L’exploit del cinema orientale a Berlino

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di Alan Viezzoli

 

Scorrendo il palmarès della 73ª edizione del festival del cinema di Berlino non può non saltare all’occhio la totale mancanza dei tre film asiatici del concorso: Art College 1994 di Jian Liu e The Shadowless Tower di Zhang Lu per la Cina e Suzume di Makoto Shinkai per il Giappone. Tre pellicole che spiccano per la loro bellezza e che stupisce siano tornate a casa totalmente a mani vuote.

In Art College 1994 siamo in un’accademia d’arte cinese dove seguiamo le vicende di alcuni ragazzi che vogliono diventare degli artisti ma si trovano divisi tra la classicità insegnata a scuola e l’arte concettuale che trovano nelle mostre. Film d’animazione che fotografa un momento storico ben preciso, gli Anni ’90, in cui la Cina stava iniziando ad aprirsi maggiormente all’Occidente e la tradizione culturale stava subendo una serie di contaminazioni che stuzzicavano la fantasia degli adolescenti dell’epoca. I dialoghi sono sempre brillanti e le domande e i dubbi dei vari protagonisti appaiono naturali e mai forzati, perfettamente coerenti con quelli che avrebbero potuto attraversare la mente di ragazzi di quella età. Pur verboso – ma non è un difetto – il film si segue con gusto e si rimane coinvolti da una serie di preziosissime domande e di bei ragionamenti ai quali il regista tende a non dare mai una risposta lasciando che sia lo spettatore a formarsi la propria idea in merito.

In The Shadowless Tower troviamo un poeta di mezza età che si trova a dover ripensare alla sua intera vita e al suo ruolo come padre. Film piccolo – nonostante la durata impegnativa di 144 minuti, forse l’unica vera pecca della pellicola – ma estremamente significativo. L’idea, infatti, che una persona razionale possa comunque sentirsi impreparata a “diventare adulta” e possa avere dubbi sul suo essere genitore è una questione per niente scontata che il regista sviscera bene lungo tutto il film e specialmente nel rapporto che il protagonista ha con le persone che lo circondano.

In Suzume seguiamo le vicende di una studentessa diciassettenne che si trova suo malgrado coinvolta in un’avventura più grande di lei: deve aiutare un “chiuditore di porte” a fermare degli enormi vermoni che escono dall’aldilà e che provocano i terremoti in Giappone. Diretto dal regista di Your Name e Weathering With You, questo anime è una perla che difficilmente si riesce a vedere a un festival e ancor meno spesso in concorso. Caratterizzato da una cura e una magnificenza nei panorami, Suzume è una vera gioia per gli occhi. Ottimamente bilanciato tra momenti drammatici e siparietti comici, questo è un film sull’elaborazione del lutto e sul passaggio alla vita adulta. Makoto Shinkai crea un mondo magnificente e fantastico che, a differenza ad esempio dei film di Miyazaki, rimane sempre ancorato con i piedi per terra, ricollocando continuamente Suzume al mondo reale che la circonda. Questo permette un’immersione maggiore nella storia che, al netto di qualche momento non necessario nell’economia della vicenda, non può non suscitare nello spettatore qualche sana lacrima di commozione.

A questi film risulta difficile non affiancarne un quarto che, pur essendo di produzione statunitense, è per la maggior parte parlato in coreano – e quindi presenta una sorta di affinità con i precedenti tre. Si tratta di Past Lives di Celine Song, film delizioso che racconta come l’amicizia e l’amore possano resistere al tempo e allo spazio. Molto semplice nella sua fruizione, la pellicola è interamente basata sulla scrittura e sulla costruzione dei silenzi che permeano gli incontri tra i protagonisti i quali, abilmente tratteggiati dalla regista con pochi, semplici tocchi, vivono una storia d’amore completamente non convenzionale. «Nel mio film non esiste un cattivo» ha dichiarato la regista ed è un’affermazione verissima ma, nonostante ciò, il film è coinvolgente e riesce a intessere discorsi estremamente profondi.

 

1.

Art College 1994

 

2.

Suzume