Nicola Turcinovich, l’anarchico istriano

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di Diego Zandel

Nicola Turcinovich, nato a Rovigno il 21 agosto 1911, doveva aver coltivato idee libertarie e antimilitariste fin dall’adolescenza se, appena diciassettenne per evitare il servizio militare decise di espatriare. S’imbarcò infatti nell’agosto del 1927 sulla nave “Belvedere”, dalla quale due anni dopo, nel settembre o ottobre del 1930, sbarcò clandestinamente a Buenos Aires, in Argentina.

Riguardo alle idee del giovane Nicola vale uno dei tanti rapporti di polizia. Ad esempio, quello della Legione Territoriale Carabinieri Reali di Trieste del Gruppo di Pola, scritto nell’ottobre del 1941, in occasione della sua condanna al confino e la traduzione in quello di Ventotene, nel quale si afferma che “prima di recarsi all’estero si accompagnava a persone di dubbia fede politica (leggi: antifascisti, n.d.r.) e ad elementi irredentisti sloveni che hanno esercitato sinistra influenza sulla sua ancor giovane età, inculcandogli tendenze e principi di natura sovversiva ed anarchica”.

Di un’eventuale attività sovversiva e anarchica o dell’accompagnamento a compagni di fede a Buenos Aires non esiste traccia negli archivi del Ministero degli AA.EE. di Roma, per quanto risulta dai documenti diplomatici relativi ai due anni, dal 1930 al 1932, in cui Nicola visse in Argentina.

È necessario, allora, rifarsi ancora ai documenti del Casellario Politico Centrale reperibili presso l’Archivio Storico Centrale dello Stato, a Roma, per ritrovare traccia della sua attività di militante anarchico.

I suoi movimenti lo portano, nel 1932, da Buenos Aires ad Anversa, a bordo di un piroscafo jugoslavo. Da qui passò in Francia, a Parigi, dove visse facendo il muratore, finché, un anno dopo, venne fermato ed espulso in quanto privo di documenti.

Andò in Spagna. Sempre con riferimento a diversi rapporti di polizia: qui venne arrestato il 4 settembre 1931 in occasione di uno sciopero generale – più precisamente partecipò alla ribellione armata del sindacato costruttori in Calle Mercader a Barcellona – e condannato a 12 mesi di carcere. Cablogrammi del Regio Consolato di Barcellona informano che il Turcinovich fu poi espulso e accompagnato alla frontiera con la Francia. Con lui furono espulsi anche l’anarchico triestino Egidio Bernardini e la sua compagna Livia Ballinari, anch’essa anarchica. “Non possedevano, tutti e tre, che 100 pesetas. I suddetti si ripromettevano, secondo quanto ebbero a dichiarare, di raggiungere Parigi” si legge in un rapporto successivo, che dava per accertata la loro presenza in Francia a Perpignan (Pirenei Orientali).

Turcinovich e Bernardini furono espulsi anche in seguito alla partecipazione a una rivolta nel carcere di Barcellona consistente nel rifiuto del cibo da parte di una trentina di reclusi. Scrive un rapporto del Regio consolato: “Gli elementi anarchici italiani largamente vi parteciparono e i seguenti furono arrestati:

Bernardini Egidio – Trieste

Mazzoni Vincenzo .- Scordia

Volontè Giuseppe – Como

Bidoli Giovanni – Trieste

Cufini Cesare – Spezia

Valentino Butto – Ronchis (Udine)

Nicola Turcinovich – (Rovigo).

Tutti si trovano imbarcati sull’Antonio Lopez, che è una prigione natante, aspettando che il ‘Modello’ sarà sistemato per i danni sofferti dalla rivolta.

L’Alpini e la compagna del Bernardini (Ballinari Livia) raccolgono fondi per aiutarli, non saranno enormi data la disoccupazione.”

