Nonostante tutto

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Nonostante i fugaci piagnistei dei politici nelle primissime ore successive alla pubblicazione dei risultati elettorali, molte cose fanno ritenere che anche il prossimo 25 settembre nella tornata elettorale che vedrà, una volta di più, un eclatante successo dell’astensionismo, tale probabilmente da far ritenere che il partito del non voto sarà, anche in questa consultazione popolare, il partito di maggioranza relativa nel Paese, anche se nessuno dei suoi accoliti potrà esercitare, in rappresentanza di milioni di elettori, nemmeno il cosiddetto “diritto di tribuna” nel prossimo Parlamento.

Giusto che sia così, d’altra parte, in quanto gli astensionisti non esprimono un coerente pensiero politico, non solo unitario – come succede del resto per gli altri elettori di partiti e coalizioni variamente frammentati al loro interno – ma neppure identificabile con una posizione politica approssimativamente coerente e leggibile. Nel mare magnum dell’astensione elettorale le motivazioni di una scelta oscillano tra polarità estremamente distanti tra loro: si va da quella, di craxiana memoria, di chi preferisce andare al mare, a quella degli ex elettori delusi dai partiti nei quali non si riconoscono più, a quelli che la domenica devono andare a trovare la zia, agli anarchici che non votano per una radicale scelta ideologica.

I fugaci piagnistei di cui sopra sono in effetti irrorati da lacrime di coccodrillo, perché da decenni nulla è stato escogitato a livello legislativo per rendere il meccanismo delle elezioni più equo e rappresentativo della volontà espressa dal corpo elettorale, finendo per diffondere la fondata impressione che i parlamentari eletti sono in effetti nominati dai vertici dei partiti. I quali vertici, a loro volta, in alcuni casi non sono legittimati da nessuna parvenza di quel “metodo democratico” imposto loro dall’articolo 49 della Costituzione. A questo si aggiungano le disposizioni della legge elettorale vigente, che per mezzo di strumenti quali la quota di eletti col sistema maggioritario (il 37% dei parlamentari) che assegna il seggio al candidato che ha ottenuto anche un solo voto in più nel suo collegio, le liste bloccate del sistema proporzionale, senza che sia concesso all’elettore di esprimere nemmeno una preferenza, la possibilità di candidarsi in una pluralità di collegi, assegnano a chi approva le liste di candidati gran parte del diritto di scegliere la composizione del futuro parlamento. Diritto in larga misura espropriato alla generalità dei cittadini-elettori.

Appare fuori di dubbio che una quota almeno di quanti diserteranno le urne il prossimo 25 settembre sia determinato a tale spontanea rinuncia ad esercitare un proprio diritto da una non immotivata sfiducia circa il sistema elettorale. Può anche essere parte di tale scelta la valutazione dell’opportunità e dell’utilità di concorrere alla legittimazione di un’elezione che così vistosamente trasferisce rilevanti quote di potere dai cittadini alle ristrette élite di una classe politica che viene percepita come un’intollerabile casta.

Noi che, magari turandoci il naso, andremo comunque a votare, riteniamo che l’astensione, anche se determinata da non infondate ragioni, sia un’opzione radicalmente sbagliata. E che per di più avalla e non contrasta neanche in minima misura l’andazzo che la classe politica da decenni cerca di confermare, con le sue scelte effettuate e con quelle mancate.

In questa fortunatamente breve campagna elettorale estiva abbiamo di fronte opzioni politiche opposte e fortemente antagoniste tra loro. Una parte promette anche una radicale riforma dell’assetto costituzionale della Repubblica per cui rispondere all’appello al seggio elettorale è una manifestazione di interesse per la cosa pubblica, una scelta che – per chiunque si voti – testimonia un interesse per la società in cui viviamo e in cui vivranno le generazioni che prenderanno il nostro posto.

I care, mi interessa, ho a cuore, è il motto che don Milani voleva sulle pareti della sua scuola di Barbiana. L’esatto contrario del fascista “Me ne frego”.