Lezioni di storia dell’arte

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La bella vita del critico d’arte / 22

di Giancarlo Pauletto

 

Posso, dopo queste bellissime cose internazionali – Chagall, Wotruba, Kokoschka! – passare a qualcosa di personalissimo, e poi a qualcosa di molto curioso?

Preso dal sacro fuoco dell’arte – e della didattica dell’arte – mi ero immaginato, nel corso del 1981, una mostra sulle Avanguardie storiche che, utilizzando riproduzioni ritagliate da vecchi fascicoli, sintetizzasse il loro percorso a partire dal neoclassicismo per arrivare all’informale, passando attraverso tutti i momenti salienti della vicenda: romanticismo, impressionismo, divisionismo, simbolismo, fauves, espressionismo, cubismo, futurismo, astrattismo lirico e geometrico, metafisica, dada, surrealismo.

Un bel coraggio, si dirà, ma c’era una premessa.

Alcuni anni prima – insegnavo in un istituto tecnico commerciale – avevo proposto al preside un’iniziativa certo singolare, dati i tempi – ma oggi non sarebbe diverso, anzi -; avevo proposto di tenere al pomeriggio, dopo l’orario scolastico, una serie di conversazioni sull’arte contemporanea, perché notavo che l’interesse dei ragazzi si accendeva immediatamente se, parlando per esempio della poesia di Montale, parlavo anche di De Chirico, e mettevo in relazione i versi del poeta con i quadri del pittore, mostrando in classe alcune immagini della pittura “metafisica”.

E c’era anche un’altra premessa.

Da tempo mi chiedevo come mai, in un paese che ha i templi di Paestum e il Pantheon, San Marco e il battistero di Firenze, Piero della Francesca e l’Angelico, il Canal grande e La Salute, Brunelleschi e Borromini, Leonardo e Raffaello, Bramante e Michelangelo, Caravaggio Boccioni Morandi e Burri – voi capite che si tratta di puri esempi en passant –; come mai in questo paese la storia dell’arte italiana veniva insegnata – si fa per dire – solo nei licei classici e negli istituti magistrali?

Forse che essa non apparteneva a tutti i cittadini, ma solo ad alcuni?

E non era essa, forse, il più potente segno d’identità del paese – dopo, ben s’intende, la nazionale di calcio?

E il barocco di Torino non era, forse, parente di quello di Siracusa?

E il romanico di Verona non aveva, forse, qualche somiglianza con quello della Puglia?

Ecco allora l’idea di raccontare qualcosa della storia dell’arte anche ai ragazzi della ragioneria, aggiungendo addirittura, in parallelo, qualcosa di storia della musica – al meglio, come al peggio, non c’è limite –: in ciò coadiuvato da un amico musicista che la pensava come me.

Sintetizzo.

Il preside – uomo colto e aperto – non solo ci diede il permesso, ma ci incoraggiò anche, mettendoci a disposizione una certa somma per acquisto di diapositive e dischi.

Furono otto incontri per studenti del triennio provenienti da Portogruaro, luogo dei fatti, ma anche da fuori, naturalmente senza alcun obbligo di presenza, in totale libertà di scelta.

Partimmo con il pienone: centodieci ragazzi tra i sedici e i diciotto-diciannove anni che, alle due e mezza del pomeriggio, si sedettero ad ascoltare due individui che parlavano di pittura e di musica, mostrando diapositive e ascoltando pezzi di concerto e di sonate per pianoforte.

Naturalmente le presenze, al terzo incontro, erano scese verso la cinquantina, ma tali poco più poco meno rimasero fino alla fine, mostrando chiaramente che, oltre la curiosità, c’era un vero interesse a a tentar di penetrare in un mondo, fino ad allora del tutto sconosciuto.

Qualche altra esperienza mi confermò in questa convinzione, e allora ecco l’idea a suo modo definitiva: apprestare su semplici pannelli di cartone all’incirca 110 per 80 una mostra che parlasse soprattutto con le immagini, lette secondo brevi didascalie che ne suggerivano l’interpretazione.

Un libro aperto, insomma, ma con tante figure e poche parole, l’essenziale per orientarsi tra i vari ismi, con un’introduzione anch’essa breve ma determinante, perché suggeriva le dritte fondamentali per accostarsi con atteggiamento produttivo all’esposizione.

La trascrivo, in modo che il discorso non resti nel vago.

«La sequenza delle immagini sopra riportate» – si trattava di otto riproduzioni di opere, da Andrea Appiani a Paul Klee, ritratti e paesaggi diversissimi tra loro – «è immediatamente indicativa delle trasformazioni avvenute dentro la pittura nel corso degli ultimi centocinquant’anni.

Queste trasformazioni, specie quelle dopo l’impressionismo, sono ancor oggi poco comprese da molte persone che pure con l’arte hanno qualche contatto.

La mostra si sforza, dunque, di fornire alcune conoscenze che rendano ragione dei motivi per cui l’arte contemporanea è quella che è, si è sviluppata in direzioni che spesso sembrano incomprensibili e che invece tali non sono.

Trattandosi di una mostra didattica si è cercato di essere estremamente essenziali, scontando in partenza l’inevitabile schematismo e sacrificando necessariamente molte precisazioni e personalità.

D’altro canto lo scopo non è quello di parlare di tutto, ma di invitare ad ulteriori approfondimenti, a visitare i musei dove ci sono le opere vive, ad una progressiva acquisizione culturale.

