LUNATICO – Il parco restituito alla città

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Intervista a Maria Teresa Bassa Poropat, presidente della Provincia di Trieste

Mentre la presidente mi viene incontro per stringermi la mano, mi sorprendo a pensare che probabilmente questa è l’ultima volta che metto piede nella stanza di palazzo Galatti. La prima volta, tanti anni fa, presidente era Lucio Ghersi e non riesco a contrastare un’ombra improvvisa di malinconia, pensando che stiamo vivendo gli ultimi giorni di questa istituzione, che pure tanto ha significato nella storia di questa città e del suo territorio. Non fosse passato per questa stanza anche Michele Zanetti, per dirne una, ci troveremmo oggi a raccontare una storia diversa.

 

Andando oggi nel comprensorio di San Giovanni, fatalmente riemergono memorie di quand’era un luogo di detenzione, poi gli entusiasmi per la rivoluzione di Basaglia, i lunghi anni dell’abbandono e oggi, finalmente, uno spazio d’incredibile bellezza e vivibilità, riconquistato dalla città, dove è piacevole passare o fermarsi, oppure, come sta accadendo per le iniziative del Lunatico Festival, godere di uno spettacolo. La Provincia ha avuto, nei dieci anni della sua presidenza, un ruolo notevole in questa metamorfosi?

L’Amministrazione provinciale su questa materia ha fatto un enorme lavoro, in prima battuta a fianco dell’Azienda sanitaria, in particolare nelle persone del dottor Rotelli e del dottor Dell’Acqua, successivamente con un coinvolgimento dell’Università e del Comune, che a dire il vero è sempre rimasto un po’ defilato. S’era comunque stabilito di assegnare alla Provincia un ruolo di coordinamento tra i cosiddetti “condomini”, le amministrazioni cioè che si dividono la competenza tra le varie unità immobiliari del comprensorio, perché era necessario anche ai fini dei rispettivi bilanci distribuire i costi, che non sono stati affatto irrisori in quanto si è reso necessario provvedere a onerosi interventi di adeguamento alle mutate esigenze e di ripristino per quanto era in stato di abbandono. Ricorderà anche lei che in origine il parco era immerso nell’oscurità, per cui si è dovuto intervenire sull’impiantistica elettrica, per non parlare poi dei lavori di manutenzione della vegetazione, o di altri importanti interventi di carattere strutturale.

La Provincia ha scelto di cedere a terzi buona parte degli immobili del comprensorio?

Sì, abbiamo alienato a terzi, comunque a enti pubblici, tutta quella parte del patrimonio edilizio di San Giovanni sul quale ritenevamo di non avere particolari interessi. Un edificio che abbiamo deciso di mantenere nella proprietà della Provincia è stato il teatro che, paradossalmente dopo vent’anni dall’inizio dei lavori, è stato riconsegnato alla fruizione prima dello scadere del mio primo mandato.

Comunque l’idea che mi sono fatta rispetto al risanamento del comprensorio è che esso abbia seguito un disegno organico, una programmazione coerente e non scandita da interventi in una successione temporale casuale. È così?

Certo. Vede, in occasione del centenario dall’inaugurazione dell’ospedale psichiatrico, nel 2008, abbiamo voluto produrre un volume di saggi, arricchito da un eccellente apparato iconografico che esplorasse la storia del comprensorio. Volume purtroppo introvabile, in quanto esaurito.

Non lo dica a me, che lo considero un autentico gioiellino, che ho potuto sfogliare soltanto prendendolo a prestito in biblioteca…

Già: si è trattato di una pubblicazione importante e difatti tutte le copie sono state acquistate. In esso si parla di tre utopie che si sono succedute nel tempo nel luogo del quale stiamo parlando: la prima, riferita alla progettazione della struttura caratterizzata, per i tempi, da una straordinaria modernità, che ha consentito di trasformare una zona residenziale di pregio nel frenocomio cittadino, grazie alla lungimiranza del Comune di allora che volle chiamare i migliori architetti per realizzarlo e a riprova della validità del progetto e della successiva esecuzione, una gran parte degli edifici sono oggi tutelati dalla Sovrintendenza.

