Nel ricordo di Luigi Spacal

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di Enzo Santese

 

Nell’opera di Luigi Spacal (Trieste, 15 giugno 1907 – Trieste, 6 maggio 2000) la fisicità dei luoghi, delle cose e delle persone ha avuto uno straordinario ruolo di attivazione nell’ambito dei meccanismi emotivi, nella sfera dello spirito, dove quei medesimi motivi, numerosi e vari, hanno sviluppato direttrici di approfondimento conoscitivo, assunzione di competenze, dinamiche operative vere e proprie, confluite poi nella sua poetica fondante nel campo pittorico e grafico.

Accettura in provincia di Matera è il paese dove, strenuo difensore dei diritti degli sloveni, subisce dal fascismo la dura esperienza del confino e incomincia a dipingere, riempiendo in qualche modo la drammatica solitudine del suo stato di coercizione: grandi boschi e dilatati silenzi gli consentono un contatto davvero profondo con la natura, con il legno soprattutto, che entra in vari ambiti e diverse fasi della produzione artistica. Trieste ha ovviamente una sua ineliminabile centralità e funziona anche come emblema di contraddizioni che si vivono in ispecie nel confronto tra realtà interetniche, multireligiose e provincialistiche chiusure rispetto al nuovo; ma è il territorio carsico a fornire a Spacal una miriade di spunti di riflessione, motivi ispiratori per alimentare la sua poesia, fondata sulle piccole cose, sull’essenzialità del reale, sulla secchezza dell’espressione mutuata dal carattere delle genti dell’altopiano giuliano, alle quali si sente particolarmente vicino per sintonia d’indole e per contiguità d’animo. Lì raccoglie in un repertorio ideale una serie nutrita di elementi che, nella metamorfosi prodotta dalla ricerca e dalla sua evoluzione, diventano motivi figurali ricorrenti, in superfici dove si afferma il connubio tra una semplificazione estrema del paesaggio e il dosaggio di una tessitura di fondo multiforme. La pietra calcarea rappresenta un miracolo di trasformazione nel tempo e, insieme, l’idea di poter entrare nelle cavità ipogee col periscopio della fantasia per scoprire i ritmi segreti del mondo, i suoi segnali, le sue prospettive segnate dallo scorrere dell’acqua, emblematicamente interpretata come la linfa alimentatrice di un corpo gigantesco, sul quale l’uomo si misura con un terreno per sua costituzione brullo, aspro, eppur intimamente vissuto quale condizione di privilegio. Qui la sferzante azione della bora, il policromatico universo della flora spontanea, le case, elementari nella loro struttura architettonica, entrano di peso nel novero delle opzioni adottate dall’artista che le fissa nella mente, dove va a prelevare poi linee, andamenti geometrici, simboli da accampare nel centro della propria opera.

Spacal, uomo di frontiera, elegge Skbina, un paese sloveno immediatamente oltre il confine, a punto d’osservazione della natura, a postazione di confronto intenso con l’esistente dentro quella stessa necessità di silenzio che percorre tutta la sua vita. I suggerimenti captati quasi per caso si trasformano in capisaldi di poetica: agglomerati urbani, tracce del passato impresse sulle pietre dalla mano dell’uomo o dall’azione del tempo, utensili quotidiani, motivi della sacralità arcaica tramandati da una generazione all’altra fino alla sua contemporaneità. Vede usare ai muratori terra rossa, calcare sbriciolato con calce e acqua per intonacare le case. A opera finita ha un’illuminazione che lo induce a un metodo assonante: il “tenue, delicato tono di arancione con una lieve vibrazione conferita dall’ondulazione irregolare del muro non levigato. Questo è il colore delle case carsiche e anche il colore base delle mie opere. Anch’io faccio uso della terra carsica macinata, l’aggiungo ai miei colori a olio per raggiungere gli effetti desiderati. Per non parlare dei muretti di recinzione a secco, le decorazioni sui portali e sui pozzi. Il più delle volte sono espressione della cultura religiosa di allora, che spesso traeva i suoi motivi guida anche da origini pagane.

