Mario Cresci, oltre la fotografia

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Uno dei maggiori interpreti della fotografia italiana

di Paolo Cartagine

 

«Amo la fotografia ma non fino al punto da farne un unicum, perché ho sempre avuto il desiderio di mescolare segno e immagine usando diverse tecniche di produzione visiva, come facevano i protagonisti delle avanguardie storiche del ‘900.»

È il biglietto da visita di Mario Cresci, nato a Chiavari nel 1942, uno dei maggiori interpreti della fotografia italiana, sperimentatore e innovatore poliedrico, tra i primi in Italia che ha analizzato le potenzialità del linguaggio fotografico applicando alle sue foto la contaminazione tra fotografia, disegno, pittura, grafica, incisioni, installazioni e video.

Autore eclettico, persona aperta, pacata e disponibile, dagli anni ’60 indaga, ininterrottamente e con successo, due itinerari distinti: le immagini grafico-concettuali e il reportage sociale sulla condizione umana. Una singolarità nel panorama della cultura visuale internazionale che lo ha reso noto in tutto il mondo.

Formatosi al Corso Superiore di Industrial Design a Venezia, Cresci annovera tra le sue realizzazioni più significative un gran numero di ricerche, libri, saggi, cataloghi e mostre (sempre con opere accostate in serie, mai immagini singole), che gli sono valsi prestigiosi riconoscimenti.

Ha partecipato a ricerche antropologico-fotografiche e urbanistiche in Basilicata, fermandosi quindici anni a Matera per fotografare persone e luoghi. È stato poi direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Bergamo (dove vive), docente di fotografia (tra cui all’Accademia di Brera e a Urbino). Ha esposto più volte alle Biennali di Venezia. Sue foto sono conservate, fra l’altro, al MoMA di New York.

Nel ’69 Cresci – anticipatore di un genere oggi in voga – aveva proposto, per primo in Europa, un’installazione fotografica. In quel periodo di contestazione il tema era «il rapporto fra produzione e consumo, sviluppato con un migliaio di cilindri trasparenti contenenti altrettante fotografie, frammenti dell’allora dualismo ricchezza-povertà»; l’evento si tenne al Diaframma di Milano, la Galleria di Lanfranco Colombo, altro personaggio di spicco della fotografia italiana.

L’ultima Mostra in ordine di tempo è La Luce, la Traccia, la Forma, summa di nuove ibridazioni tecniche e linguistiche (a Modena da settembre 2021, al momento sospesa per Covid-19).

Quali sono i tratti salienti del suo lungo percorso?

Oltre cinquant’anni di ricerche declinate in forme e modi sempre diversi con una motivazione, tre strategie, due vie, un risultato.

La motivazione – originata dalla sua inesausta curiosità caratteriale – è quella di studiare le possibilità comunicative del linguaggio fotografico, considerato però in opposizione alla presunta «veridicità del reale» colta dagli scatti.

Progettualità, sperimentazione e valorizzazione le tre strategie al fine di non replicare ricette già utilizzate.

Cresci parte dal progetto per non lasciare che circostanze fortuite abbiano il sopravvento inficiando la qualità. È un Autore che non aspetta la buona occasione, la casualità, ma invece pianifica e organizza in anticipo l’intera fase realizzativa senza precludersi l’eventualità dell’inaspettato.

Per lui sperimentare è uscire dagli schemi. I materiali di partenza? «Conservo le mie foto, fogli con appunti, tracce di memoria, schizzi, ritagli di vecchie fotografie fatte da altri». Allora tutto è potenzialmente degno di nota, da filtrare, sedimentare e selezionare per trarne l’essenza, dove cambiamenti e ricombinazioni costituiscono fondamentali possibilità di reinterpretazione. Pertanto, grande impegno sul campo ma pure in camera oscura e oggi con scanner digitali, i quali – «leggendo disegni e foto analogiche in maniera diversa dalle fotocopiatrici di una volta» – generano di fatto «originali collocabili in una zona intermedia che non è né disegno né fotografia». Perciò, per passare dall’idea al segno, mescola e rende congruenti linguaggi e procedimenti vari, ricorre a tecniche soggettive come disegno e pittura, agisce per sommatoria in sovrapposizione e stratificazione di elementi iconici eterogenei per supporto, tipologia, dimensioni e tempo. La cartografia delle esplorazioni di Cresci è fatta di eredità del passato, attualità, ripescaggio, manualità e rifacimenti.

La terza strategia è la valorizzazione dell’allestimento conclusivo, sempre rapportato al contenuto da comunicare e al contesto specifico in cui colloca i suoi lavori, peraltro corredati di titoli esemplari in quanto a sintesi informativa per avviare il colloquio con il fruitore.

Due le vie esplorate. La prima riguarda la fotografia concettuale incentrata sulla percezione visiva delle forme. Una predeterminata idea (concetto) guida il reperimento dei materiali e i successivi interventi dell’Autore, i quali devono rimanere evidenti nell’immagine «perché la comunicazione nasce anche dal processo costruttivo.» La seconda via attiene alla fotografia sociale – testimonianza di persone nel loro vivere quotidiano – che Cresci realizza tramite ritratti ambientati, talvolta con angolazioni inedite e con il “mosso”. L’Autore stampa senza alterazioni i fotogrammi ottenuti in ripresa, poi li accosta in sequenze di varie estensioni per rafforzare il messaggio.

Il risultato: porre il lettore di fronte a lavori mai ripetitivi in modo da incentivare interpretazioni per comprendere e riflettere. In altri termini, il filo conduttore di una narrazione che si evolve restando se stessa, come se la strada della ricerca compositiva dell’Autore continuasse nell’osservatore attraverso l’inerente lettura. Lèggere una sua immagine è come aprire una scatola con la curiosità di scoprire cosa contiene e far luce sui “perché”.

Dunque un “ricercatore” svincolato da confini e categorizzazioni che ha oltrepassato il dogma dell’inviolabilità della fotografia, non ritenendola «rappresentazione oggettiva e impersonale prodotta dallo strumento tecnico utilizzato in ripresa».

Cosa incuriosisce e porta a interessarsi di questo inimitabile Autore?

Oltre all’indubbio richiamo visivo, le sue opere rivelano, soprattutto, autonomia e autorevolezza di pensiero, forte individualità espressiva, vitalità dello sviluppo stilistico per sollecitare le capacità immaginative dei lettori, convergenza verso una raffinata rappresentazione creativa della fotografia.

Infatti per Cresci «la fotografia è una forma di conoscenza fatta da emozioni e dall’esperienza diretta sul campo, a condizione che lo sguardo dell’autore non rimanga in superficie, perché diversamente si producono solo documenti freddi», per cui «ho preferito restare indipendente nelle mie scelte autoriali rifiutando sia l’immersione nel mercato dell’art system, sia la genericità delle richieste commerciali.»

«Il fotografo guarda, coglie e costruisce l’immagine. L’artista invece sta dentro l’immagine e produce entrando nella materia: è una dimensione sensoriale totalmente diversa che tocca tutto il pensiero.»

Un’affinità fatta di differenze.