Verso la fine di un anno orribile

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La complessa ed affascinante simbologia del presepe, ovvero la storia del nostro Natale

di Nadia Danelon

 

Un ricovero di fortuna (stalla o grotta che sia), la Sacra Famiglia, gli angeli, i pastorelli, una stella cometa e tre Magi. Oltre a questi un mercato, alcune casette, delle taverne, a volte addirittura una chiesa. Stiamo parlando, naturalmente, della tradizione natalizia cattolica per eccellenza: quella del presepe. Se ne contano infinite varianti e sono diverse le “scuole” in Italia dedicate a quest’arte. In questo contesto vogliamo soffermarci soprattutto sul significato più o meno noto del presepe, concludendo l’analisi con quella che è forse la tipologia più conosciuta: il presepe napoletano.

Il termine “presepe”, secondo gli studiosi, deriverebbe dal latino praesaepe: può essere tradotto come greppia (mangiatoia), oppure recinto. Ma qual è l’origine di questa particolare tradizione?

La rappresentazione della nascita di Gesù fa riferimento ai 180 versetti dei Vangeli di Luca e Matteo detti “dell’infanzia”. In realtà, le informazioni ivi contenute sono relativamente poche, ma naturalmente fondamentali: si chiarisce che il Messia è nato a Betlemme di Giudea (luogo d’origine di re Davide), all’epoca di re Erode e che fu visitato dai magi. Luca in particolare racconta della mangiatoia, dell’adorazione dei pastori e degli angeli in cielo. Proprio questo evangelista è ricordato per la descrizione particolarmente dettagliata del “primo” Natale, tanto da coprire simbolicamente una posizione prestigiosa in uno tra i maggiori capolavori legati alla tematica della Natività di Cristo. Infatti, il bue che si nota nel piano inferiore della capanna dipinta da Jacopo Tintoretto nell’Adorazione dei pastori altri non è che l’evangelista Luca, reso riconoscibile grazie ad un sottile riferimento alla sua iconografia. Il suo simbolo è il toro, quindi il bue, presente e centrale rispetto all’asino che non compare affatto (Mariuz, 2011).

Cogliamo proprio il pretesto offerto dai due animali simbolo della Natività per parlare dell’origine di altri elementi che contraddistinguono il presepe, non tratti dai 180 versetti dei vangeli canonici. Naturalmente ci sono sottigliezze che appartengono, in generale, alla tradizione sacra (spesso notiamo il manto azzurro della Madonna, che ricorda il cielo): altre, invece, traggono ispirazione da contesti “non ufficiali”.

È appunto questo il caso del bue e dell’asinello, legati ai vangeli apocrifi: infatti, la loro presenza è ricordata nel cosiddetto protovangelo di Giacomo, che fa riferimento ad un’antica profezia di Isaia. Pensiamo anche alla stalla, oppure alla grotta (perché la scelta è soggetta a due possibili interpretazioni). Luca, come abbiamo visto, ci parla della mangiatoia e dei pastori, ma in realtà non di una vera e propria stalla. È importante, inoltre, ricordare che la basilica della Natività a Betlemme sorge nel luogo dove, secondo la tradizione, si trovava la grotta in cui nacque il Redentore.

Ma, quindi, grotta oppure stalla? È più probabile che si tratti della prima opzione: anche i vangeli apocrifi lo confermerebbero. Sappiamo che alcuni simboli legati alla religione cristiana derivano in realtà dai culti pagani: la grotta, in particolare, costituisce un antico riferimento al cosmo. Inoltre, le sue leggendarie acque primordiali provocherebbero la nascita (o rinascita) della vita.

Anche i magi sono stati al centro di un importante dibattito: vengono ricordati nel Vangelo di Matteo che però non ci dice quanti sono (e questo è un particolare da non sottovalutare). Invece, ad esempio, nel Vangelo dell’infanzia armeno troviamo due importanti riferimenti: il numero totale (tre) e i loro nomi (Melkon, Gaspar, Balthasar: Melchiorre, Gaspare e Baldassarre).

Per molto tempo, in mancanza di un riferimento ufficiale, i magi sono stati rappresentati in numero differente: due, tre, addirittura dodici. Si deve a papa Leone Magno la decisione di riconoscerne tre definitivi: sulla base dei doni portati al piccolo Gesù che, come sappiamo bene, sono oro, incenso e mirra. Sullo stesso argomento, però, si possono proporre altri spunti di riflessione.

Per esempio: perché vengono detti magi e non maghi? La spiegazione più comune è che il termine mago risulterebbe alquanto “scomodo” e ambiguo: infatti, tale figura in passato era associata esclusivamente ai ciarlatani, ovvero agli imbroglioni. Queste considerazioni non sono sbagliate, ma per comprendere il significato di questa espressione (magio, al singolare) bisogna immergersi nella profondità della cultura antica. Matteo, nel suo Vangelo, dice: “Alcuni Magi giunsero da oriente”. Ebbene, dal punto di vista storico la figura del magio corrisponde a quella di un antico sacerdote persiano (legato anche alle pratiche divinatorie) definito, per l’appunto, magush.

Inoltre, è interessante il fatto che i Magi venissero anche identificati come le personificazioni dei continenti conosciuti nel mondo antico. L’associazione visiva era legata ai tre animali che li sorreggevano: cavallo (Europa), dromedario (Africa) ed elefante (Asia). Naturalmente, tutto ciò si discosta un po’ dagli elementi che costituiscono il nostro attuale immaginario: nel presepe, per esempio, i Magi sono accompagnati dai cammelli oppure dai dromedari.

Seguendo questo ragionamento, si finisce inevitabilmente ad interrogarsi sul significato di altri dettagli tipici del presepe: ed è qui che risalta la tradizione napoletana, ricca di simbologie particolari ed affascinanti. Per esempio, si nota molto facilmente l’aspetto anacronistico di questa rappresentazione: personaggi vestiti all’occidentale, osterie, chiese… Ci accorgiamo subito di non essere nella Terra Santa: infatti, il fascino del presepe napoletano è legato proprio alla raffigurazione della Napoli del Settecento, che costituisce l’epoca d’oro di questa particolare forma d’arte.

Ma, nel complesso, la vera e propria interpretazione del presepe partenopeo si basa su figure e dettagli estremamente curiosi. Pensiamo, per esempio, al celebre Benino: il pastorello addormentato  che, secondo la tradizione, sognando è artefice egli stesso della visione del presepe. Fanno invece parte del folclore locale i due “compari” zi’  Vicienzo e zi’ Pascale, che rappresentano il Carnevale e la Morte. Nel complesso, dal punto di vista di una ricostruzione precisa della vita quotidiana di un tempo, quelli che risaltano di più sono sicuramente i commercianti del mercato e i lavoratori: ognuno di loro presenta un prodotto corrispondente ad ogni mese dell’anno. Quindi, in un presepe che rispetti la tradizione napoletana, non possono mancare: macellaio (gennaio), venditore di formaggi (febbraio),  pollivendolo (marzo), venditore di uova (aprile), venditrice di ciliegie (maggio), panettiere (giugno), venditore di pomodori (luglio), venditore di cocomeri (agosto), seminatore (settembre), vinaio (ottobre), venditore di castagne (novembre) e pescivendolo (dicembre). Tra sacro e profano, affascinati dalla magia del presepe di Napoli, non resta che augurarci buon Natale: indipendentemente dall’incubo di questo anno difficile, che almeno questo giorno possa essere sempre stregato dal fascino della nostra tradizione.