Relativamente alla città di provenienza di Nicola, il cablo erroneamente riporta il nome di Rovigo invece di Rovigno. Di conseguenza i carabinieri, per avere informazioni sull’arrestato, si rivolgono alla prefettura di Rovigo, la quale esclude l’appartenenza del Turcinovich alla loro città e conclude: “Dalla desinenza caratteristica del cognome si ha ragione di ritenere che il Turcinovich sia un Istriano e che quindi sia probabilmente nativo di Rovigno e non di Rovigo. Ho pertanto interessato il prefetto di Pola a far praticare indagini a riguardo”.

Dalla Francia, comunque, Nicola e compagni rientrarono clandestinamente in Spagna, a Barcellona. I vari rapporti dei carabinieri relativi a questo periodo, e scritti sempre in occasione della condanna al confino di Nicola, ripetono più o meno, e con i soliti giudizi – prima ancora che pregiudizi – di carattere politico, le tappe del suo peregrinare di rivoluzionario. Riportiamo, stavolta, quello dei carabinieri della Compagnia di Pisino che scrivono, subito dopo aver ricordato il rientro clandestino a Barcellona: “Quivi, arrestato una seconda volta per essere stato ritenuto partecipe di una banda di rapinatori (accusa che si rivelerà del tutto infondata, n.d.r.), dopo un altro periodo di detenzione, fu avviato in Portogallo” nonostante egli avesse chiesto di essere estradato in Francia (di ciò ne da notizia anche il giornale Il risveglio anarchico). A riguardo il Regio Consolato Generale d’Italia di Barcellona telegrafava “Confermasi che il 30.4.34 fu arrestato ed il 22.9.34 espulso per la frontiera ispano-portoghese di Valencia de Alcantara, il noto anarchico Turcinovich Nicola”.

Ancora il rapporto dei carabinieri:

“Alla frontiera portoghese veniva però respinto e rispedito indietro rifugiandosi a Valencia dove si dedicava al commercio di giornali e romanzi a dispense. In questa città fu sorpreso dalla guerra civile alla quale dice di non avervi partecipato. Indi portatosi nuovamente a Barcellona per trovare degli amici, rientrava dopo qualche mese a Valencia ove trovava occupazione in un magazzino di mangimi per bestie e poscia in albergo gestito da comunisti. Cacciati i rossi da Valencia e col ritorno del vecchio personale nello albergo, il Turcino si trasferiva a Madrid dedicandosi al lavoro in qualità di pittore, sino al giorno del suo arresto avvenuto il 20 marzo u.s.” (anno 1941).

Con la vittoria dei Franchisti, Nicola viene infatti rimpatriato. Ritornerà in Italia dopo ben oltre 13 anni di espatrio. Lo farà a bordo della nave “Derna”, proveniente da Barcellona. A procedere all’arresto, su mandato della Prefettura di Pola, saranno l’agente Armando Palumbo e il brigadiere Giovanni Pagone, come da rapporto del commissariato di P.S. Scalo Marittimo. “La perquisizione eseguita al bagaglio e sulla persona del medesimo ha avuto esito negativo”.

Condannato al confino, Nicola verrà tradotto a Ventotene. Al suo arrivo un telegramma avverte il Ministero dell’Interno:

“POSTALE ODIERNO QUI GIUNTO CONFINATO POLITICO TURCINO NICOLO DI GIUSEPPE AMMESSO SUSSIDIO GIORNALIERO ET SOTTOPOSTO VINCOLI CONFINO PRESENTE”

La vita lì, come per tutti, sarà dura. A riguardo esistono domande autografe di Nicola per ottenere un paio di scarpe nuove, che gli vengono concesse, e di un vestito di lana, che gli viene negato in quanto il richiedente “non risulta bisognoso”. E richieste di poter corrispondere con i fratelli Antonio e Caterina, domiciliati a Pola, e Giuseppe, domiciliato a Rovigno, richieste che ottengono parere positivo in quanto gli interessati tutti “trattandosi di persone di buona condotta”.

