Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

ARTISTA

 

Nel caso del lemma artista, da tempo ci siamo rassegnati a dargli un significato vago ed eventuale. Ormai artistico è tutto ciò che ha voglia di credersi di esserlo: dalle banane appiccicate al muro (Maurizio Cattelan) ai grandi stupendi teleri di Anselm Kiefer che si sono ammirati di recente a Venezia. Nella musica, il mai trascurabile John Cage compose – se così si può dire – un pezzo per pianoforte in cui non si suona neppure una nota: s’intitola 4’.33’’, che è il tempo della durata di quel silenzio (su YouTube ce ne sono diverse interpretazioni). John Cage è un artista della musica… si potrebbe continuare.

La novità è che Bruno Vespa, che in Italia è impossibile non sapere chi sia, ha con la Rai un contratto da «artista». Potevano dircelo prima. La notizia dovrebbe dare a tutti un sollievo. Nel grande dizionario UTET, si legge che artista è «chi esercita una delle arti liberali (arti figurative, poesia, musica)». La definizione temiamo sia tautologica: artista è chi esercita un’arte; e l’arte cos’è? Ma non facciamo i sofisti. Ci basta sapere che l’artista ha un estro, un talento, e che inventa: i latini parlavano proprio di inventio. L’artista, che ascolta solo le Muse, non è tenuto ad alcuna verità. Non pretenderemo dalla Gerusalemme liberata che sia una cronaca fedele della seconda crociata? O che Renzo e Lucia siano veramente esistiti, anche se I promessi sposi, sappiamo tutti, è un romanzo storico? Agli artisti si concede tutto. Diceva meravigliosamente Aldo Palazzeschi: «Tri tri tri, / fru fru fru, […] Il poeta si diverte / pazzamente…», e noi con lui. Ora sappiamo come assistere a qualunque performance di Bruno Vespa. Lo vorremmo al centro del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia.

 

COMANDARE/GOVERNARE

 

Già nel 2018, in un articolo sul Corriere della Sera, Giuseppe De Rita faceva notare la differenza tra i due lemmi, affermando che «l’attuale nostra classe dirigente […] non ha cultura di governo, e vi supplisce enfatizzando la funzione di comando»; diceva addirittura che questa carenza è una «zoppia». Siamo comandati da zoppi e governati da nessuno? È che comandare è più semplice di governare. E siccome comandare fa sentire subito a tutti chi ha il coltello dalla parte del manico, sarà facile far dire a tanti che quel comandare è già un governare.

 

IMPORSI

 

Ci dice la Treccani che imporre vuol dire «sottomettere a un dovere, esigere che una persona (o una comunità) osservi o esegua qualche cosa». Ora si potrà dire tutto, ma non che sottomettersi a un dovere sia un piacere. Imporre un piacere è una contraddizione in termini, perché un piacere imposto smette subito di essere un piacere. Un piacere imposto è un ossimoro. L’attuale Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, alla presentazione di un libro, ci ha detto però questo: «nel mio piccolo mi sono autoimposto di leggere un libro al mese. È un fatto di disciplina. Come andare a messa». La dichiarazione vorrebbe essere un invito all’emulazione. Viene da consigliare al Ministro di rilassarsi. Imporre di leggere La Certosa di Parma di Stendhal, o Buchi bianchi di Rovelli, o Le conseguenze della pace di Keynes (che sarebbe molto utile di questi tempi), non è promozionale.

Per rendere chiara la sua idea, il Ministro ha fatto una similitudine: leggere è «come andare a messa». Si ricorre alle similitudini per chiarire un concetto a quelli meno svegli. Qui però potrebbero offendersi i cattolici: si va nella casa di Dio per un’autoimposizione? Un po’ come andare a trovare la suocera per la pace familiare? – L’esempio della messa fa capire tutto e chiude il cerchio: i tre quarti degli italiani in effetti non vanno a messa, i giovani meno di tutti: forse il 15%. Vedi caso: gli italiani, che come il Ministro, leggono un libro al mese sono il 15%. Siamo ottimisti: scommettiamo che, a differenza di Sangiuliano, non se l’autoimpongono. Perfino se non hanno letto Il piacere del testo di Roland Barthes.