PROFILO DI UNA CITTÀ

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La stazione Rogers

di Maurizio Lorber

 

La Stazione di Campo Marzio (Il Ponte rosso, n. 1, maggio, 2015) testimonia della crescita esponenziale dei trasporti e dei nuovi materiali. Ferro e carbone avevano rivoluzionato la macchina produttiva e sociale europea nel XIX secolo, ma il petrolio, fin dalla prima metà del secolo successivo, è il combustibile che spalanca definitivamente le porte al Secolo breve. A pochi passi dal Museo del Mare rintracciamo testimonianza di questa rivoluzione in un esempio dell’architettura internazionale degli anni Cinquanta, recuperato magnificamente nel recente restauro (2008).

L’elegante edificio, un tempo stazione di servizio (per conto della Società Aquila) oggi ospita un bar e una sala esposizione di arte contemporanea, fu progettato dallo studio milanese BBPR, del quale era membro l’architetto triestino Ernesto Nathan Rogers, teorico e fondatore dell’architettura contemporanea italiana.

Il committente, la Società Aquila, sorta a Trieste nel 1934, desiderosa di affermarsi sul territorio in qualità di centro petrolchimico (carburanti e lubrificanti ad uso industriale) sostenne anche una divulgazione per immagini della Società – il logo dell’aquila – promuovendola, nel circuito della comunicazione di massa, per mezzo di materiale illustrato (per il quale furono coinvolti anche valenti illustratori quali Tranquillo Marangoni e Renzo Kollmann). La scelta strategica di siti per la distribuzione di carburanti, (Barcola, via Fabio Severo) fa tutt’uno con l’incremento dell’industrializzazione nel dopo guerra e si lega indissolubilmente al marketing dei prodotti. È all’interno di quest’ampia cornice del miracolo economico italiano che assumono un ruolo rilevante gli architetti noti con l’acronimo di BBPR (ne facevano parte il triestino Ernesto Nathan Rogers, Gian Luigi Banfi, scomparso nel 1945 in un campo di detenzione tedesco, Lodovico Barbariano di Belgiojoso, ed Enrico Peressutti) che a Trieste non si limitarono alla stazione di servizio, progettata nel 1952, ma li vide coinvolti, nel 1958, nell’ampliamento dell’edificio direzionale dell’Aquila sito nella vicina Muggia (la significativa presenza di Rogers a Trieste è attestata, negli stessi anni, anche da un progetto presentato all’Ente porto industriale per il quartiere di Borgo san Sergio).

La stazione di servizio adotta la tecnica costruttiva dei capannoni industriali, ma la rigorosità progettuale e costruttiva non lasciano indifferente l’osservatore più attento. Le coperture sono in laterizio armato ideale per l’edificazione di volte ricurve; per le colonne sottili (pilotis secondo la definizione di Le Corbusier), si sono utilizzati tubi cilindrici di eternit riempiti di cemento armato e dipinti di blu. Gli architravi che sostengono le volte sono di colore rosso mentre l’intradosso è di azzurro chiaro. La levità dell’edificio è dovuta alle ampie vetrate incorniciate da esili serramenti dipinti di nero. Le pareti inoltre sono rivestite di tessere di ceramica bianca che ne esaltano la luminosità e conferiscono alla superficie maggior resistenza. Ma è la disposizione sfalsata dei tre corpi di fabbrica accostati e l’uso di un cornicione aggettante che ne moltiplicano la dinamicità. Si noti poi la ricercatezza dei dettagli: nel punto d’incontro fra colonna e spigolo murario: quest’ultimo è incurvato con un piacevole effetto di “morbidezza”. Tutto concorre a un dialogo che parte dalla funzionalità dell’edificio – la lezione di Gropius e Le Corbusier – con elementi estetici ricavati da materiali tipici dell’architettura industriale: cemento, vetro e ferro. Non a caso, nel 1913, Walter Gropius pubblicò un articolo, nel quale esaltava lo sviluppo degli edifici industriali negli Stai Uniti, corredato da una serie di fotografie di fabbriche e sollevatori di granaglie affermando che «portano un volto architettonico talmente franco da comunicare all’osservatore la forza convincente chiaramente comprensibile del loro significato». Questa lezione giunse fino a Nathan Rogers che scrisse infatti nel 1955 che «operiamo nell’orbita del processo metodologico avviato da Gropius». Se questo era il punto di partenza, Rogers aveva piena consapevolezza che il dilemma verteva sulla questione di come armonizzare il linguaggio moderno con gli edifici storici. L’ambiente triestino non era ancora sufficientemente maturo per comprendere la soluzione proposta cosicché la Soprintendenza tentò, a più riprese, di far modificare il progetto. Fortunatamente, seppure la proposta progettuale di BBPR dovette affrontare perigliose lungaggini burocratiche, con la conseguente dilatazione dei tempi, si giunse all’autorizzazione il 31 marzo 1954.

Il contrasto con l’edificio retrostante – una tipica casa neoveneziana triestina – è, a questo riguardo, illuminante della capacità di coniugare il colore locale con l’inventiva contemporanea: «Venezia è l’esempio sublime dell’equilibrio per contrappunto in ambiente storico. Queste architetture contemporanee interpretano le preesistenze ambientali criticamente; anche quando ne riconoscono più o meno certi valori figurativi, non ne traggono mai il linguaggio specifico, imitandolo. È il modo più fecondo per continuare la tradizione della modernità» (E. Nathan Rogers in Esperienza dell’architettura). Erano temi allora al centro della riflessione da parte di architetti e teorici a livello planetario, tanto che, nel 1951, in Inghilterra, in occasione dell’ottavo CIAM (Congresso internazionale d’architettura moderna) il tema prescelto fu Il cuore della città. In tale occasione Walter Gropius, Le Corbusier, Sigfried Giedon, Richard Neutra e lo stesso Rogers ebbero modo di discutere e confrontarsi sul significato della centralità urbana; e nel 1954, l’architetto scrisse un editoriale (in Casabella Continuità) dal titolo esemplificativo: Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei.

Parte di questo complesso dibattito che appartiene alla storia dell’architettura (seppure sia oggi di sconsolante attualità) può essere parzialmente compreso anche soltanto osservando, con la dovuta attenzione, il contesto ambientale della stazione Rogers. La sera, l’illuminazione dall’interno, esalta il suo disegno elegante e le coperture a volte, sostenute da sottili pilotis, evocano simbolicamente le onde del mare. Un messaggio visuale evidente nella prassi fatto di contrappunto con le preesistenze e non meno cristallino nel pensiero dell’architetto: «Costruire un edificio in un ambiente già caratterizzato dalle opere di altri artisti impone l’obbligo di rispettare queste presenze nel senso di portare energia come nuovo alimento al perpetuarsi della loro vitalità». Così scriveva Rogers nel 1955, un anno dopo l’edificazione della stazione Aquila: un piccolo gioiello dell’International style.