Non esistono vittorie sulla terra

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Discorso al primo convegno degli Incontri Culturali Mitteleuropei

di Giuseppe Ungaretti

 

Il nome di Gorizia, dopo cinquant’anni, mentre si compie il primo cinquantennio della vicenda che l’ha mutata, torna a significare per me ciò che per noi, soldati di un Carso di terrore, significava allora. Non era il nome di una vittoria – non esistono vittorie sulla terra se non per illusione sacrilega; ma il nome di una comune sofferenza, la nostra e quella di chi ci stava di fronte e che dicevano il nemico, ma che noi, pure facendo senza viltà il nostro cieco dovere, chiamavamo nel nostro cuore fratello.

Ho ripercorso ieri qualche luogo del Carso. Quella pietraia – a quei tempi resa, dalle spalmature bavose di fango colore di sangue già spento, infida a chi, tra l’incrocio fitto delle pallottole, l’attraversava smarrito nella notte – oggi il rigoglio di fogliame la riveste. È incredibile, oggi il Carso appare quasi ridente.

Pensavo: ecco, il Carso non è più un inferno, è il verde della speranza; ecco, pensavo, invita a raccolta chi si propone di diffondere poesia, cioè fede e amore.

Ho sbagliato tante volte – chi oserebbe contarle, tante sono – : e sono difatti un uomo, posso vantarmi di essere stato sempre un uomo anche sbagliando – sono un uomo, sono in ogni momento che passa, fallibile; patisco, come ogni altra persona umana, d’abbagli.

Ma qui, sul Carso, quando mi cavavo dall’anima le parole, le mie povere parole, non sbagliavo. Ero solo, in mezzo ad altri uomini soli. Di null’altro eravamo possessori, noi poveri uomini, se non della propria solitudine, ciascuno. Il luogo era un luogo nudato, un luogo di spavento; ma non era spaventata la nostra anima, era sola, offesa che il nostro corpo fosse, in mezzo a tanta impazienza della morte, tanto, e solo, presente alla propria fragilità.

Fu allora, per in qualche modo guarirci dall’ossessione della fragilità, che nell’anima ci nacque e crebbe una forza maggiore e molto più importante della guerra e della morte; fu allora che riudimmo nascere , crescere nell’anima la forza vera, quella voci che può annientare nell’oblio la solitudine, quella che può muoversi inerme e incolume anche in mezzo al fulmineo, visibile, continuo mietere della morte; era il sentimento, ancora tremulo, ancora cauto, ma, come di solito succede alle voci di scoppio primaverile, già, per l’eccesso della delicatezza, troppo impetuoso; era il sentimento che ogni uomo è, senza limitazioni né distinzioni, quando non tradisce sé stesso, il fratello di qualsiasi altro uomo, fratello come se l’altro non potesse essergli meno simile d’un altro sé stesso. Tornava a nascere tra lo scheggiarsi della roccia in voli di sventagliate micidiali, un sentimento al quale è ancora all’uomo urgente di abilitarsi, finalmente.

Ho altro a cuore di esprimervi. In Gorizia ha reso l’anima a Dio Umberto Saba. Dall’anima eletta, da questa città dove ebbe il letto d’agonia, invoco la grazia dell’ispirazione, che ci assista sempre.

 

Gorizia, 20/5/1966

 

Pubblicato su Iniziativa isontina, n. 28, Gorizia, giugno-luglio 1966

 

 

Didascalie:

Ungaretti a San Michele del Carso