Testi in assenza di gravità

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Annalisa Perini ha dato alle stampe una seconda raccolta di brevi testi narrativi

di Walter Chiereghin

 

Della prosa fresca di Annalisa Perini avevamo già detto su queste pagine (Il Ponte rosso n. 49, del settembre 2019), in occasione dell’uscita di Potrei avere l’orticaria – racconti a voce alta, la sua prima prova di storie brevi, spesso anzi brevissime, prosa narrativa (di quella giornalistica abbiamo contezza per la sua collaborazione al Piccolo); ora, a distanza di poco meno di quattro anni, la scrittrice propone un altro agile volume, Ballate in assenza di gravità, edito anch’esso da Battello stampatore, come il precedente.

Ballate, dunque, che fin dal titolo mette un’ipoteca sulla decisione di presentare queste mie noterelle sotto l’indicazione di una rubrica “narrativa”, quando invece l’intitolazione stessa del volume indirizza la curiosità di chi lo legge ad orientarsi verso una forma di scrittura poetica, se non addirittura a una forma musicale destinata alla danza. Lo rileva anche – efficacemente – Elvio Guagnini nella lucida e quasi affettuosa introduzione al volume, quando, osservato che l’assenza di gravità sempre proclamata dal titolo, induce a pensare a qualcosa di diverso da un percorso con i piedi saldamente piantati per terra: «una carica a tratti surreale, magica, a tratti con fisionomia da favola, che mi ha ricordato certi personaggi volanti, sospesi, danzanti del Marc Chagall della Passeggiata o di Sopra la città».

Come nella raccolta di racconti che ha preceduto Ballate in assenza di gravità, anche in questo caso il testo è diviso in due parti, la prima costituita tutta da scoppiettanti brevi narrazioni alla scoperta di angoli di città desolati (Via dei ratti), o anche in una intenerita rievocazione (come in Via San Michele, tanto cara a Claudio Grisancich), la memoria di una mattina di bora chiara a Miramare, marinando la scuola (Chiara), l’incontro casuale e straniante con la vecchiaia di una persona cara (Tuo padre), altri ritratti come folgoranti istantanee (Lilium), o ricostruzioni sintetiche, quanto immaginarie, di complicate biografie (Isobare), improbabili comunicazioni interpersonali asimmetriche (Fede, Ipotesi, Picchiettava, Di più non posso, L’ironia è una questione seria).

Spesso la narrazione si infila, sottotraccia, in testi di autentica poesia, organizzati se del caso in sequenze di versi rigorosamente irregolari che vanno a comporre quadri stralunati che, partendo da acuminate osservazioni della banalità che ci assedia tutti «il calzino bucato finito comunque nel cassetto», oppure «scadenze asserragliate in fondo al frigo» (Tu dov’eri) , convogliano dopo allusivi cortocircuiti di parole, a una ricomposizione dello stato di quiete delle coscienze e dei dialoghi: rimane «la conversazione pacificata / sui parassiti delle piante. […] Non è male questo caffè alla nocciola, / ma ti trovo dimagrito. / Hai preso abbastanza propoli?» (Ora).

Nella seconda parte del volume, Senza avviso ai naviganti, Perini cambia, ma non del tutto, registro, dimostrandoci una volta di più la qualità polimorfa della sua scrittura, che qui si esercita in forme meno contratte di narrazione, se non drammaturgiche, com’è per esempio nel godibilissimo battibecco di Cuore di cristallo. In genere, in tale seconda parte, il protagonista si sdoppia, cedendo il posto a rapporti di coppia, adeguatamente esplorati come problematici, quando non addirittura drammatici.

Quanto rende vivace e piacevole la lettura della narrativa – e della poesia in prosa – di Perini è proprio la disinvoltura con cui ad ogni pagina richiede al lettore uno scarto dell’attenzione, per tener dietro a un’inventiva di forma e di contenuti in cui, come ha osservato Mary B. Tolusso, «ciò che prende forma è un mondo evocato in molteplici modi, una specie di gioco delle tre campanelle dove gli spostamenti rapidi sono le parole e la biglia nascosta è infine il senso delle stesse». Con la tranquillizzante sicurezza di non essere gabbato come un incauto giocatore che si fa raggirare  da uno scaltrito furfante.