La seconda utopia, naturalmente, è quella basagliana, che ha toccato non soltanto il tema della malattia psichiatrica e delle sue cure, ma che ha lasciato un segno anche nel sentire comune, per quanto riguarda l’accettazione della diversità, del disagio. La terza utopia vorrebbe, senza far perdere al parco le sue caratteristiche naturali, restituirlo alla città come parco culturale. Per realizzare quest’ultima utopia, sono stati fatti grossissimi investimenti nella cura degli spazi verdi, nella creazione del giardino delle rose, completando così un percorso che ha fatto evolvere il sito da luogo di detenzione e sofferenza, come lo ricordano ancora quelli tra noi che hanno una certa età, a quello che attualmente è. All’interno di questo percorso fortemente evolutivo, abbiamo cercato di attrarre la gente, proponendo una serie di eventi di carattere culturale di cui il “Lunatico Festival” costituisce senza dubbio un significativo traguardo.

Oltre al “Lunatico”, però, la Provincia ha promosso anche altre iniziative di carattere culturale?

Certo: all’interno dal festival estivo “Teatri a Teatro”, avevamo organizzato presso il teatrino una rassegna di filmati che ripercorreva la storia dell’esperienza di Basaglia, del ruolo dell’Ente sotto la presidenza di Zanetti. Abbiamo poi sostenuto l’azione della Fondazione Basaglia di Venezia tendente a riordinare e rendere consultabile la grande mole del materiale documentale amministrativo dell’Ospedale Psichiatrico. Considerato che per quelli che non hanno vissuto gli anni dell’apertura del manicomio e poi della sua definitiva dismissione tutto quel periodo costituisce un vago riferimento storico, abbiamo agevolato l’assunzione di conoscenze in merito da parte dei più giovani, favorendo per esempio iniziative come quella delle visite organizzate dal FAI e progetti destinati a promuovere la storia del sito. Tutto questo, come anche le scelte operate da questa eccellente iniziativa del “Lunatico”, hanno il valore aggiunto di collegare tra loro, nella individuazione dei temi da affrontare, le questioni che sono alla base della storia del luogo, che è una grande storia di libertà e di crescita civile. In questo processo di valorizzazione si è inserita anche la scelta della Provincia di avviare un concorso d’idee per la realizzazione di opere d’arte che potessero evocare le vicende del Parco.

Due sono stati gli interventi prescelti, sculture che oggi si possono ammirare percorrendo i viali del Parco.

Tutto ciò si è realizzato e si continua a realizzare grazie alla sensibilità di chi amministra questo grande spazio, ma vogliamo dire che negli anni successivi alla chiusura del manicomio, morto Basaglia, in un clima politico mutato e con le amministrazioni locali in qualche modo ostili alla riforma e alla 180, il Parco ha vissuto un periodo oscuro di deplorevole abbandono, che lo aveva reso nuovamente un corpo estraneo incuneato nel tessuto urbano?

Sicuramente sì, purtroppo. Ricordo che, lasciato in balia di se stesso, il sito ha subìto prolungati saccheggi. E possiamo anche rammaricarci perché, se si fosse intervenuto prima, anche i costi che abbiamo dovuto poi sostenere per il ripristino sarebbero stati molto meno gravosi. Finché non si è riusciti ad individuare una specifica strategia d’intervento, frutto di una scelta politica lungimirante,( ricordo che il recupero del parco di S. Giovanni era uno dei progetti strategici già nel mio primo programma di mandato), è risultato vano ogni tentativo di salvaguardare l’esistente.

Tra poco più di due mesi lei cesserà di essere presidente della Provincia, per il semplice fatto che questo ente non esisterà più. La preoccupa questa prospettiva, per quanto attiene al futuro di San Giovanni?

Francamente sì, almeno un poco. Vede, già oggi la Provincia ha iniziato a cedere alcune competenze a Comune e Regione; a San Giovanni per esempio il teatrino è già passato nella proprietà della Regione, mentre manteniamo ancora per questa manciata di settimane il controllo del Parco. Dopo, è da auspicare che il verde del Parco, che richiede una manutenzione accurata e speciale, continui a essere mantenuto nelle attuali condizioni, altrimenti c’è il rischio che, nel giro di sei mesi, si perda il Giardino delle rose, si perda l’intero controllo della situazione, perdendo il livello di eccellenza che siamo faticosamente riusciti a conseguire (il Giardino delle rose è considerato il secondo per quantità e qualità dei roseti a livello europeo). Far rientrare ad esempio la manutenzione del verde del Parco all’interno della generica manutenzione del verde urbano, senza riguardi per la specificità della sua realtà, rischia di comprometterne la qualità.

Non ci rimane che sperare?

Beh, quello che io dovevo fare credo di averlo fatto. Mi auguro che chi subentrerà alla Provincia, come soggetto coordinatore, manifesti la stessa attenzione e cura da me espressa in questi dieci anni di mandato. Per il futuro, spereremo assieme.

 

Walter Chiereghin