L’enigmatica vecchia del Giorgione

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Il dipinto, recentemente restaurato, è tra i più particolari della sua epoca

di Nadia Danelon

 

Con un servizio andato in onda lo scorso 8 febbraio, il TgR Veneto ha annunciato la conclusione del complesso restauro effettuato su di una delle più note opere delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, la cosiddetta Vecchia dipinta da Giorgione tra il 1506 e il 1508.

Assegnato da decenni con sicurezza al catalogo del pittore nato a Castelfranco Veneto nel 1478 circa (e morto a Venezia durante l’ondata di peste del 1510), il dipinto è ricordato nella collezione di Gabriele Vendramin: infatti, ben tre inventari relativi alla sua prestigiosa raccolta ne parlano dettagliatamente. Non è del tutto da scartare l’ipotesi legata al fatto che l’opera possa essere stata commissionata dallo stesso Vendramin, che (eccezionalmente) fa riportare sulla cornice del dipinto lo stemma di famiglia.

Piuttosto, rimane enigmatico il soggetto: sono state avanzate talmente tante (fantasiose) ipotesi nel corso del tempo, da aver quasi fatto passare in secondo piano un’indicazione già evidente lasciataci da Giorgione stesso. Infatti, gli storici dell’arte si sono sbizzarriti cercando di restituire un nome a questa anziana signora: un primo, importante, contributo in tal senso è stato fornito nell’inventario datato 1569 della collezione Vendramin (che, in seguito e per questioni legali, viene ricordato come l’originale “vecchio autentico”) che ricorda la presenza in loco di un «Retrato della madre de Zorzon di man de Zorzon». Quindi, la prima (sentimentale) ipotesi legata al soggetto del realistico ritratto trova il suo punto di riferimento nel nucleo familiare di origine del pittore. Non sono mancati tentativi, coadiuvati da una collocazione cronologica simile, per cercare di legare la Vecchia al più famoso tra i dipinti del Giorgione, un autentico rebus senza soluzione: si tratta, naturalmente, della celebre Tempesta (a sua volta storicamente appartenuta alla ricordata collezione Vendramin). Berenson (1954) ha infatti voluto riconoscere nella Vecchia la versione più anziana e malandata della «cingana» allattante della Tempesta: ridotta ad una cenciosa comare, “col tempo”. Quest’ultima citazione non è, di fatto, assolutamente casuale: è proprio quello che c’è scritto nel cartiglio che la Vecchia stringe nella mano destra, rivolta verso se stessa. Quindi, chiaro e semplice, dal dipinto emerge il suo stesso significato: non bisogna mai dimenticare che la bellezza e la giovinezza sono momentanee, tutti siamo destinati a diventare vecchi (nel migliore dei casi, perché una delle eccezioni è costituita dallo stesso autore dell’opera, morto ad appena trentadue anni).

A parte questo, il fatto che Maria Chiara Maida, curatrice del recente restauro insieme a Giulio Marpieri Elia, abbia dichiarato davanti alle telecamere «Il rischio è che il risultato finale (del restauro) sia anche troppo diverso da quello che uno si aspetta» potrebbe, forse, scombinare un po’ le carte in tavola sull’impressione che finora si è potuta avere del dipinto di Giorgione. Ma tutto ciò è legato solo alla pura apparenza: forse, la Vecchia non è poi così anziana, perché grazie alla pulitura sono scomparse le macchie evidenti sulla sua pelle (che, a questo punto, vengono ritenute delle «alterazioni di ripassature precedenti»). Comunque sia, il messaggio dell’autore rimane sempre valido: il soggetto dell’opera è un’ammonizione che può essere immediatamente percepita da qualsiasi osservatore.

Dal punto di vista iconografico, invece, la scelta del soggetto non è isolata: un altro esempio è così noto agli studiosi da aver generato, per lungo tempo, un dibattito attributivo piuttosto acceso. Presso la basilica di San Zeno a Verona, celebre scrigno della pala di Andrea Mantegna, è presente un dipinto del Torbido dove (tra i vari personaggi) si può riconoscere anche una figura di vecchia (Zampetti, 1955). Dal punto di vista dello stile, le due opere presentano caratteristiche assolutamente differenti: ciò, anche se riscontrabile nell’occasione di un esame completo, ha impedito ad alcuni studiosi di guardare oltre il soggetto celando (allo stesso tempo) l’evidente appartenenza dell’opera al di già di per sé misero catalogo di Giorgio da Castelfranco. Comunque, grazie soprattutto allo studio del Della Rovere (1903), la situazione si è ribaltata fino a giungere ad un’attribuzione definitiva del dipinto al grande pittore. Naturalmente, il soggetto rimane quantomeno bizzarro: sono state avanzate varie ipotesi relative agli autori che possono aver influenzato il Giorgione, tra i quali sembrano risaltare Leonardo e Dürer (il suo secondo soggiorno a Venezia risale, appunto, al 1506). Le stesso Zampetti (1955) non manca di ricordare un tentativo di paragone tra la Vecchia di Giorgione e la nutrice di Orsola nel telero del Carpaccio raffigurante Il ritorno degli ambasciatori (anche le Storie di sant’Orsola, conservate nel medesimo museo, sono riemerse recentemente da un complesso restauro). Meno chiara, a causa delle contraddizioni presenti nella bibliografia ufficiale, è la circostanza legata legata all’effettivo donatore dell’opera alle Gallerie veneziane: secondo Tazartes (2006), il capolavoro è giunto al suo contesto attuale grazie alla lungimiranza dell’imperatore Francesco Giuseppe. In questo caso, l’acquisto e la donazione possono essere fatti risalire allo stesso anno, il 1856. Al contrario, nella versione attuale della scheda redatta a cura delle Gallerie e pubblicata sul sito istituzionale, si riferisce che il dipinto è stato acquistato dallo Stato italiano nel medesimo anno. Peccato, tuttavia, che il Regno d’Italia sia stato proclamato nel 1861 e che Venezia vi sia entrata a far parte dal 1866: una revisione della scheda dell’opera sarebbe consigliabile, anche e soprattutto per il prestigio del museo statale.