L’encomio e l’oltraggio

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Napoleone ritorna a Villa Manin per una piccola mostra a duecento anni dalla morte

di Walter Chiereghin

 

Ei fu, ma non del tutto, se a duecento anni dalla morte il nome del grande Corso viene ricordato – se non celebrato – con una fitta serie di eventi, Una mostra a Parigi, naturalmente, alla Grande Halle della Villette, un’altra al castello di Fontainebleau, ad Ajaccio – sulla presenza di Napoleone nel cinema – e poi in Italia: un film documentario dello storico Alessandro Barbero prodotto dalla RAI, un altro che sta per uscire, una serie di eventi a Firenze, attorno ad una mostra al Museo Stibbert che rimarrà aperta fino al gennaio del 2022, un’altra mostra al romano Museo Napoleonico, e poi a Brescia, a Torino, alla Reggia di Venaria, a Marengo, ad Alessandria, e ancora una fitta serie di iniziative rivolte a un turismo di miti pretese culturali all’isola d’Elba, dove il deposto imperatore soggiornò suo malgrado per dieci mesi. Dall’Alpi alle piramidi, verrebbe da dire. Né poteva mancare Villa Manin di Passariano, dove il giovane generale soggiornò dal 27 agosto al 22 ottobre 1797, al termine della prima Campagna d’Italia, che proprio nella sontuosa villa di Passariano attese che si perfezionassero gli accordi che produssero il Trattato di Campoformido. Tale documento diplomatico, che assegnò agli Asburgo i territori della Repubblica di Venezia, fu in effetti sottoscritto nei locali della Villa, a Passariano quindi e non nell’altra località friulana con la quale l’atto passò alla storia, come compiutamente ci informa un breve saggio di Paolo Foramitti pubblicato nel catalogo dell’esposizione.

La mostra, dal titolo “Napoleone. Un omaggio, voluta dall’ERPAC – l’Ente regionale per il patrimonio culturale – è curata da Guido Comis e Dino Barattin, è ubicata in una sala della barchessa di Levante e rimarrà aperta fino al 9 gennaio 2022. Il riferimento al termine “omaggio” contenuto nell’intitolazione della mostra appare un po’ oscuro persino a uno dei due curatori, che nel suo intervento in catalogo cerca, senza convincere probabilmente neppure sé stesso, di darne ragione.

In effetti la mostra propone una sessantina di opere di grafica, pittura e scultura a tutto tondo, il cui soggetto è sempre il Bonaparte, rappresentato nelle più importanti fasi della sua parabola, una irripetibile carriera che lo vide sottotenente di artiglieria a 16 anni, generale di brigata a 24, comandante dell’armata d’Italia a 25, quindi a 30 Primo Console, e infine a soli 35 anni imperatore dei Francesi, prima della caduta, del confino all’Elba, dei cento giorni e infine Wateroo e Sant’Elena, dove si spense il 5 maggio 1821, quando ancora non aveva raggiunto i cinquantadue anni d’età. Tale scalata al potere perseguita a perdifiato, una fortuna militare senza uguali, le scenografiche rappresentazioni del potere imperiale e persino la malinconica caduta e l’esilio sulla remota isoletta perduta nell’Atlantico giustificano ad abundantiam l’interesse per questa straordinaria vicenda umana prima ancora che politica e, conseguentemente, la sua rappresentazione nelle opere d’arte che furono chiamate ad illustrarla, in ogni sua fase, da servizievoli adulatori o da acuminati detrattori, negli anni sfolgoranti del potere e nella lunga scia che da due secoli or sono arriva fino ai nostri giorni.

La controversa valutazione del personaggio trova ospitalità tra le opere esposte a Passariano, che colgono sia il movente agiografico di compiacenti cortigiani che l’invettiva sarcastica di nemici e oppositori: detta meglio, con Manzoni, il servo encomio ed il codardo oltraggio.

Alla prima serie appartengono alcuni campioni di una torrenziale ritrattistica che parte dal giovanissimo generale che sbaragliò piemontesi ed austriaci nelle due Campagne d’Italia per arrivare alle trionfali rappresentazioni a tutto tondo di gusto neoclassico che propongono l’immagine del condottiero trionfante e del nuovo Cesare o del Marte pacificatore del Canova, una non eccellente copia bronzea in scala ridotta del quale è presente in mostra. A tale ambito è da ascrivere l’opera di maggior rilievo, una serie di incisioni tratte dal fregio di 39 dipinti monocromi a tempera su tela realizzati tra il 1800 e il 1807 da Andrea Appiani (Milano, 1754-1817), opera perduta in un bombardamento del Palazzo Reale di Milano il 15 agosto 1943 (il 15 agosto era il giorno in cui, nel 1769, venne al mondo Napoleone). Provvidenzialmente s’era provveduto, sotto la direzione dell’Appiani, ad eseguire delle incisioni all’acquaforte che riproducevano i dipinti originali, dei quali possiamo così apprezzare in buona misura il progetto figurativo, di impostazione esplicitamente neoclassica, sulla base del modello costituito dai bassorilievi della Colonna Traiana.

Il contraltare dell’esaltazione encomiastica dell’indubitabile carisma del personaggio risiede in una altrettanto vasta – anche se meno spettacolare – produzione di caricature irridenti e sarcastiche che si produsse ad opera dei suoi oppositori anche interni alla Francia, ma soprattutto esterni, nei territori delle potenze a lui antagoniste. Una piccola selezione di opere a stampa appartenenti a questa frazione dell’iconografia napoleonica è documentata nella mostra di Villa Manin, come pure un’altra di opere relative al medesimo soggetto, considerato però nei decenni successivi alla sua solitaria scomparsa, che ci propongono un’immagine più realistica, priva sia di piedistalli che di irrisione, tendenti a narrare la realtà umana e a volte patetica di una vita condotta nella solitudine del potere e della gloria militare. Tra esse spicca un dipinto di Vincenzo Cabianca (Verona, 1927 – Roma 1902), realizzato negli anni ’50 dell’Ottocento, raffigurante una scenetta familiare in cui un nonno, mutilato, racconta ai nipoti e ai famigliari la sua esperienza di reduce, alla presenza nostalgica di un piccolo gesso del suo imperatore ormai da decenni defunto, ma venerato come un lare nella narrazione che il vecchio ne fa.

Al termine del breve percorso dell’esposizione, tre copie della maschera mortuaria di Napoleone, quasi a proporre alla fine l’immagine per come è possibile “reale” di un uomo i cui posteri sono chiamati ad esprimere l’ardua sentenza a noi delegata da Alessandro Manzoni.

Una mostra non priva di suggestioni che, pur nelle sue raccolte dimensioni, induce a una serie di riflessioni circa la storia e la personalità di un uomo che ha segnato di sé la sua epoca su un intero continente e persino oltre ad esso. Unico cedimento, i commenti audio registrati ed affidati alle immagini virtuali di dipinti “animati” che accolgono il visitatore con imbarazzanti ammiccamenti, veramente di cattivo gusto. Suggerisco di passare senza fermarsi, oppure di ascoltare ad occhi chiusi.

 

 

Francesco Pescatori

Ritratto di Napoleone Bonaparte

olio su tela, 1840 c.a

Parma, Museo Glauco Lombardi