LEOPARDI A TRIESTE CON VIRGILIO GIOTTI

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Un prezioso volume curato da Anna De Simone

di Walter Chiereghin

 

Per arrivare a questo nuovo libro curato con passione da Anna De Simone è necessario partire, come quasi sempre avviene, da un altro libro, che immaginiamo un poco consunto nella biblioteca domestica della curatrice, quello delle opere in dialetto triestino di Virgilio Giotti, autore di cui la De Simone è lettrice attenta e sensibile, oltre che informata e acuta studiosa. Ma, stavolta almeno, la cosa non si ferma qui, perché da quel volume di Giotti siamo dirottati a un altro libro ancora, una copia dei Canti di Leopardi, le pagine ingiallite dal tempo e fitte di annotazioni in matita che chiosano il testo a stampa: è l’edizione Le Monnier del 1851, curata da Antonio Ranieri; le glosse manoscritte su quelle pagine ingiallite sono di pugno del grande poeta triestino.

Come per tutti, anche per Giotti i debiti con quanti lo hanno preceduto e quanti gli sono stati contemporanei sono molteplici e complessi, e la De Simone non manca di rilevarne alcuni, dai lirici greci a Di Giacomo, a Pascoli, anche se la sua analisi si sofferma in particolare su Leopardi.

Un’influenza del Recanatese è avvertibile in molti punti della poesia di Giotti, fin da una precoce imitazione datata 1906 e riscoperta da Elvio Guagnini che l’ha pubblicata nel 1986 (Una “imitazione da Leopardi”, in Problemi, 75, pp. 112-113), ma il lavoro della De Simone presenta un’organica ed esaustiva analisi dei rapporti tra i due autori, guidando il lettore in una lunga ammaliante passeggiata tra la duplice serie di pagine, entrambe recanti prove poetiche tra le più alte. Per farlo, esplora con meticolosa cura – seguendo le tracce lasciate da Giotti sulle pagine della sua copia dei Canti – in un’emozionante rilettura resa possibile dalla disponibilità della signora Vittorina (la Rina di Giotti), la nipote del poeta che mette a disposizione il suo Centro studi intestato al nonno e ospitato nell’appartamento di Via degli Stella a Trieste.

Come afferma l’autrice del saggio, «Chi abbia una qualche familiarità con la poesia di Giotti, riesce a individuare benissimo il filo trasparente e luminoso che lo lega al genio di Recanati. La parola ‘imitazione’ è imprecisa; c’è qualcosa di molto più profondo nell’assimilazione di Leopardi da parte di Giotti. La lettura dei Canti diventa pane della sua giornata, conforto alle sue ore in libreria, luce lunare delle sue notti». Tale “assimilazione” è comprovata dalla lettura che ci viene riproposta: da un lato il confronto di testi poetici, ciascuno dei quali è una gradevole rievocazione di precedenti rapite letture, dall’altro l’esposizione delle noterelle a margine operate da Giotti sui Canti, un modo per consentirci di leggere Leoparti inforcando gli occhiali di quel suo autorevole lettore triestino.

L’esposizione della De Simone procede seguendo l’ordine cronologico della composizione dei testi giottiani, divenendo quindi implicitamente un’escursione guidata all’interno della biografia del poeta, dagli anni fiorentini in poi, dando conto della sua passione e predisposizione per le arti visive, e seguendo quindi una vita accidentata e di stenti, allietata soltanto dalla gioia della casa, finché su di essa si abbatte l’immane duplice tragedia della perdita dei due figli, Paolo e Franco, caduti sul fronte russo nel secondo conflitto mondiale. Anche questa narrazione della vita del poeta (più ordinatamente e canonicamente concentrata nei cenni biografici in appendice), diluita all’interno di un esame critico approfondito e condotto sempre con levità e rendono gradevole oltre che interessante la lettura di questo volume, che diverrà imprescindibile in ogni futura bibliografia riguardante il grande Triestino. L’interesse per la sua opera ha da tempo travalicato i confini nazionali, dando luogo negli ultimi anni – come Il Ponte rosso ha rilevato nel suo sperimentale numero zero – ad alcune traduzioni antologiche delle liriche e anche degli Appunti inutili, in spagnolo, tedesco, francese e catalano (quest’ultima anche con scritti di Anna De Simone e Claudio Magris); confidiamo che anche nella città natale, di solito non molto attenta all’opera dei suoi poeti, questo saggio contribuisca a una ripresa dell’interesse nei confronti di chi, assieme a Saba, fu senz’altro la più alta voce poetica di Trieste nel secolo scorso.