Le mani della politica sulla storia
Editoriale | febbraio 2020 | Il Ponte rosso N° 53
Il ‘Rapporto Italia 2020’ dell’Eurispes segnala alcuni inquietanti dati statistici secondo i quali, ad esempio, il 15,6% degli italiani è convinto che la Shoah non sia mai avvenuta; nel 2004 erano di questo avviso soltanto il 2,7% degli intervistati. Una progressione di queste dimensioni non può che avere radici in un’ignoranza largamente diffusa della Storia e in un sistema informativo drogato, per caso o secondo un preordinato disegno. Come notazione a margine, è opportuno rilevare che l’intervallo di tempo considerato per tale vertiginoso aumento del numero di coloro che ritengono che sia del tutto infondata la narrazione dell’Olocausto coincide grossomodo con l’istituzione del Giorno della memoria (in Italia istituito per legge nel 2000, a livello internazionale con la risoluzione dell’ONU del 2005). Si direbbe quindi che, anziché compattare i cittadini in un rigetto pressoché unanime dell’antisemitismo e in genere del razzismo, le celebrazioni ufficiali contribuiscano al contrario a dare spazio a ricostruzioni negazioniste. Com’è possibile?
La risposta risiede in primo luogo in un’informazione fuori controllo, quale quella derivante dalle reti sociali, o parzialmente controllata, quale quella degli organi di stampa, radiofonica o televisiva in cui politici e commentatori poco informati o capziosi, per lo più politicamente molto orientati, diffondono versioni annacquate o del tutto false di quanto storicamente comprovato.
Agli atteggiamenti sarcastici di parte dello schieramento politico nei confronti di personalità critiche (ridicolizzate con appellativi quali “professoroni”) fanno riscontro alcune determinazioni degli enti locali tendenti a privare di contribuzioni pubbliche o comunque a penalizzare nelle erogazioni istituzioni di cultura, se non allineate con gli orientamenti – politici, non certo culturali – dell’ente erogante.
Di atteggiamenti censori di questo genere, nell’area giuliana e genericamente dei confini orientali si è fatto e si continua a fare un largo abuso, anche e soprattutto per le vicende legate all’esodo giuliano e dalmata e alla tragedia delle foibe, rincorrendo l’obiettivo di conseguire un potere arbitrario della politica sulla ricerca storica e, naturalmente, sugli storici che si impegnano a condurla senza cedere a pressioni fuorvianti.
A livello regionale, la maggioranza di destra già nel febbraio dell’anno scorso era pesantemente intervenuta contro l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, “reo” di aver pubblicato un Vademecum per il Giorno del ricordo, redatto con metodo storico, che presuppone il distacco critico dalle vicende prese in esame. Dopo quell’episodio, la polemica del presidente della Giunta regionale con il direttore artistico del Mittelfest, accusato di “fare politica”, riecheggiando un cartello che in epoca fascista era abbastanza usuale vedere affisso nei luoghi pubblici: “Qui non si parla di politica, qui si lavora”. Fatto sta che in due anni il contributo regionale alla manifestazione di Cividale è stato decurtato di 200.000 euro.
Al contempo è stata presentata una proposta di legge (la n. 21) al Consiglio regionale istitutiva di una commissione incaricata di valutare gli elaborati di un concorso denominato: “Foibe ed esodo: Un ricordo da non dimenticare”, dove i commissari sono designati, in larghissima maggioranza, dalle “principali associazioni da sempre impegnate nella conservazione della memoria dell’esodo e della tragedia delle foibe, che hanno in materia una specifica e pluridecennale esperienza”. Escludendo, per dirne una, le Università presenti in Regione, col fondato sospetto che di quegli eventi ci si occupi non tanto per ragioni culturali e al fine di ricostruire con criteri di obiettività scientifica in tutta la sua complessità la materia ad uso soprattutto delle generazioni più giovani, ma per farne una volta di più materia di propaganda, come purtroppo per decenni si è fatto.
Percorreremo tutti, seguendo orientamenti di questo genere, una ripida e scivolosa china verso un domani di vuota retorica e di conoscenze fallaci e approssimative.