Le possedute della Carnia

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Torna in libreria Le indemoniate di Verzegnis di Pietro Spirito

di Gabriella Ziani

 

«Il demonio? Mio caro collega, qui gli unici spiriti malvagi sono la rozzezza e la villania, l’indottrina e l’insipienza. E più che le preghiere qui occorre far pulizia, con fermezza e decisione. Dove la civiltà non c’è, mio caro Chiap, la si insedia se necessario con la forza e la convinzione di un vero Stato civile». È il 1878, e il primario chirurgo di Udine Fernando Franzolini distilla queste regole al suo collega, il protomedico provinciale Giuseppe Chiap, assieme al quale è stato spedito in missione nello sperduto paese di Verzegnis, un conglomerato di quattro poverissime frazioni nella poverissima Carnia da poco annessa al Regno d’Italia, per domare l’enorme scandalo causato da una quarantina di donne “indemoniate” i cui corpi a ore fisse del giorno e della notte si gonfiano e s’inarcano, diventano paurosi vulcani da cui scaturiscono orrende urla di bestia, bestemmie e altre nefandezze anche in lingue sconosciute, e la loro follia si accresce alla vista di preti, crocefissi e acque benedette. Il caso scuote non solo le famiglie impaurite, ma i poteri religiosi e laici, e le conseguenze avranno un’eco perfino al Parlamento nazionale.

In quel paese sepolto fra i monti, gelato dalle nevi, è successo che l’una dopo l’altra molte giovani donne – la cui vita stentata e muta è paragonabile a quella di una bestia da soma per il duro lavoro nei campi, aggravata dall’assenza degli uomini, che emigrano –  siano state possedute dal diavolo, così dice la gente ammutolita, affamata, che non ha altro appiglio se non tradizioni, superstizioni, paure. Le streghe dunque, che dal Medioevo al Seicento erano state in tutta Europa e non solo il capro espiatorio del Male, finendo bruciate come prede nei roghi dopo torturanti interrogatori, proprio in quell’ultima disgraziata terra di Carnia avevano ripreso vigore?

La Chiesa ripesca inutilmente la mai dismessa pratica degli esorcismi, e una cerimonia collettiva si svolge al santuario di Clauzetto (dove l’Austria aveva proibito tali pratiche). È un disastro: nel terribile bailamme che si crea per gli urli delle femmine invasate qualcuno anche se ne approfitta con  trucchi e redditizi inganni. Il sindaco chiede aiuto al prefetto, la scienza medica punta lombrosianamente a misurare la forma dei crani delle poverette, che a un certo punto verranno deportate al manicomio di Udine, e in un secondo tempo – dopo nuovi rigurgiti di follia – presidiate dai carabinieri, suscitando la ribellione delle famiglie, una protesta che presto diventa rivolta contro i nuovi poteri statali, i quali a propria volta temono focolai socialisti dietro tutte quelle ingovernabili tempeste. Ma alle giovani la città pare un paradiso a confronto col nudo buio dei monti, e lì curate e soprattutto ben nutrite, miracolosamente si quietano, salvo poi avere una ricaduta una volta rientrate nei giacigli di casa.

In questo splendido doloroso pasticcio che ormai è un capitolo celebre della storia sociale si è tuffato Pietro Spirito già vent’anni fa, pubblicando con Guanda Le indemoniate di Verzegnis, che adesso è tornato in circolazione con le Edizioni Biblioteca dell’immagine di Pordenone. Il racconto, non solo abile e succoso nel rapprendere tutta la complessa vicenda coi suoi molti protagonisti e comprimari in un numero convenientemente breve di pagine, si alza dalla mera cronaca dei fatti grazie alla scelta di un linguaggio “anticato”. Il narratore osserva dal di fuori lo svolgersi concitato degli eventi, ma si mette dentro – per portare il lettore a più stretta partecipazione – usando una prosa deformata, un parlare popolaresco d’altri tempi, non importa quali, dicendo «cuticagna», «limosina», «scaracchione», «alloccando», «la paura lo attapinò», in una coerente e misurata narrazione che già per questo parlare strano suona ancora più strana, e nello stesso tempo insinua empatia verso quei luoghi, quei tempi, quella gente provata e sfortunata. Un simile mimetismo linguistico Spirito aveva già sperimentato con successo in Vita e sorte di Pierre Dumont socio di Dio (Sellerio 1997), e si sente in queste riuscite ed eleganti velature di stile la sua educazione di bibliofilo, solo una delle sue molteplici e tanto diverse passioni, che si esplicano nelle profondità del tempo ma anche in quelle della natura più tenebrosa (archeologia subacquea, viaggio negli abissi oscuri del Timavo), esperienze che hanno fruttato altrettanti eclettici saperi, e quasi altrettanti libri, sgusciati attraverso la pur non  lieve professione di giornalista, tra gli ultimi Gente di Trieste (Laterza 2021) e Il direttore (con Elke Burul), dramma in due atti sulla vicenda di Rodolfo Maucci, direttore del Piccolo nel periodo dell’annessione di Trieste al Terzo Reich (La Libreria del Ponte rosso, 2022).