 

 

Annalisa Perini

Ballate in assenza di gravità

prefazione di Elvio Guagnini

Battello stampatore, Trieste 2023

  1. 90, euro 16,00

 

 

 

 

 

 

Grazie alla cortesia dell’autrice e del suo editore, presentiamo di seguito tre testi di Annalisa Perini, tratti dal suo Ballate in assenza di gravità.

 

 

Chiara

Di venti in venti

è passato tanto vento

 

Blu, spuma di mare montata a neve, neve con fiocchi di fiori di maggio.

Chiara

la bora non brontola come quando il vento è scuro.

Giovane buriana, però, passi nervosi in scarpe di tela, attraverso il parco di Miramare.

Sembra sempre così candido il castello anche quando non è vero.

Il giubbino corto lascia indovinare porzioni di pancia e di schiena, come due nastri pallidi a contrasto.

Una panchina, lo zaino.

Un panino al prosciutto.

Quel crampo che non si sa se è fame.

Adesso a scuola sarebbe geometria.

Basta ascoltare, prestare attenzione, calcolare.

La memoria, allenata, viene in soccorso.

Basterebbe parlare, ma non tutto ha sempre rapide spiegazioni.

E se prendo troppo sole la mamma se ne accorgerà, che io oggi non c’ero.

Piccola fitta per la bugia, bugia bianca come la neve anche se è maggio.

Spuma di mare e bora chiara.

 

Isobare

 

La chiamano la prof, tra ironia e reverenza, pure se nessuno ricorda di essere stato un suo allievo, e non soltanto perché sembrino tutti più vecchi di lei.

Ma i viandanti amano dare nomi alle loro stelle fisse e la ritrovi sempre nello stesso orario, seduta al solito tavolo, davanti al bicchiere.

È incastonata con lo scenario, rassicurante, anche se lucida e curata da sembrare fuori posto.

Se il tran tran dà uno squillo inatteso si anima, come un personaggio che, per una platea poco attenta, nasce soltanto quando si apre il sipario, e come si chiude muore.

Muore serena in brevi colpi di sonno, dai quali si ridesta quando altri sfogano cose che non giudica.

Gli altri si inventano, per lei, invece, vite sue di cui non parla mai.

Forse è sola, da anni in fuga da una ferita d’amore.

Forse ha una casa, con un caotico mosaico verso cui indugia volentieri un ritorno.

Forse vive di rendita.

Forse ha vissuto un rovescio, e le sono rimasti pochi spiccioli, per quel bicchiere, però si ostina in una sua antica eleganza, incapace di disfarsene.

C’è intanto un consueto via vai. Facce, cappotti, scarpe e stivali, moneta e pagherò.

Entrano ed escono, come se la porta fosse girevole, e sostano le loro isobare, nella bolla, sotto un’insegna che singhiozza lettere al neon.

Qualcuno, nell’ubriacatura onanistica di una propria infelicità, è troppo pigro anche per alzare le chiappe a caccia di ferite altrui in cui infilare le dita.

Stasi.

La prof non li interroga su cosa stiano cercando.

(Non lo sanno).

Se sonnecchia è perché non soffre dell’insonnia delle ipotesi.

Seduta al tavolo sonnecchia, si prende i suoi cinque minuti.

E fa sogni bellissimi, mentre altri si scambiano risate e bestemmie, contro la pioggia, il governo o imbottigliati nel traffico.

 

Fede

 

In questa urgenza di dita intrecciate, di vita intrecciata, di un sonno lieve in cui si scivolerà, dormendo a cucchiaio, con i trapezi appoggiati su un cuore, mentre lui sale le scale lei perdona che nei bicchieri anche stasera abbia perso la fede.