Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

BANCHE

 

Dal 1969, esiste il premio Nobel per l’Economia, che in realtà si chiama «Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel». Non proprio un Nobel, ma nessuno ci bada. Pare che Alfred Nobel, il dinamitardo pacifista, odiasse l’economia, ma anche questa è una di quelle cose che non si ricordano.

Ancora oggi c’è chi vorrebbe abolire il Nobel per l’Economia: e non perché sia una «scienza triste» (Thomas Carlyle), ma perché pare troppo un premio che l’esclusivo club dei sacerdoti del mercato liberissimo danno una volta all’anno a uno di loro. Una cosa simbolica: 900 mila euro.

Quest’anno il premio è stato dato a tre eminenti scienziati del denaro: tra questi, il più famoso è Ben Bernanke, già presidente della Banca Centrale Usa dal 2006 al 2014. Il merito di Bernanke è stato aver dimostrato che le banche non possono fallire in nessun caso: altrimenti crolla la galassia e tutti diventano poveri. In effetti, quando ci fu l’apocalittico fallimento della Lehman Brothers, Bernanke convinse il presidente Obama che lo stato dovesse salvare finanziarie e banche con 7.700 miliardi di dollari. Banche e finanziarie incassarono e pensarono bene di premiare i loro capi, che fino al giorno prima avevano speculato euforici con i titoli cosiddetti spazzatura. Quei geni ebbero un premio di 233 milioni di dollari.

Per persuaderci che la Banca sia un’indispensabile latrice di Bene, ha scritto Ettore Gotti Tedeschi, già presidente dell’Istituto per le Opere Religiose (IOR). È autore di saggi dai titoli che fanno sognare: Denaro e paradiso e Amare Dio e fare soldi.

Se qualche lettore di Lemmi Lemmi pensasse di darsi al crimine finanziario, un’ottima notizia è questa: chi approfitta del possesso di una banca – per esempio, del Banca Popolare di Vicenza – per gettare sul lastrico 127 mila risparmiatori (facendo volatilizzare 6 miliardi di euro) in effetti rischia qualche spiacevole anno di prigione. Ma cosa sono tre anni e undici mesi, sempre che la Corte di Cassazione non trovi da ridire, di fronte alla felicità? Fa circa un mese di galera ogni 130 mila euro estorti; un giorno per ogni 4.300 euro svaniti. Lo sappiamo, sono conti giuridicamente contestabili. Intanto, noi del Ponte Rosso con 4.000 euro saremmo felici per un anno, anche se dovremmo giustificare pure l’acquisto di una matita: se no, per il Presidente c’è l’ergastolo.

 

POVERO

 

Non andrebbe mai trascurata la psicologia dei ricchi, che credono di essere ricchi semplicemente perché se lo meritano: fosse stato anche per una vincita al gratta&vinci di cinque minuti prima, o per l’eredita della nonna appena sgozzata in cantina. Perfino più rimarchevole è il fatto che i poveri sono a loro volta convinti di esserlo perché se lo meritano. Su questo si può leggere di Chiara Volpato Le radici psicologiche della diseguaglianza (Laterza 2019).

I poveri non amano sé stessi, e tanto meno gli altri poveri perché sanno troppo bene di cosa sia fatta la loro vita. I poveri amano i ricchi, o almeno quei ricchi che credono di capire: i calciatori, le stelle della tv, le principesse, i pornodivi, gli spacciatori. I poveri non sanno niente dei ricchi esoterici, che poi sono i ricchi veri: i CEO di holding internazionali, gli affatturatori di titoli subprime e di junk bond, i manovratori di lobbies: hanno già nomi inavvicinabili e parlano tutti inglese senza l’accento romanesco.

I poveri amano quei ricchi che fanno i piazzisti di sé stessi, gli imbonitori bonari che parlano come i poveri, che si comprano le cose che i poveri si comprerebbero se trovassero un milione di euro per strada, che si circondano delle donne che anche i poveri si farebbero volentieri. I poveri amano i ricchi che li fanno illudere che un ricco è solo un povero che ha fatto i soldi. Ne esistono.

Amando i ricchi e avendo a uggia gli altri poveri, alle elezioni i poveri votano – quando votano – i ricchi che appaiono simpatici e divertenti. Votano quelli che, tra i veri ricchi, sono considerati i meno frequentabili: quelli che si abbassano a raccontare barzellette ai poveri, che fanno gli spacconi sulle loro prestazioni sessuali e si colorano i capelli: cose di cattivo gusto che però i poveri credono di capire.