Il mare e la sua civiltà entrano nell’ispirazione di Spacal molto presto, ma hanno una dislocazione sistematica con la frequentazione di Pirano, finché la cittadina istriana mantiene una sua autenticità negli usi e costumi marinari non contaminati dalla vocazione del turismo di massa. Luoghi come il mandracchio o porticciolo interno, l’Adriatico al tramonto, le saline, tutti questi ambienti diventano nervature di scenari trasposti poi sulla superficie pittorica o grafica, in un concerto di geometrie che sgranano la loro tessitura in pochi elementi lineari, in tracce, in sagome di una primitività assoluta, forme pure ed essenziali che non rimandano alla realtà ma all’atmosfera che aleggia su quella realtà, alla combinazione di colori che, filtrati dalla visione, penetrano nell’anima, cioè il luogo stesso da cui provengono. Infatti Spacal, nella sua indole di uomo taciturno e riservato sino ad apparire talora un po’scontroso, ha una spiccata sensibilità per ogni fenomeno inscritto nell’universo delle esperienze fisiche, che interiorizza sino a viverle come eventi scaturiti dalle sue emozioni; c’è inoltre in lui il piacere della scoperta, che si matura poco a poco anche dopo lunghi tempi di frequentazione di un luogo, come il Carso, una sorta di libro aperto che spesso si è indotti a sfogliare di nuovo per cogliere il senso di una sfumatura o il contorno di una forma, che si modifica con le stagioni e si allontana dalla propria morfologia originaria. L’artista la fissa nei suoi quadri in un gioco di connessioni tra linee verticali e orizzontali, allusione ad incastri, costruzione di spessori, inserimenti di caratteri scritturali, stilizzazione di dati simbolici (come la ruota). L’immagine solitamente si presenta in una piattezza di volumi che, peraltro, si affermano nel piacere del rilievo e nella sottolineatura di una profondità virtuale. Il dato della realtà è sottoposto a una mutevole azione di avvicinamento nella riconoscibilità e, per contro, rarefazione dei contorni del mondo fisico, dentro un movimento di linee che entrano in connessione diretta con la granularità di determinate superfici, sottoposte a un’apparente azione erosiva, di scavo, con la disseminazione di piccole convessità o incisioni appena percettibili, dove la luce fa vibrare la dinamica della composizione mutando a tratti illusoriamente le dimensioni secondo le condizioni di illuminazione del piano dipinto.

Dalle prime prove protese a registrare i battiti della realtà si evince con chiarezza che la cifra primaria della pittura è la partecipazione emotiva all’esistente, che genera sempre la qualità di una poesia altissima. Dapprima in un ambito dove il tratto magico della figurazione è dominante sulle situazioni rappresentate, poi in un crescendo di allusività formale che si situa su un crinale da cui emerge la riconoscibilità degli elementi oppure il fisico svapora nel dato musicale di un’armonia di forme in stretta connessione con il colore e il rilievo. Spesso il paesaggio è privo dell’indicazione dell’orizzonte, eppure si prospetta con immediatezza in virtù di un uso delle presenze geometriche primarie, (il quadrato, il rettangolo, il cerchio anche in libera aggregazione tra loro), che si collocano di fronte all’osservatore con il carico di suggerimenti di cui sono dotate.

Nella sua lucida condizione di ascolto, Spacal registra anche sollecitazioni provenienti da oggetti comuni, da cui estrapola ed elabora linee di sviluppo molteplice da impegnare nello spazio in giochi visuali di ritmi e rilievi che inchiodano lo sguardo sullo stato di sospensione, caratteristico di molti suoi paesaggi carsici. L’opera si inscrive in quel contesto che si avvicina al silenzio meditativo dell’astrazione, essenza di luoghi dell’ascolto interiore.

L’artista ricava da qualsiasi ambiente in cui vive (il Carso, Skbina, Pirano, Trieste) un cumulo inesauribile di motivi, una gamma di colori ampia e direttamente riconducibile a una serie di tinte privilegiate, sia per la loro capacità evocativa che per l’ingrediente poetico della loro luminosità, nelle tenui tonalità dell’arancio, dell’ocra, del giallo, dell’azzurro. Nella composizione vibra talora un’atmosfera metafisica di particolare intensità, che rimanda alla concezione spacaliana dell’assoluto così come lo assorbe dalla realtà definita. Dietro a tutta l’ispirazione c’è l’interesse preciso per il duro lavoro dell’uomo, che trova nella pietra e nel legno i supporti necessari per la propria qualità esistenziale prima che decorativa. La vena sperimentale mai è stata suggerita da una volontà di ricercare il nuovo a tutti i costi, ma gli aggiornamenti sono avvenuti sull’onda di un’urgenza interiore di conoscenza, che lo ha impegnato in varie tecniche e nella traduzione pittorica in diversi risultati (dal mosaico all’arazzo), conservando sempre una specifica tensione costruttiva che parte dalla grafica soprattutto, ma trova anche nella pittura il suo momento di intensità espressiva.