Un tallero fra i water, un vate chissà dove

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di Roberto Curci

 

“Coraggio, fratelli! Coraggio e fede! Vi state avvicinando alla fine del vostro martirio”. I triestini che videro planare dal cielo nugoli di volantini, la mattina del 7 agosto 1915, vi lessero queste parole. è probabile che molti si siano chiesti di che “martirio” si trattasse, anche se ben supponevano che la guerra all’Austria-Ungheria da poco dichiarata da Salandra si prefiggesse la liberazione di Trieste dal secolare “giogo” di un Impero che in realtà l’aveva resa piuttosto popolosa, commercialmente e culturalmente vivace, e perfino (non per tutti ovviamente) ricca.

Ma, fra quei triestini, tanti – è altrettanto probabile – plaudirono, emozionati e grati, all’incoraggiamento che dal cielo scendeva grazie all’audacia di Gabriele D’Annunzio, da non molto rientrato in Italia dalla Francia – dove, oppresso dai debitori, si era auto-esiliato – con il preciso intento di “audere semper”, nel conflitto appena iniziato, per le vie del mare (come voleva il motto dei MAS da lui prediletti) o per le vie del cielo, quelle che lo riportarono sopra Trieste per un secondo volantinaggio, ma che poi gli costarono quasi la perdita di un occhio per un incidente sopra Grado.

Del resto, il Vate aveva con la città ancora irredenta un rapporto privilegiato, per via dei suoi legami con tanti patrioti (da Oberdan in poi) che anelavano alla “redenzione” e con alcune letterate che invece anelavano alla sua affettuosa amicizia. E qui, a guerra conclusa, il 10 aprile del ’19 ottenne sul sagrato di San Giusto, dal Duca d’Aosta, il meritato guiderdone della medaglia d’oro al valor militare.

Nulla di male, dunque, che il Comune di Trieste decida oggi di onorare D’Annunzio, inserendosi nella vasta pletora di manifestazioni e pubblicazioni varate un po’ ovunque – D’Annunzio come Leonardo da Vinci? – nel centenario della cosiddetta Impresa di Fiume. In quell’avventura, in realtà, Trieste non ebbe che il ruolo di punto di transito dei celebri Legionari che, da allora, la quieta cittadina “bisiaca” di Ronchi si sarebbe vista indelebilmente appiccicare.

Le perplessità non riguardano, insomma, l’iniziativa in sé, benché sull’Impresa il dibattito sia tuttora vivace tra gli storici (e non solo) e sulla reale interpretazione che ad essa è da attribuire. Esse concernono, per l’appunto, il “taglio” culturale che alla mostra – annunciata per la metà di luglio – la Fondazione del Vittoriale capeggiata da Giordano Bruno Guerri intenderà imprimere. Non sarà mica una rassegna agiografica?, si chiede qualcuno che su meriti e demeriti di D’Annunzio s’interroga, anche per comprensibili riserve ideologiche. Non sarà mica una rassegna troppo “di destra”? O troppo “di sinistra”? Prevarrà il lato “arditesco” dell’Impresa o piuttosto quello “libertario” e “anarcoide”, due lati che in effetti convissero (malamente) nella breve esperienza di Fiume?

Ma, ben di più, le perplessità derivano da tre altri elementi: il fatto che nel 2003 al Poeta-Soldato fosse già stata dedicata una mostra di ampio spessore; la spesa di 300 mila euro deliberata dal Comune per allestire la nuova rassegna nell’ex Pescheria (perfino – è tutto dire – parecchio di più di quella sull’Unione Sportiva Triestina…); e la collaterale decisione di dedicare al Vate una statua bronzea, da collocare in un sito ancora indefinito e magari con un concorso di idee che contribuirebbe a implementare il budget.

Una statua per D’Annunzio?, si chiedono in parecchi. Se la merita davvero? Va bene Svevo, va bene Saba, va bene perfino “el mato” Joyce, in realtà il più fotografato dei tre dai turisti per la sua bella posizione. Va bene perfino il tallero di Maria Teresa, infilato nel salvadanaio dei masegni di Ponterosso, a stretto contatto con due delle pochissime latrine pubbliche che la città offra ai visitatori.

“Memento audere semper”, e dunque via libera pure al bronzeo Vate. Anche se a qualche malpensante sarà lecito sospettare che, con simili trovate, il “martirio” di Trieste continui.