Pellicole da un’altra latinità

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Il 32° Festival del Cinema Latino Americano

di Pierpaolo De Pazzi

 

Sabato 25 novembre alle ore 20.00 al Teatro Miela si è svolta la Cerimonia di premiazione del XXXII Festival del Cinema Latino Americano di Trieste il festival cinematografico attivo da più anni a Trieste.

La qualità dei film premiati, di quelli in concorso, delle scelte e delle proposte che hanno completato le sezioni retrospettive e fuori concorso, tutto testimonia di un piccolo ma grande festival, aperto e generoso come il continente che rappresenta. Continente, perché chiamarlo sub-continente evoca gerarchie e sudditanze, che non hanno ragione di esistere.

Quello sud-americano è veramente un mondo che pare ansioso di aprirsi e di raccontare la sua storia, il suo combattuto passato prossimo, il suo difficile presente, i suoi rapporti con le culture europee d’origine e con quella vicina e ingombrante del nord America.

Un piccolo ma grande festival, che quest’anno ha potuto contare sul patrocinio del Ministero della Cultura (MIBACT), su quello del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione (MAECI) e sul supporto delle Ambasciate latino-americane presenti in Italia. A questo si è aggiunto il patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, del Comune di Trieste e della Camera di Commercio Venezia Giulia – Trieste Gorizia. Da sempre vicino alle Università, oltre a confermare le storiche convenzioni con l’Università di Trieste, Padova, Venezia e dello IUAV, quest’anno il Festival ha allargato il partenariato all’Università di Udine.

Il festival è stato fondato nel 1985 da Rodrigo Diaz, che nel suo lavoro organizzativo può contare sul supporto di Francesca Mometti, la coordinatrice del Festival, e di Manuel Draicchio, responsabile multimedia e sottotitolazione film.

Leggo nel bel materiale di comunicazione che ci viene offerto che «Il Festival …non è un evento spettacolare fine a se stesso ma un momento pubblico in cui sia dato spazio al cinema come strumento di conoscenza e incontro. Un momento culturale di condivisione e apertura». Posso veramente dire che questa missione si può cogliere dalla scelta delle pellicole, dalla numerosa e qualificata presenza in sala di registi, attori, produttori, dalla vitalità del dibattito, tra l’altro favorita dall’encomiabile servizio di interpretariato, sempre puntuale e fedele a quanto detto da artisti e pubblico, a differenza di una diffusa tendenza ad abbondare con la sintesi, a volte a scapito della fedeltà di quanto si va riportando.

Ma veniamo ai film.

Al Concorso ufficiale è premiato come miglior film La memoria de mi padre, di Rodrigo Bacigalupe (Cile, 2016), una storia che, come per molti film della rassegna, ruota attorno alla tematica della memoria, familiare e intima in questo caso, difficile e sulla via di perdersi a causa di una malattia, ma che è necessario ritrovare come base per ogni possibile convivenza.

Il premio speciale della Giuria va invece a Un Exilio: Película Familiar, di Juan Francisco Urrusti (Messico, 2017), scegliendo un progetto narrativo storico e sociale di grande significato, in cui una storia familiare di esuli dalla Spagna franchista, accolti nel nuovo Mondo, diventa paradigma di tutte le guerre e di tutte le profuganze che continuano a dilaniare la nostra contemporaneità: una pellicola epica e intensa, con una lavorazione lunga 35 anni, a partire dalle prime interviste registrate con i nonni.

Il premio per la miglior regia va a El aprendiz, di Tomás De Leone (Argentina, 2017), storia del doppio apprendistato di Pablo, aspirante chef sul baratro di una scelta di vita criminale, ragazzo bloccato da scelte più grandi di lui, con la madre alcolista e un rapporto da ricostruire con il padre.

Anche il film premiato per la migliore interpretazione, Maracaibo di Miguel Angel Rocca – (Venezuela, Argentina, 2017) vede come centrale il rapporto spezzato tra un padre e il figlio assassinato: Jorge Marrale è un genitore che ammette il proprio fallimento e si dedica ad un progetto di vendetta che è anche un atto di redenzione della sua colpa.

Menzione speciale della giuria per lo straziante e implacabile 70 y Pico di Mariano Corbacho (Argentina, 2016), altro film documentario che scopre indizi, tragici, della storia del paese, e in particolare della dittatura militare di Videla, in una storia familiare. Centrale è infatti la figura del nonno del regista, Pico, preside della facoltà di architettura di Buenos Aires, coinvolto con la dittatura e testimone reticente della scomparsa di molti studenti e professori della sua facoltà: un’indagine che ha la conseguenza di scavare un solco tra il documentarista e i suoi congiunti.

Dunque un festival che apre una luminosa finestra su un cinema e un continente che è vitale e che non rinuncia alla dimensione della memoria e dell’impegno civile. Memoria che divide oppure unisce continenti, paesi, generazioni, famiglie, esuli col paese d’origine, memoria che si difende gelosamente o che è una benedizione perdere.

Mi piacerebbe sottolineare con un esempio come gli organizzatori di questo festival lavorino bene, supportando al meglio le scelte dei film in concorso con quelle retrospettive.

Un bel film in concorso è Páramo, di Andrés Diaz (Messico, 2017). È la storia, visionaria ed iniziatica, di Jesús, uno studente universitario di letteratura e filosofia, che si vede respingere la tesi “Alla ricerca di Comala”. Depresso fin da bimbo, quando il padre abbandonò la famiglia, ha deciso di suicidarsi subito dopo la laurea, con una scelta che ricorda la fine prematura di Carlo Michelstaedter. Ecco quindi che accetta subito la proposta del relatore di iniziare un viaggio verso Comala, per approfondire il suo lavoro e potersi laureare. Ma il viaggio si rivela subito un’avventura onirica che si trasforma presto in un incubo.

Il film, come la tesi di Jesùs, è ispirato al romanzo Pedro Páramo, scritto da Juan Rulfo, pubblicato nel 1955, forse il più importante libro della letteratura messicana del ‘900, tra gli ispiratori riconosciuti di Cent’anni di solitudine. Ed ecco che nella sezione Cinema e Letteratura del festival ci viene offerto il film Pedro Páramo, di Carlos Velo (Messico, 1967), bella versione del romanzo, come quelle che si facevano allora, spesso in lavori prodotti per la TV.

Questo festival organizza il materiale filmico che ci offre in ben tredici sezioni, aiutando lo spettatore nelle sue scelte, e offrendo un programma molto completo, con film ben presentati, rivelandosi capace di offrire preziose informazioni sulla contemporaneità ma anche sul passato di quel continente. Una proposta che va a completare un’offerta di festival cinematografici che in Friuli Venezia Giulia è ricchissima, spaziando dalla storia, con le Giornate del cinema muto a Pordenone, alla contemporaneità asiatica del Far East di Udine, ai cinema minori europei (minori per distribuzione, non per qualità) con il Trieste Film Festival Alpe Adria, fino al riflettore sul futuro offerto del Science Plus Fiction Festival di Trieste.

Nel corso del Festival è stato conferito il Premio Salvador Allende, per onorare i valori della cultura, dell’arte, dell’impegno civile e della conoscenza, per la prima volta a un uomo di scienza, il professor Fernando Quevedo, fisico teorico di fama mondiale, nato in Costa Rica e di nazionalità guatemalteca, che vive a lavora a Trieste dove, dal 2009, dirige l’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) “Abdus Salam” dell’Unesco, centro che è nato per favorire l’integrazione a livello globale di studiosi afferenti a diversi paesi, culture e formazioni.