Pasolini per immagini

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Un’iniziativa espositiva per ricordare PPP a cent’anni dalla nascita

di Paolo Cartagine

 

Per la ricorrenza dei cent’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini l’ERPAC Friuli Venezia Giulia, unitamente al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia e a Cinemazero di Pordenone, ha promosso la mostra fotografica Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo, quasi 180 immagini inedite o poco note di oltre 40 autori di rilievo internazionale fra cui Avedon, Cartier-Bresson, List, Michals.

Aperta fino all’8 gennaio 2023, la rassegna – frutto di una ricerca di Silvia Martín Gutiérrez – è collocata in due sedi: una nella barchessa di ponente della Villa Manin a Passariano, l’altra nel Centro Studi sito a Casarsa nella casa natale di Susanna Colussi, madre di Pasolini. A Villa Manin vediamo Pasolini nella vita pubblica narrata per episodi salienti in giro per il mondo, a Casarsa lo incontriamo nella quotidianità della vita privata nelle tre successive residenze romane, e poi nell’ultima a Torre di Chia presso Viterbo, assieme alla madre e agli amici Citti e Davoli.

Molto si è detto e molto si è scritto su Pasolini, tanto che è arduo condensare in poche parole la sua poliedrica personalità e le multiformi attività cha aveva intrapreso, tra cui la regia cinematografica e la scrittura.

Pasolini, che soleva ripetere «non mi lascio commuovere dalle fotografie», aveva un complesso e contraddittorio rapporto con la fotografia, e infatti questa tematica è assente dalle sue riflessioni critiche. Ma un episodio realmente accaduto può essere ancor più illuminante in proposito. Durante il viaggio che porterà alla realizzazione nel ’59 del reportage La lunga strada di sabbia, testo e immagini su una società che stava scoprendo le vacanze al mare, lui si staccò dal fotografo Paolo di Paolo e proseguì da solo per non sentirsi condizionato dalla fotografia e mantenere la propria indipendenza di giudizio. Scriverà che, in quell’Italia, sviluppo non era sinonimo di progresso.

Dunque Pasolini da un lato prende le distanze dalla fotografia, ma da un altro la usa nei suoi film come fondamento imprescindibile del visibile cinematografico e inoltre ne usufruisce ampiamente non sottraendosi dal venir ripreso, tanto che risulta essere ancora oggi uno degli intellettuali di sempre più fotografato al mondo.

Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo è una mostra fatta di ritratti.

Ritratti che non erano stati progettati per un’esposizione unitaria dato che i rispettivi autori avevano agito indipendentemente l’uno dall’altro con scopi e intenti differenti, in momenti e in luoghi diversi. Siccome nelle foto ciascun autore inserisce sempre le proprie istanze espressive, si possono cogliere modalità di approccio diversificate, confrontare stili eterogenei, immergersi nella ricchezza del linguaggio fotografico e nella varietà delle soluzioni proposte.

Pasolini vi è ripreso in posa o in azione, in interni e in esterni, in scatti singoli o replicati con varianti, con ambientazioni ampie o con decisi e ristretti primi piani, ma anche a mezzo busto, a figura intera come nella foto di Pallottelli a New York. Talvolta lo sfondo è leggibile, in altre sfocato per attenuare la presenza di elementi secondari, o è addirittura neutro come nelle foto di Avedon. In una di queste (cosa rara) lo vediamo sorridente.

Comunque è sempre Pasolini il protagonista a Roma nelle vie di Trastevere e fra le baracche del Mandrione negli anni ’50, a Sottocolma nell’ottobre ’75 pochi giorni prima della sua morte, nei due viaggi a New York del ’66 e del ’69, a Parigi nel ’61 e nel ’70, nello Yemen durante le riprese de Il fiore delle mille e una notte nel ’74, in manifestazioni culturali con Roberto Rossellini, Maria Callas, Alberto Moravia, Laura Betti e tanti altri ancora. Un recupero del contesto storico di quegli anni che reca inevitabilmente con sé una sorta di nostalgia del passato.

Quasi a simboleggiare la irrequietezza di Pasolini, specie a Villa Manin la mostra non è organizzata con una trama rigida e vincolante. Il visitatore può seguire la configurazione geometrica dello spazio espositivo ma, in alternativa, può auto-costruirsi un percorso di ricerca più libero per individuare gli elementi caratteristici che lo hanno incuriosito. In altri termini, una mostra che permette di formulare specifiche interpretazioni partendo da ciò che le immagini fanno vedere. È come se rileggessimo un testo scritto approfondendo il significato delle parole e la struttura delle frasi, non si tratta di inventare. Pertanto – spinti dalla mostra in sé e dalla notorietà del personaggio e della sua vicenda umana – camminare, tornare indietro, fermarsi, osservare, riflettere, collegare, memorizzare per “completare gli indizi” che ogni foto contiene con l’aggiunta delle nostre esperienze, suggestioni e impressioni personali. L’opposto del frettoloso transito da una foto alle seguenti, restando al di qua della superficie senza interagire con le storie che le foto contengono.

Almeno quattro le possibili chiavi di lettura: lo sguardo, il volto, la postura, il tempo.

Innanzitutto: “dove” guarda Pasolini?

È un enigma quando indossa gli occhiali con lenti annerite, ma nella maggior parte delle foto è senza occhiali e per lo più guarda in macchina (come nella foto di Lütfi Özkök a Stoccolma), cioè ci guarda e sembra quasi interrogarci. In altre foto volge gli occhi verso il fuori campo: è una scelta deliberata, cosa stava pensando in qual frangente, qualcosa lo ha distratto o attratto? E inoltre, “come” guarda? In maniera serena e distesa, oppure accigliata, cupa e indagatrice? O con struggente affettuosità come nella foto in cui lo vediamo seduto accanto ad Anna Magnani alla première di Accattone a Parigi.

La mimica facciale del volto nel suo insieme e, più in dettaglio, le rughe sulla fronte e attorno agli occhi, le espressioni della bocca (in lui quasi mai sorridente ma piegata verso il basso) sono la seconda chiave di lettura, da collegare allo sguardo e alla postura di Pasolini di fronte all’obiettivo specie in relazione alla posizione delle braccia (distese o conserte a mo’ di protezione) e quindi delle mani (ai fianchi, congiunte, aperte o chiuse a pugno, a sostegno del viso).

Sono segnali dell’involontario linguaggio non verbale che ci connotano e che sfuggono al nostro controllo ma che la foto raccoglie in un’immagine immutabile ricca di tracce profonde del nostro essere in quel irripetibile istante.

Infine quarto e ultimo elemento: lo scorrere del tempo. Ce ne parla il volto di Pasolini che si fa sempre più scavato, spigoloso, vi sopravviene una vena di tristezza come se il tempo consumato non avesse portato i risultati da lui sperati e la meta si allontanasse sempre più irrimediabilmente fino a diventare irraggiungibile.

È chiaro che le risposte – a questi o altri quesiti – non possono che appartenere a ciascuno di noi e sono dunque parziali e soggettive, ma nondimeno proprio “il chiedersi” fa di Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo un’esperienza appagante e indimenticabile.

 

 

Giovanni Coruzzi

Pasolini con Anna Magnani

alla première di Accattone

Parigi, 1961