Socialismo e integrazione europea

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Il socialismo europeo e il processo di integrazione: un percorso lungo mezzo secolo

Un bilancio del contributo allo sviluppo dell’Unione dato dalla “famiglia del socialismo europeo”, tra luci e ombre

di Luca Zorzenon

 

Nel segno della «tensione federalista di leader politici come Altiero Spinelli e Jacques Delors», i saggi che compongono il volume Il socialismo europeo e il processo di integrazione, delineano un quadro storico-politico complessivo della riflessione teorica e della prassi politica della sinistra storica europea (socialista e comunista) nel lungo e difficile processo di integrazione e di unione europea dal secondo dopoguerra ad oggi, dalla CECA al MEC, dalla CEE al Trattato di Lisbona del 2007. Affresco che è anche un bilancio del contributo allo sviluppo dell’Unione dato dalla “famiglia del socialismo europeo”, tra luci e ombre, difficoltose ricerche di nuove identità politico-sociali entro i rapidi e sconvolgenti processi di mutazione e globalizzazione degli assetti dell’economica capitalista, e derive liberal che accompagnano, senza tuttavia la capacità di condizionarne e gestirne appieno gli esiti di peggiore impatto sociale, quella che oggi è un’egemonia politico-economica, ma anche “culturale”, di stampo economicista e neoliberista.

Problematiche forti e decisive, complesse e articolate: la globalizzazione capitalista dopo il crollo del blocco sovietico nel 1989; le nuove politiche internazionali ed anche militari; l’integrazione nella moneta e nello spazio economico unici di Paesi, ad Ovest e ad Est, profondamente diversi per storia politica e situazione economico-sociale; la crisi economico-finanziaria; i processi migratori di ordine mondiale e i rinnovati revanscismi nazionalisti e xenofobi delle nuove destre; le difficoltà nel configurare chiare e precise istituzioni politiche governative e parlamentari, nonché di governance economico-finanziaria, che articolino il rapporto tra singoli Paesi e l’insieme dell’Unione europea. Il curatore Sante Cruciani, nel chiudere la sua lucida introduzione al volume, ispirandosi a Marc Lazar, afferma con chiarezza il senso complessivo della ricerca collettiva: «Nel sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, sembra infine evidente che la famiglia socialista salverà se stessa dalla residualità politica soltanto se saprà ripensare l’interdipendenza politica del mondo globale e rispondere con il proseguimento del processo di integrazione alla diffusione delle destre nazionaliste e xenofobe nel continente europeo.»

E tuttavia, lo stesso Cruciani riconosce come e quanto il ritorno ai fili spinati, ai muri, al populismo nazionalista sia provocato proprio da quelle politiche economico-sociali neoliberiste degli attuali vertici europei, politici ed economici, che la sinistra europea, la “famiglia socialista”, oggi si dimostra debole e disunita nel contrastare, non opponendovi chiare analisi e concreti programmi di prassi alternative.

I saggi del volume, nella ricostruzione storico-politica che ne unifica metodo e obiettivi, si dividono la materia per aree nazionali, dall’Italia di Togliatti e Nenni e fino al Partito Democratico (S. Cruciani), al socialismo francese, particolarmente nelle figure di Mitterand e Jacques Delors e fino a esiti odierni, fra Jospin e Hollande (R. Ares Doro e A. Giacone); dal ruolo fondamentale della SPD tedesca da Brandt a Schmidt, da Lafontaine a Martin Schultz (M. Di Donato), al laburismo inglese fino all’approdo liberal di Tony Blair (M.P. Del Rossi) e alla rinascita del socialismo spagnolo dopo la dittatura franchista, da Gonzales a Zapatero (M.E. Cavallaro). Si possono così, nei diversi paesi europei, seguire i percorsi delle sinistre, ognuna entro la sua identità storica ideologico-politica, verso l’adesione ai valori dell’idea di unità europea, fra momenti di collaborazione e fasi di ristagno, lungo snodi storici decisivi della storia occidentale degli ultimi sessant’anni e nella cornice della guerra fredda prima, del mondo post-sovietico poi. Con la notazione supplementare che il crollo dell’ “impero sovietico”, da fattore di liberazione di energie teoriche e pratico-politiche di originali esperienze socialiste e comuniste occidentali (si pensi, anche, alla tradizione italiana) si rivela ben presto uno dei componenti della loro crisi di identità e di ricerca-sviluppo, anche nella capacità di egemonia culturale generale e di opposizione specifica alle destre neo-conservatrici, quando non pericolosamente demagogico-populiste.

Problema istituzionale, anche, quello dell’Europa di oggi, cui D. Floris dedica la sua analisi (Le elezioni europee e la rappresentanza socialista al Parlamento europeo) e P. Borioni il suo Il socialismo europeo dalla Commissione Delors alla crisi politica dell’Unione). A completare il volume la ricerca di Andrea Becherucci sulle fonti riguardanti il socialismo europeo negli Historical Archives of the European Union, corredata da un’ appendice documentaria.

