Morire sul lavoro

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Vent’anni fa, un aereo da turismo centrò il grattacielo Pirelli a Milano, recidendo la vita di due giovani avvocate

di Gabriella Ziani

 

«Alle 17.47 del 18 aprile 2002 all’interno del grattacielo Pirelli si trovano circa 300 persone delle 1200 che vi lavorano abitualmente. I piani dal ventottesimo in su dove c’erano gli uffici della presidenza sono vuoti perché è in corso una ristrutturazione che prevede anche una bonifica dell’amianto e il ventisettesimo è vuoto anch’esso per evitare rischi di contaminazione La presidenza si è spostata al nono. Il ventiseiesimo è l’ultimo piano abitato del grattacielo». A quell’ora di quel giorno di vent’anni fa si scatena sul Pirellone, sede della Regione Lombardia, uno dei simboli della metropoli, e di conseguenza su Milano (ma in un istante il terrore prende alla gola tutta l’Italia), un inferno di cristallo. Che somiglia fin troppo all’attacco terroristico alle Torri gemelle di New York avvenuto solo sette mesi prima. Un aereo da turismo centra in pieno il grattacielo Pirelli, squarciando proprio il ventiseiesimo piano. Muore il pilota, tale Luigi Fasulo di 68 anni. Proveniente dalla Svizzera (dove è alle prese con un carico di sgradevoli problemi finanziari) dovrebbe sorvolare Milano, atterrare a Linate e poi tornarsene a casa. Sbaglia manovra, sembra un’invenzione da fantascienza che abbia potuto “mirare” proprio il grattacielo. E perdono la vita due avvocatesse quarantenni che ancora indugiavano serenamente al lavoro, in quel ventiseiesimo piano, e che l’asteroide svizzero mal pilotato ha centrato in pieno.

Le indagini, due volte aperte e due volte archiviate, porteranno a scartare definitivamente l’ipotesi dell’attentato, e a concludere che il pilota, impegnato a rimettere in sesto un carrello malfunzionante del suo piccolo apparecchio, aveva compreso male, o non eseguito bene, le indicazioni fornite con cura dalla torre di controllo. Un incidente, insomma, nessun colpevole. Il Pirellone, per parte sua, aveva vacillato, ma senza crollare su se stesso come le Torri gemelle newyorkesi. C’erano uscite di sicurezza e dipendenti addestrati all’evacuazione, che correndo grave rischio personale avevano recuperato nei vari piani i colleghi sotto choc facendoli scendere per scale infiammate e fumose, feriti e sconvolti. Ma ancora miracolosamente vivi, anche se segnati per sempre. Due anni dopo, nel 2004, il grattacielo era già restaurato. Il ventiseiesimo piano è diventato un museo della memoria, ogni 18 aprile vi si svolge una cerimonia.

A Roma in quei minuti drammatici del 2002, in un piano alto di un palazzo assai simile al Pirellone, tutto «vetro e acciaio», una giornalista, responsabile delle comunicazioni e relazioni esterne delle Ferrovie, legge le agenzie di stampa e oltre a condividere l’orrore sente su di sé una tremante ombra di immedesimazione: «Nello stesso momento dello schianto anch’io mi trovavo ancora alla scrivania oltre l’orario d’ufficio. “Poteva capitare a me” pensai. Quelle due donne mi erano entrate dentro». Il pensiero delle avvocatesse che hanno perso la vita, a tutti gli effetti due morte sul lavoro, diventa quasi un’ossessione, un monito non solo a non dimenticare, ma addirittura a “eternare” il loro profilo umano. Nasce così il libro-inchiesta di Tiziana Gazzini, Ventiseiesimo piano: un reportage in cui la narratrice si fa delicata parte integrante, una voce all’inseguimento delle voci dei sopravvissuti, degli inquirenti, delle famiglie spezzate. Giornalista, critica d’arte (lo è stata anche per Il Piccolo), curatrice di mostre, collaboratrice della Quadriennale e della Rai, autrice di Kokocinski. Vita straordinaria di un artista (2017) e Visionari. Simbolisti esteti dandies e altri sognatori (2019) Gazzini stavolta ha messo da parte l’arte e ha sfoderato le arti del giornalismo d’inchiesta: i fatti, i dettagli, i testimoni, la ricostruzione, i documenti, le interviste, come se una telecamera fosse penetrata nel palazzo sventrato e fumigante, e poi avesse allargato l’inquadratura su quel pezzo di Milano trafitto da schegge di vetro, inondato da una impressionante pioggia di carte su carte, compresi i fascicoli allestiti dalle due scrupolose avvocate, Alessandra Santonocito e Annamaria Rapetti, “cadute sul lavoro”, alle quali il libro è espressamente dedicato. Ma la scrittura non ha freddezza tecnica, nel sottotrama corre la personale vibrazione emotiva che ha dato anima a questo lavoro scrupoloso, la storia di un cauto, rispettoso avvicinamento, di una caccia prudente ma tenace al versante umano, che è poi quello che spinge Gazzini a voler condividere cronaca e lutti di quel davvero tragico evento.