Precisazioni e consigli di lettura.

La mostra comprende undici “capitoli”, ognuno composto da due o tre pannelli. Ogni capitolo è indicato da un titolo, sotto il quale c’è un brevissimo sommario e alcune indicazioni per una lettura formale e una lettura contestuale delle immagini.

Per lettura “formale” intendiamo un’osservazione che tenga conto di elementi intrinseci alle immagini medesime.

Ne abbiamo indicati due, sintetici e fondamentali: il modo di usare lo spazio del quadro (che può essere, ad esempio, ordinato o non ordinato, prospettico oppure non prospettico eccetera) e il modo di usare la cromia, cioè il tipo e la qualità complessiva del colore adoperato dall’artista; così la cromia può essere, per esempio, contrastata oppure equilibrata, arbitraria oppure naturalistica, eccetera.

Per lettura contestuale delle immagini intendiamo un’osservazione che tenga conto dell’ambiente storico-culturale in cui le opere sono nate.

Bisognerà dunque osservare il contenuto (dipingere un ritratto di Napoleone Bonaparte non è la stessa cosa che dipingere un paesaggio); la destinazione (un quadro fatto per lo zar di Russia non ha lo stesso significato di un quadro fatto per essere venduto in una galleria d’arte); la funzione (un quadro con cui si vuole esaltare una rivoluzione non ha lo stesso significato di un quadro nel quale il pittore voglia rappresentare un suo particolare momento di malinconia).

Si consiglia infine, per ogni capitolo della mostra, di leggere prima le didascalie sottostanti alle immagini – che forniscono sintetiche informazioni utili per collocare gli eventi artistici – poi di osservare le illustrazioni tenendo conto delle indicazioni fornite nei sommari che si trovano sotto i titoli”.

E adesso ci vuole un esempio di questi “sommari”, altrimenti il discorso rimane incompleto.

Ecco, per esempio, quello relativo al Futurismo: «La dinamicità del reale, il fatto che tutto è in movimento contemporaneamente, compresa la vita della società e dei singoli uomini, è questo che il Futurismo intende rappresentare: da qui il forte coinvolgimento del gruppo anche nei fatti della vita politica e la sua violenta e dissacratoria carica polemica verso la cultura accademica italiana.

Dati minimi per una lettura formale delle opere: spazio dinamico attraversato da linee/forza, mentale, non gerarchizzato, non naturalistico; cromia non naturalistica, pensata, psicologica.

Dati minimi per una lettura contestuale delle opere: contenuti relazionati a dinamismo, simultaneità, compenetrazione, velocità; destinazione alle élites intellettuali; funzione conoscitiva, declamatoria, persuasoria».

Dirò, per completare l’idea, che tra le opere testimoniate attraverso le riproduzioni c’erano La rissa in Galleria, La città che sale e Forme uniche nella continuità dello spazio di Boccioni; I funerali dell’anarchico Galli, Ciò che mi ha detto il tram e La donna al balcone di Carlo Carrà; Dinamismo di un’automobile di Luigi Russolo; Ballerina+ mare+ mazzo di fiori e Danzatrice in blu di Gino Severini; Forme grido “Viva l’Italia” e Compenetrazione iridescente n.7 di Giacomo Balla; Dissidio domestico quotidiano di Leonardo Dudreville; Il piroscafo “Odin I” di Lionel Feininger; In picchiata sull’aereoporto di Tullio Crali.

Sono opere in cui ognuno può leggere – in estrema sintesi, senza che si possa ora dilungarsi – origini, varietà ed estensione temporale del Movimento.

Bilancio?

Di un lavoro che mi aveva impegnato – nella realizzazione pratica, non parlo della sistemazione concettuale – per molti mesi?

Non esaltante.

La mostra fu montata in una bella sala della Casa dello studente di Pordenone, suscitò un certo interesse alla presentazione, ma poi non fu – come ingenuamente mi attendevo – molto richiesta, intendo da comuni o biblioteche comunali o, magari, circoli culturali, realtà che pur erano state informate della sua esistenza.

Ebbe un paio di occasioni, forse tre, ma fu abbastanza chiaro che le persone non avevano voglia di stare lì a leggere, a osservare, a confrontare i suggerimenti dati con le loro impressioni.

Era un lavoro faticoso, tutto sommato, anche se mi pareva che la sintesi proposta e le dritte di lettura fossero, per chi li avesse presi sul serio, abbastanza efficaci – e ciò si capirebbe forse meglio se tutti i testi della mostra potessero essere qui riprodotti.

Ma magari questo era vero solo per me.

Preferivano frequentare i corsi d’arte che tenni, per molti anni, a Pordenone, a Portogruaro, a Maniago, Spilimbergo e in altri paesi veneti e friulani.

Gli ascoltatori si iscrivevano numerosi, anche cento persone alla volta: e trecento, quando proposi un corso sulla civiltà artistica veneziana dalle origini a Tiepolo.

Trecento persone: dovemmo, la sera stessa del primo incontro, dividere i partecipanti in due gruppi, e invitare il secondo a presentarsi il pomeriggio successivo, perché tutte non ci stavano, nell’Auditorium del Centro di Pordenone.

Ma si sa che Venezia è magica.

 

 

Carlo Carrà

Simultaneità

La donna al balcone

olio su tela, 1912

Milano, collezione privata