Paesaggi terrestri e celesti di Mario Vidor
agosto 2019 | fotografia | Il Ponte rosso N° 48 | Walter Chiereghin
Incantarsi nella contemplazione delle nuvole è esperienza condivisa più o meno da tutti, e fortunati quelli che non la circoscrivono a una propria remota infanzia
di Walter Chiereghin
Nuvole… esse sono tutto,…
uniche cose oggi reali tra la nulla terra e il cielo inesistente
Fernando Pessoa
Seguendo di poco la personale in cui Stefano Ciol esibiva con giustificato orgoglio i suoi paesaggi, il Museo d’arte moderna “Ugo Carà” di Muggia, in perfetta continuità con quella precedente occasione, ha ospitato dal 9 agosto al 1° settembre un’altra importante rassegna di fotografie, intitolata “Cieli inquieti”, che ha allineato una cinquantina di opere del fotografo veneto Mario Vidor. Curata da Fabio Rinaldi e presentata da Alessandra Santin, l’esposizione è organizzata da Photo-Imago, Centro per l’archiviazione e la divulgazione dell’immagine fotografica.
è da rilevare che con sempre maggiore frequenza il Comune di Muggia assegna al Museo Carà un posto di preminente interesse a livello ben più che provinciale nell’ambito delle iniziative culturali e soprattutto delle esposizioni di arti visive, che trovano nelle sale di via Roma un approdo che di per sé richiama l’interesse del pubblico più attento grazie all’autorevolezza nelle scelte fin qui comprovata.
Le nuvole hanno costituito il filo conduttore che lega tra loro tutte le immagini esposte da Mario Vidor in questa occasione muggesana, come sottintende anche il titolo della rassegna.
Incantarsi nella contemplazione delle nuvole è esperienza condivisa più o meno da tutti, e fortunati quelli che non la circoscrivono a una propria remota infanzia, ma ricadono invece con ricorrente frequenza nel gioco sublime di instaurare con cumoli, strati e cirri un muto colloquio nella partecipe osservazione di un cielo attraversato dalle cangianti forme che ora si distendono candide e luminose, ora si accumulano rapide, incombenti e minacciose.
A riprova tanto dell’universalità quanto della duttile disponibilità delle nubi a suggerire le più varie metafore, si potrebbe immaginare una sterminata antologia di liriche e testi di vario genere che, da Aristofane a Baudelaire, da Foscolo a Saba percorrono per intero la letteratura universale. Analoga ricchezza di citazioni può esser fatta per le arti visive: da Constable a Turner, da Giorgione agli impressionisti, da Tiepolo a Magritte il soggetto, di non facile rappresentazione in pittura, ha sempre sollecitato l’estro inventivo degli autori, offrendo loro l’opportunità di aggiungere ai propri dipinti un elemento che, non di rado, diviene fondamentale nell’organizzazione dell’immagine creata.
Altrettanto fondamentale risulta nella personale muggesana di Mario Vidor la presenza delle nuvole in ciascun fotogramma, scattato da una fotocamera digitale e qui proposto in impeccabili stampe in bianco e nero, ottenute ove necessario per mezzo di una tecnologia all’infrarosso, ma sempre organizzate attorno alla compresenza di un paesaggio diciamo così “terrestre” che trova un suo completamento in un altro paesaggio, stavolta “celeste”, del quale le nuvole sono ovviamente elemento distintivo e caratterizzante. La scelta di assegnare al cielo un posto da protagonista nell’economia delle immagini allestite scenograficamente che si è inteso esibire anche in questa occasione corrisponde a un ormai consolidato agire creativo, che ha impegnato Vidor in una lunga ricerca in luoghi diversi e lontani l’uno dall’altro, ma legati tra loro proprio da questo fil rouge che fa di un cielo solcato dalle nubi un autentico stilema di questo artista dell’obiettivo. La bipartizione dello spazio di cui si è detto implica l’identificazione in ogni singola immagine di una duplice polarità, ripartita tra la stabilità e la concretezza del paesaggio terrestre e la dinamicità e quasi l’astrazione ariosa di quello che lo sovrasta, e naturalmente la sintesi che ne consegue fornisce un valore aggiunto di emozione all’osservatore, saldando assieme, nella sua percezione, la dimensione concreta delle pietre a quella, solo parzialmente attingibile, dei sogni.