La domanda è esistenziale, morale: quando uno muore sul lavoro, chi c’è dietro quel nome che fa notizia per poco? Non occorre un evento così mostruosamente “unico” come l’impatto di un aereo fuori rotta sul grattacielo-simbolo di una metropoli per doversela porre. Ma certo in questo caso la portata del disastro è stata tale da soverchiare tutto il resto, e disseppellire quelle due giovani vite è per Gazzini un gesto di pietas e di omaggio. La famiglia, le amicizie, i vezzi, le relazioni, le vacanze, gli approcci alla carriera, la soddisfazione di essere entrate alla Regione Lombardia – epoca del governatore Formigoni – e di aver contribuito a creare il nuovo specifico settore dell’Avvocatura. Persone senza ombre e senza spigoli, dalla vita composta ed educata, impegnata e spensierata, così veniamo a conoscerle fino al minuto in cui la loro bella esistenza è stata tranciata. Per come strutturato, in qualche modo il libro ha già dei connotati cinematografici, ma soprattutto è un solido imperativo a non ignorare e dimenticare. Quella tragedia (che forse, a proposito, avevamo quasi dimenticato…), ma in primo luogo i suoi protagonisti.

Non c’è paragone che tenga con un simile straordinario evento come l’inferno di cristallo milanese, che è anche un capitolo di storia italiana, ma i “caduti sul lavoro” sono un tema scandalosamente attuale in Italia: al momento in cui queste righe vengono scritte la conta è di oltre 200 morti dall’inizio dell’anno, il 2021 ne ha registrati 1221. Lo stesso sentimento di empatia che ha mosso l’indagine di Gazzini, con l’aggiunta di un sano spirito di denuncia, troviamo nell’appena uscito Ogni giorno 3. Ricordi di vite perdute sul lavoro (Rizzoli, pp. 228, euro 17,00). Autrice è Giusi Fasano, giornalista del Corriere della sera, che ricostruisce 21 biografie di vittime attraverso le testimonianze delle famiglie, dei colleghi, degli amici: epitaffi, una Spoon river dove ogni storia è particolare, ma tutte sono uguali nel finale. Ogni morto sul lavoro ha avuto il proprio minuto d’inferno, anche se in luoghi e scenari più modesti, un cantiere, una fabbrichetta, una strada, luoghi senza storia e memoria. Se si esclude il recente caso della Farnesina, sede del ministero degli Esteri, dove un giovane è rimasto schiacciato dall’ascensore che stava riparando, e per molte ore nessuno se n’è neanche accorto. Solo la cronaca può registrare l’ennesimo lutto, i libri non fanno in tempo, ma forse nuovi libri “in memoria” arriveranno, e prima di quelli speriamo arrivino meno disastrosi eventi, meno lutti da mettere in fila.

 

Tiziana Gazzini

Ventiseiesimo piano

Rubbettino editore, 2022

  1. 214, euro 16,00