che discuteva con un uomo. Un uomo adulto, dal viso duro. Lei era agitata, scoteva la testa come a dire no, no. L’uomo se ne andò, e quando lei rientrò, dopo molto tempo, aveva gli occhi del pianto. Da allora le suore sono uscite dal mio orizzonte erotico-sentimentale.