C’è anche una domanda autografa, con la quale il confinato fa ricorso, affinché possa tornare a casa. Esiste a riguardo anche una lettera autografa del padre di Nicola, abitante a Rovigno in via Spirito Santo 26, con la quale fa istanza perché il figlio venga restituito alla famiglia in quanto egli, padre, necessità di aiuto nella cura dei terreni di proprietà.

Il prefetto Berti la respinge, con le seguenti motivazioni:

“In relazione alla nota suindicata si comunica che il padre del confinato in oggetto possiede piccoli appezzamenti di terreno che può ben coltivare da solo e con l’aiuto di altri figli che esercitano il mestiere di pescatori ed hanno buona parte della giornata libera. Comunque il confinato si è sempre disinteressato della famiglia. Tenuto conto della sua pericolosità su conforme avviso della Direzione della Colonia di Ventotene si esprime parere contrario all’accoglimento della istanza che si restituisce”.

La stessa questura di Pola allegherà, nella restituzione dell’istanza inviatagli dalla Commissione Provinciale per i provvedimenti di Polizia, le valutazioni a riguardo della Compagnia dei Carabinieri di Pisino “e gli altri documenti di rito avvertendo che il provvedimento è stato già autorizzato dal Ministero dell’Interno con telegramma n° 50190/32099/98131 del 5 corrente”. Siamo nel luglio del 1941.

È interessante il rapporto dei carabinieri di Pisino, comandati dal capitano interno del Gruppo Francesco Mori, che lo firma, in quanto trapela anche la malafede e i pregiudizi politici nei confronti di una persona di estrema dirittura morale, colpevole solo di esprimere idee contrapposte e in disobbedienza a quelle su cui la dittatura fascista ha costruito il suo iniquo regime.

Prima di leggere le motivazioni per cui si suggerisce il proseguimento del confino, va precisato che, nel frattempo, il cognome dei Turcinovich fu italianizzato, secondo le imposizioni fasciste, in Turcino. Dunque:

“a) La passata attività del Turcino nel campo morale è quella di un fuorilegge; per istinto, educazione e tendenza portato a delinquere, sebbene dall’esame dei fatti commessi all’estero e non potuti accertare, non si riscontrino elementi di provata colpabilità. Presentemente nulla si può dire.

  1. b) L’atteggiamento tenuto nel campo politico è altrettanto dubbio e sospetto e tale da destare preoccupazioni;
  2. c) Non è ritenuto eccessivamente pericoloso per l’ordine pubblico nella considerazione delle sue modeste risorse intellettuali; (si riferisce alla sua scarsa scolarità, anche se in altro documento si afferma: “alla quale supplisce con la sua naturale intelligenza” n.d.r.)
  3. d) La situazione economica della famiglia Turcino è discreta; il capo famiglia possiede case e terreni per un valore di circa 30 mila lire;

La famiglia si compone:

1°) padre – Turcino Giuseppe fu Antonio e fu Berbardis Caterina, nato a Rovigno il 14/4/1884, agricoltore;

2°) madre – Malusà Maddalena di Nicolò e di Bosaz Rosa, nata a Rovigno, il 30/9/1889, casalinga;

3°) fratello – (manca il nome, ma si tratta di Antonio, d.d.r.), nato il 20/2/1908, coniugato, marittimo;

4°) sorella- Caterina, nata il 28/3/1914, coniugata, casalinga;

5°) fratello – Giuseppe, nato l’8/8/1921, celibe, pescatore;

6°) sorella – Rosa, nata il 13/11/1921, coniugata, casalinga;

7°) fratello – Giovanni, nato il 12/1/1932, scolaro.

  1. e) – Le condizioni fisiche dei famigliari sono buone; non così quelle del ricorrente il quale, a dire dei congiunti, sembra abbia subito atto operatorio allo stomaco.

L’assenza del ricorrente non produrrebbe alcun nocumento alla famiglia.

Per le risultanze di cui sopra questo comando esprime parere contrario per un eventuale atto di clemenza perché ritiene che il provvedimento del confino oltre che allontanare il Turcino in un momento delicato possa essere per lui mezzo di rieducazione e di ravvedimento.”

