Luce del mondo

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Il profondo significato del bagliore divino nella Notte del Correggio

di Nadia Danelon

 

“Per questa Notte, io Alberto Pratonero faccio fede a ciascuno, come io prometto di dare a maestro Antonio da Correggio pittore libre duecento otto di moneta vecchia reggiana e questo per pagamento d’una tavola che mi promette di fare in tutta excellentia, dove sia depinto la Natività del Signore nostro, con le figure attinenti, secondo le misure e la grandezza che cappeno nel disegno che mi ha puorto esso maestro Antonio, di man sua (…)”. Con questo atto privato, che porta la data del 24 ottobre 1522, viene ufficialmente assegnata la commissione di un dipinto talmente innovativo da essere ritenuto la fonte d’ispirazione per altri capolavori di soggetto analogo.

Le caratteristiche compositive del dipinto costituiscono una vera e propria svolta, destinata a rinnovare un’iconografia altrimenti ripetitiva: quella della Natività, una scena tradizionalmente piuttosto statica che il pittore stravolge attraverso l’uso sapiente della luce, che acquisisce una forza determinante sotto molteplici punti di vista. Da questa giustapposizione di fonti luminose traggono vantaggio non solo i personaggi, ma anche gli elementi accessori che completano la scena. Ma quello che più stupisce e che allo stesso tempo costituisce un chiaro riferimento al ruolo che viene chiamato a svolgere il protagonista della scena, è il bagliore luminoso emanato da Gesù Bambino. L’opera in questione è, naturalmente, l’Adorazione dei Pastori di Antonio Allegri da Correggio (1525-1530): il dipinto, generalmente conosciuto con il titolo di Notte, è conservato a Dresda. Come si è già visto, l’opera è stata commissionata da Alberto Pratonieri, che interpella “Antonio Lieto” da Correggio per realizzare la pala da collocare nella cappella di famiglia presso la basilica di San Prospero a Reggio Emilia: il soggetto del dipinto, come da consuetudine, fa riferimento all’intitolazione dell’altare al quale è destinato (la Natività di Nostro Signore).

Scorrendo la bibliografia relativa al catalogo del Correggio e a quest’opera in particolare, si notano alcune opinioni contrastanti avanzate dalla critica nei confronti del titolo secondario del dipinto. Diversi studiosi sottolineano il fatto che nel Cinquecento, per descrivere questo tipo di raffigurazione, può essere considerato consueto il titolo di Notte: a maggior ragione, scelgono di sottolineare la presenza di questa definizione anche nel già ricordato atto di commissione dell’opera. Altri, invece, ricordano la storica contrapposizione tra due opere celebri del Correggio: una è, appunto, l’Adorazione dei pastori di Dresda. L’altra è invece la Madonna di San Girolamo conservata a Parma che, per la sua intensa luminosità, è stata ribattezzata Giorno. I due dipinti, realizzati nello stesso periodo, condividono la cronologia con un’opera ancora più celebre: si tratta della decorazione della cupola del Duomo di Parma, dove Correggio raffigura l’Assunzione della Vergine. Il fatto curioso è che due tra queste opere, la Notte e l’affresco della cupola, vengono commissionate al pittore nel giro di due settimane: il 24 ottobre 1522 vengono sottoscritti gli accordi per la pala d’altare, mentre il contratto relativo al Duomo di Parma viene firmato il 7 novembre dello stesso anno. Ma le coincidenze tra le due commissioni finiscono per accomunare le differenti opere anche nelle circostanze del loro completamento: la realizzazione di entrambe, infatti, giunge al termine nel 1530. Sappiamo che la pala di Reggio Emilia viene collocata sull’altare della cappella Pratonieri al termine del restauro di questo ambiente: per l’occasione viene realizzata una lapide, che include i nomi del committente del dipinto e di suo fratello, insieme a quello del loro padre come testimonianza del rispetto dovuto nei confronti delle sue volontà. Correggio disegna anche la cornice del dipinto, l’unico elemento ancora presente nel suo contesto originale: l’assenza in loco della pala d’altare non deve stupire, considerando lo straordinario successo dell’opera a partire dall’epoca della sua realizzazione. Le fonti antiche ricordano l’ammirazione nei confronti del dipinto dimostrata da diversi personaggi illustri: tra questi figurano anche vari artisti, pronti a far propria l’intuizione compositiva del Correggio tramandola attraverso le opere prodotte nei decenni successivi. I tentativi di acquisizione dell’opera nell’ambito di alcune tra le collezioni più prestigiose d’Europa non si contano: primo fra tutti quello (fallito) del pittore Diego Velazquez, che nel XVII secolo cerca di acquistare il dipinto per conto del re di Spagna. Nel 1640, Francesco I d’Este riesce ad aggiudicarsela: la Notte entra ufficialmente a far parte delle raccolte ducali di Modena. Vi rimane fino al 1746, quando il dipinto è incluso nelle cento opere inviate ad Augusto III di Polonia: il capolavoro del Correggio trova quindi la sua collocazione definitiva a Dresda, dove si può ammirare tutt’ora.

La critica si è più volte pronunciata riguardo alle potenzialità compositive di questa suggestiva Adorazione dei pastori, concentrando soprattutto l’attenzione sulla particolarità del Bambino dotato di luce propria: ad affascinare è la molteplicità di reazioni che questo bagliore divino suscita nelle figure degli astanti. La Vergine, di fatto, appare come l’unico personaggio terreno in grado di sopportare la vista di questa fonte luminosa dall’elevato significato spirituale. Tra i personaggi minori si nota anche l’immagine di una donna, magistralmente descritta dal Vasari (1568): “(…) e fra molte considerazioni avute in questo soggetto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della sua divinità, che con i raggi par che percuota quella figura, si mette la mano dinanzi agl’occhi, tanto bene espressa che è una meraviglia”. Il contrasto tra luce ombra evidenzia le sagome di due anatroccoli, collocati nel cesto esibito dalla stessa figura. In questo toccante capolavoro fanno capolino anche altri dettagli: ad esempio, la luce emanata da Gesù valorizza le spighe di grano della mangiatoia, che ricordano l’Eucarestia. Correggio sceglie di collocare la scena della Natività nel contesto di un ricovero per animali che, secondo il racconto tradizionale, è stato realizzato nelle rovine di un tempio pagano: si spiega così anche la presenza della colonna che però, come noto, rappresenta anche il “trapasso dei tempi”.