Notte di ombre e nebbia

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‘Siamo tutti felici, se solo lo sapessimo’”

di Stefano Crisafulli

 

 

Uno strangolatore si aggira per le strade di notte. Ed è una notte, parafrasando il vecchio Snoopy, buia e nebbiosa. Max Kleinmann, mite impiegato in perenne attesa di promozione, dorme il sonno dei giusti, sino a quando qualcuno bussa violentemente alla sua porta. Si tratta di una squadraccia di quartiere, che vorrebbe scovare lo strangolatore e farsi giustizia da sé. Kleinmann, interpretato da Woody Allen che, come spesso accade, è regista e protagonista del film, viene cooptato suo malgrado dalla ronda improvvisata. Il film, in bianco e nero, s’intitola Ombre e nebbia (in originale ‘Shadows and fog’) e risale al 1992, situandosi tra Alice e il profetico Mariti e mogli. Woody Allen è già molto famoso e può permettersi di sperimentare qualunque idea, anche la più bizzarra. Per fortuna, perché Ombre e nebbia si dimostra un esperimento azzeccato.

Ricostruito in studio il quartiere di una città mitteleuropea, che potrebbe essere Praga, Allen gioca sull’ambivalenza tra comico e drammatico per inserire nel suo film un tema a lui molto caro, quello del binomio tra realtà e illusione. Nella notte, come direbbe Hegel, tutte le mucche sono nere ed è difficile distinguere il vero dal falso o il buono dal cattivo, per questo si può scambiare chiunque, anche un cittadino innocente, con l’assassino. E se la paura aumenta, aumentano anche le liste di proscrizione e il rischio che la folla inferocita si vendichi su un capro espiatorio. Che, in questo caso, è proprio Kleinmann. Ma l’incontro con Irmy (Mia Farrow), una mangiatrice di spade in fuga dal circo e in rotta col suo compagno, un clown indeciso (John Malkovich), lo porterà verso un insperato lieto fine, grazie anche ad un celebre illusionista. Perché, come dice Irmy ad un certo punto: ‘Siamo tutti felici, se solo lo sapessimo’.

In un atmosfera che viaggia tra il Processo di Kafka e il cinema espressionista tedesco (in particolare il Golem di Wegener, del 1920, e le pellicole di Murnau), Ombre e nebbia si avvale di un direttore della fotografia del calibro di Carlo Di Palma e utilizza una serie di attori e attrici in auge: oltre ai già citati Farrow e Malkovich, Jodie Foster, Kathy Bates, John Cusack e persino Madonna (fa la contorsionista del circo in un cameo). Allen mette in scena il suo usuale personaggio magrittiano, preso negli ingranaggi di un piano più grande di lui e di cui non è a conoscenza. Kleinmann vorrebbe soltanto tornare a dormire, o magari risvegliarsi dall’incubo. Ma non può e, trascinato dagli eventi, finirà per mostrare un coraggio che non avrebbe mai creduto di possedere. La via d’uscita da quest’impiccio e dalla sua impasse personale, ad ogni modo, sarà proprio il circo, una fabbrica di illusioni che assomiglia molto a quella grande fabbrica di illusioni che è il cinema. In una breve pausa dal susseguirsi di avvenimenti, i due protagonisti, Irmy e Kleinmann si fermano a guardare le stelle. Lei nota che la luce della stella che arriva ai nostri occhi è solo la testimonianza di un corpo celeste che non esiste più. Ma anche loro due sono solo ombre, in fondo.