Al confino Nicola Turcinovich ci sarebbe dovuto restare per cinque anni, fino al 15 giugno 1946, ma la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e poi la firma dell’armistizio l’8 settembre dello stesso anno, gli cambieranno in parte il destino. Solo in parte, in quanto, mentre tutti gli altri detenuti politici ritorneranno a casa, gli anarchici e gli slavi detenuti a Ventotene e in altri confini politici, in particolare a Ustica, finiranno internati nel campo di Renicci-Anghiari, in provincia di Arezzo, in Toscana.

Su questo internamento esistono nell’ Archivio di Stato solo un paio di documenti, uno dei quali relativo alla liberazione, con lettera del 31-8-1945, di Nicolò, il cui nome compare in un elenco insieme ad altri 35 nominativi.

Ma quello del campo di internamento di Renicci-Anghiari è un capitolo a parte, legato com’è, oltre a questa personale vicenda, anche alla prigionia, dall’agosto del 1942 al 14 settembre 1943, di “ribelli” sloveni, arrestati nelle loro terre nel corso dell’occupazione tedesca e italiana.

Dopo quell’esperienza il ritorno, con mezzi di fortuna, in Istria dove partecipa alla lotta partigiana nelle formazioni slave al comando di Tito. Ma un libertario non può certo tollerare un sistema dittatoriale che, ben presto diventerà regime, come quello comunista. Lo scontro con questa gente era già avvenuto in Spagna quando gli stalinisti, pur di parte repubblicana come gli anarchici, si posero contro questi ultimi per pure ragioni di potere, non esitando a uccidere i compagni di lotta, come il grande anarchico Camillo Berneri. Ma sull’esperienza istriana cito quanto scritto da Claudio Venza, che sull’anarchico rovignese sta preparando una ampia e documentata biografia: “Gravemente minacciato dai partigiani titini per le proprie idee e posizioni anarchiche si rifugia a Genova. Qui si occupa allo stabilimento Ansaldo S. Giorgio come carrellista e prende immediatamente contatto con il movimento anarchico cittadino, partecipando all’attività cospirativa. È tra gli animatori ed organizzatori delle squadre libertarie d’azione ed è rappresentante comunista libertario nel CLN aziendale. In questo contesto Turcinovich diventa comandante della Brigata SAP Malatesta e poi dell’altra brigata anarchica cittadina, la Pisacane. Nel dopoguerra è uno degli esponenti più in vista del movimento anarchico genovese. Partecipa come delegato della Federazione comunista libertaria ligure al Convegno Federazione comunista libertaria Alta Italia di Milano, nel giugno 1945, dove è tra i fondatori della Federazione Giovanile. Nel 1946 si trasferisce a Venezia dove sposa Alberta Marchioni, da cui, l’anno successivo, avrà la figlia Daniela. Nel 1954 torna a Genova dove s’impegna nel movimento anarchico della città, diventando delegato ligure al VII Congresso FAI di Rosignano nel 1961 e ad altri convegni nazionali. Dopo il 1965 assume la gestione della Libreria della FAI. Nel 1970 è tra i fondatori del Circolo “Armando Borghi”, storico direttore di Umanità Nova, che raccoglie giovani avvicinatisi da poco all’anarchismo. Muore a Genova il 30 dicembre 1971.”

La vita esemplare di Nicolò Turcinovich, la cui memoria – per inciso – è tenuta viva dalla figlia Daniela che offre agli studiosi materiali che vanno oltre la figura del padre per far conoscere una pagina non secondaria della storia italiana e, più in generale, europea, conferma quanta malafede ci sia stata nel movimento comunista italiano e jugoslavo che, per dare senso a quella che è stata di fatto una vera e propria occupazione di territori, ha tacciato di fascisti tutti coloro che, nell’immediato dopoguerra, con il passaggio dell’Istria e di Fiume alla ex Jugoslavia, se ne sono andati via da quelle terre.