A far da base al racconto (che ha un antecedente nella versione teatrale del 2007 andata in scena al Politeama Rossetti) c’è una buona bibliografia, ma il testo-base è sempre quello di Luciana Borsatti che alle indemoniate carniche dedicò la propria tesi di laurea, pubblicata nel 1989 dalla Comunità montana della Carnia (Verzegnis 1878-79. Un caso di isteria collettiva in Carnia alla fine dell’800), riedita da Edizioni del Confine (Udine 2002) e proprio in questi giorni riproposta da Castelvecchi col titolo Le indemoniate. 1879: sfida tra Stato, scienza e Chiesa a Verzegnis (pp. 288, euro 20,00).

E fu davvero una vera sfida, ad armi spuntate, e nessuno riuscì mai a vincerla veramente, se non le donne stesse che a un certo punto si quietarono, una andando sposa al fidanzato che nelle more era emigrato “nelle Americhe” e al ritorno, malconcio com’era, fu egli stesso scambiato per un diavolo, un’altra accasandosi con l’ennesimo improbabile “mago”, un ricco torinese malato di dolore per la morte della moglie, piombato anch’egli a Verzegnis a offrire le proprie arti occulte. Come in una commedia, e dopo che le “pazze” sono state descritte come «attrici di piazza» su un palco dove si recita la loro sofferenza, il sipario si chiude. Ma quando gli attori vengono in scena possiamo fare la conta di chi siano stati i veri protagonisti: il sindaco, il prefetto, il maestro, il parroco, l’arcivescovo di Udine, i carabinieri, il paesano centenario che ne ha viste di tutte e si diletta di vaticini, l’esorcista, il prete dissenziente sospeso a divinis, i due medici, un cronista che diffonde notizia del caso. E qui Spirito si diverte a cesellare maliziosi giudizi sulla stampa e l’arte di «intingere i pennini nel fiele non già della menzogna o della bugia, bensì in quel più etereo veleno che è la verità accomodata, il fatto interpretato a proprio genio e discernimento».

 

Insomma, a fronte di donne mute, c’è un esercito di uomini con diritto di parola, la cui sentenza sarà che quelle esagitate erano state vittime di «istero-demonopatia», in sostanza un male da poveri e ignoranti, ingabbiati in rozzezze, perdizioni, autoinganni, miseria, idiotaggine, clima infame, isolamento, tare ereditarie, scarsa alimentazione. Per tutto ciò  le “isteriche” finirono in manicomio, e protestò in Parlamento il deputato carnico Giacomo Orsetti, indignato che le povere cargnelle fossero state gettate con la forza nella fossa dei pazzi. Gli fu risposto che era la scienza ciò su cui lo Stato si appoggiava, e attraverso questa s’era ristabilito l’ordine pubblico. Ma i montanari a quel punto erano pronti a considerare diabolico anche il medico, perché Franzolini non solo era a favore della cremazione dei cadaveri («medico solforoso…») ma soprattutto era già celebre per la pratica di asportare le ovaie delle donne classificate isteriche, cioè di «disseccare il ventre delle donne», «grattando via la vita a vantaggio dei suoi studi luciferini».  E del resto l’isteria era stata da sempre la diagnosi finale per ogni male femminile, essendo le donne tacciate di scarso intelletto ma munite bensì del misterioso meccanismo di procreazione.

Nella storia delle indemoniate c’è dunque il filo di Arianna che porta a intrecciare tutto: situazioni ambientali, culturali, sociali, religiose, economiche, politiche, antropologiche e sociologiche, di potere, di genere, di antico e presunto nuovo, di medicina, psichiatria, psicoanalisi, salute e ordine pubblico. La letteratura sulle streghe è a dir poco sterminata, ma sempre scaturiscono dagli archivi storie nuove, diverse ma non dissimili. L’ultima arrivata in libreria è a firma di Fernanda Alfieri, storica dell’Università di Bologna, che in Veronica e il diavolo. Storia di un esorcismo a Roma (Einaudi, 2021, pp. 371, euro 21,00) ricostruisce minuziosamente il caso ottocentesco di una donna che manifestava gli stessi impressionanti sintomi delle montanare carniche, e attorno alla quale si concentrarono gli sforzi di innumerevoli preti, parroci, vescovi, e direttamente furono implicati il generale dei Gesuiti e il vicario di Roma, mentre anche qui la scienza pretendeva di mettere in soffitta diavoli e diavolerie, sentenziando – come fecero i padri della futura psichiatria, Philippe Pinel e Dominique Esquirol – che queste donne “possedute” erano semplicemente vittime di una patologia «dovuta a cause fisiche, come l’assunzione di sostanze eccitanti o narcotiche, il clima, la vedovanza che comportava un’improvvisa castità, o emotive, come spaventi e sentimenti violenti […], la suggestione religiosa, che agiva di preferenza su soggetti deboli e incolti come le donne». In questo palcoscenico romano s’affacciano di straforo anche il vaiolo e una terribile epidemia di colera, e né tutta la santa Chiesa, né i medici che in questo caso s’erano già macchiati di gravi colpe con le sorelle della protagonista, vennero a capo di un guaio o dell’altro.

Storie così tetre ci rassicurano sui nostri tempi “evoluti”, ma anche li ridimensionano, perché un diavolo dietro il cantone c’è sempre, e non si può mai sapere prima con quale aspetto e imbroglio una qualche razza di Belzebù vorrà uscire dalle pagine stampate e bussare alla porta (o al cervello). Non solo delle donne, s’intende, che in questo campo hanno già dato, e in abbondanza.

 

 

 

Pietro Spirito

Le indemoniate di Verzegnis

Biblioteca dell’immagine, 2022

  1. 130, euro 14,00