NASCERE DIGITALI 4

| | |

La comunicazione filtrata

Giuseppe O. Longo

 

È importante chiarire che ogni tecnologia è un filtro, che potenzia certe capacità umane e ne indebolisce altre. L’azione di filtro della tecnologia è evidentissima quando si ha a che fare con le macchine della mente e di fatto comporta un mutamento nella natura della comunicazione umana. La vasta gamma dei nostri strumenti comunicativi, sviluppati nel corso dell’evoluzione biologica e poi culturale, deve venire a patti con la relativa rigidità dei calcolatori e delle reti. Sono gli uomini, più flessibili, a doversi adattare alle macchine: quindi la comunicazione umana tende a somigliare a quella meccanica, tende a diventare più efficiente e meno sfumata, più logica e meno emotiva. Questo mutamento, pur temperato dalla flessibilità del digitale, potrebbe causare sofferenza, poiché l’eliminazione di certe caratteristiche comunicative “naturali” ad opera degli strumenti artificiali può essere avvertita come un impoverimento del ricco e articolato fenomeno della comunicazione umana.

Si può dunque capire quanto l’interazione tra uomo e computer, e ancor più quella tra bambino e computer, condizioni le abilità comunicative ereditarie e il loro sviluppo. Quando viene al mondo, il bambino è un centro comunicativo di enorme ricchezza non solo potenziale, ma anche attuale: già da piccolissimi i bambini imitano, si esprimono, fanno teatro e recitano fin dalla culla. Sono così perché hanno ereditato una capacità che per l’uomo è essenziale: la capacità di comunicare in tutte le sue variegate e delicatissime sfumature. In particolare sanno “mettersi nei panni dell’altro” e anticipare ciò che l’altro sta per dire o per fare.

Ma nel momento in cui i bambini si ibridano con la tecnologia, cosa che avviene sempre più precocemente, certe loro capacità comunicative ed espressive cominciano a essere filtrate e quindi, in qualche misura, vengono indebolite, mentre se ne arricchiscono altre. Il bambino che venga indirizzato al computer (o a qualunque altra tecnologia sottile e importante) diventa tutt’uno col computer e quindi non fa più ciò che faceva quando si ibridava, per esempio, con i libri. Questa vera e propria svolta epistemologica e pratica corrisponde a una trasformazione cerebrale che conferma la natura fondamentale della simbiosi uomo-tecnologia. Nei bambini che hanno un’interazione precoce con il calcolatore e con i videogiochi, le connessioni cerebrali si sviluppano in modo diverso rispetto ai bambini che esercitano un’attività di lettura e scrittura o un’attività corporea. Oggi nella scuola vengono a contatto due generazioni (gli insegnanti e gli allievi) che, per le loro diverse esperienze cognitive precoci, hanno strutture cerebrali diverse e perciò dialogano con grande difficoltà. Questa è, credo, una delle principali ragioni della crisi della scuola: non si tratta solo o tanto di programmi, di materie o, al limite, di attrezzature, quanto di difficoltà di interazione tra insegnanti e allievi: i giovani hanno una diversa visione del mondo, una diversa strumentazione linguistica, una diversa capacità manipolativa.

Poiché sono le caratteristiche cognitive e razionali del simbionte uomo-macchina (l’ibrido che altrove ho chiamato homo technologicus) quelle che oggi mutano più rapidamente, la nostra attenzione si concentra su di esse, tanto che è diffusa la tendenza a trascurare gli aspetti non razionali dell’intelligenza umana, in particolare quelli narrativi ed emotivi. Ma questa tendenza offre dell’intelligenza un quadro molto parziale. Se si trascurano le altre dimensioni dell’intelligenza umana, l’inevitabile confronto tra uomo e macchina si svolge sempre più sulla pista formale, dove ormai la macchina prevale, anzi costringe l’uomo ad abdicare: assistiamo infatti al paradosso che proprio nel momento in cui le attività razional-computanti tendono a prendere il sopravvento su quelle espressive, esse vengono di fatto delegate alla macchina, che le svolge meglio degli umani. I segni di questa abdicazione sono ormai evidenti: come possono testimoniare gli insegnanti di più lunga esperienza, le capacità computazionali, logiche e argomentative dei giovani subiscono un declino progressivo perché le elaborazioni logico-formali sono affidate sempre più spesso al computer.

Allora: da una parte le capacità logiche e argomentative s’indeboliscono, dall’altra le capacità narrative, dialogiche e in genere verbali si impoveriscono. In compenso si arricchisce enormemente la capacità d’interazione manipolativa con la macchina: i “nati digitali” manifestano un’abilità opportunistica senza pari nel piegare i dispositivi ai propri scopi, incuranti dei risvolti teorici delle elaborazioni e degli aspetti funzionali delle apparecchiature. Si fanno tutt’uno con i dispositivi digitali, li sentono come un prolungamento potenziante del proprio corpomente: non c’ da stupirsi se gli adulti, nati con i libri e giustamente chiamati “immigrati digitali”, fanno una gran fatica non solo ad acquisire quelle capacità, ma anche a comprendere come i nati digitali si comportino e si sentano. Gli adulti tentano sempre di costruirsi un’immagine mentale (teorica) esplicativa delle macchine, dalla quale far discendere il loro rapporto con esse, mentre i giovani non ne sentono affatto il bisogno: il loro rapporto è immediato, primario, istintivo. (4-continua)