Particolare il saggio di Francesco Leoncini, Dal socialismo di Alexander Dubček al disincanto e alla xenofobia: la parabola ceco-slovacca, che Cruciani, nell’Introduzione, ben rileva nella sua qualità di «interpretazione stimolante sulla débâcle della famiglia socialista in Europa orientale.» Ma direi che l’interesse principale del saggio sta nell’assunto che in primis lo motiva, quando Leoncini afferma che i movimenti post-staliniani di riforma del socialismo interni al blocco sovietico «danno un contributo che va al di là dell’ambito spazio-temporale in cui si affermarono e dei riferimenti ideologici di allora e si inseriscono a tutt’oggi positivamente e in maniera originale nel processo di riformulazione delle istituzioni democratiche, offrono suggestioni sui problemi dell’educazione, del rapporto fra cittadinanza e potere, tra partiti e istituzioni, tra cultura e politica, tra operai e fabbrica, sulle forme di organizzazione dei partiti e dei corpi intermedi, sulla gestione di un’economia che voglia sottarsi all’arbitrio degli interessi monopolistici e speculativi.»

Nel «socialismo dal volto umano» di Alexander Dubček – in cui Leoncini scorge vicinanze con la riflessione di Carlo Rosselli sul rapporto tra socialismo e libertà – il “programma d’azione del Partito comunista di Cecoslovacchia” dell’aprile 1968 delineava, nelle parole dello stesso Dubček, l’obiettivo «della sintesi della democrazia e dell’umanesimo con il socialismo», nel solco del recupero di una tradizione che risaliva a Tomas Masaryk.

Se, come Bobbio affermava, non esistono “terze vie” fra quelle della democrazia e della dittatura, l’interrogativo di fondo rimane quello se la democrazia abbia a essere solo patrimonio del pensiero liberal-progressista e non invece anche elaborazione e sviluppo del socialismo come «naturale continuazione del movimento di liberazione dell’uomo», che, secondo Leoncini, fu il l’idea guida di quella primavera praghese di Dubček militarmente stroncata dai carri armati sovietici.

Ma quali furono le reali potenzialità della Primavera di Praga? Le grandi speranze che il leader socialista di più alto e autentico consenso popolare ad Est diffuse allora soprattutto all’interno dell’area europea sovietica dissidente ebbero impatto minore e più cauto nel contesto dei socialismi occidentali e furono intese come pericolosa minaccia di possibile riforma del comunismo dalle classi dirigenti politiche ed economiche del mondo capitalista. Prima ancora che con l’invasione militare, l’URSS, secondo Leoncini, perse così forse l’ultima sua possibilità di riforma del sistema socialista nell’errore di valutazione politica dalla funzione altamente critica che le idee praghesi di innovazione e modernizzazione del socialismo avrebbero potuto avere nel mondo occidentale capitalista: prevalse, così, ad Ovest come ad Est il “rassicurante” mondo di Jalta. Caduto il sistema sovietico ad inizio anni ’90, nonostante l’ultimo tentativo di Gorbačëv, ormai in irrimediabile ritardo storico, Leoncini delinea lucidamente le conseguenze della sconfitta e poi della rimozione politica della Primavera di Praga del 1968.

 

Negli stessi paesi dell’Est europeo e nelle stesse Cekia e Slovacchia odierne la rimozione del socialismo di Dubček («Charta 77» e la figura di Vaclav Havel) ha lasciato spazio al re-incontro con la parte occidentale dell’Europa nel contesto unico delle politiche neoliberiste, ed oggi all’avanzare dell’«euroscetticismo, del disincanto, della xenofobia».

Se ripartissimo in Europa dalla Primavera di Praga? Se guardassimo alle pericolose prospettive di crisi del progetto di unione europea, alla disaffezione dei cittadini alla politica, al ritorno di poteri forti che ci riabituano all’inevitabilità delle disuguaglianze sociali, all’idea che l’economia sia una scienza che riguardi le «cose» e il «danaro» e non «gli uomini» e la loro vita, recuperando lo sguardo celeste e quel pensoso mezzo sorriso con cui Dubček viveva in tragiche giornate praghesi la scommessa che la democrazia autentica fosse «il socialismo dal volto umano» come «naturale continuazione del movimento di liberazione dell’uomo»?

 

 

 

 

Copertina:

 

Sante Cruciani (a cura di)

Il socialismo europeo

e il processo di integrazione.

Dai trattati di Roma

alla crisi politica dell’Unione

(1957-2016)

Franco Angeli, Milano 2016

  1. 300, euro 30,00