TRA GUERRA E DOPOGUERRA: LE CARTE DI MARIN

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Pubblicato Considerazioni sui problemi del mio tempo e appunti vari. 11 novembre 1940 – 28 agosto 1952

Pericle Camuffo

 

Per quanto riguarda l’enorme corpus dei diari di Biagio Marin, vale senza dubbio ciò che Claudio Magris ha scritto per quelli di Musil:

 

Inesauribile miniera di materiali disparati, i Diari vogliono “imitare l’incompiuto”, e si protendono in tutte le direzioni: abbozzi poetici, note intime, aforismi, saggi, estratti di letture, appunti, notizie di cronaca. Il loro tema, in queste variazioni senza sosta, è lo scoglio contro il quale continua ancor oggi a infrangersi, in una contraddizione irrisolta, la letteratura: la consapevolezza che non è più possibile imporre alle cose una camicia di forza che faccia di esse dei simboli di un universale postulato dal pensiero […]. Musil è sul limitare: prende congedo dall’unità e dall’integrità della vita con una nostalgia che non rinuncia alla loro esigenza, commisura il particolare disgregato col metro della totalità infranta, constata la frantumazione facendo trasparire la sofferta assenza dell’intero e di un valore unificatore.

 

Purtroppo, le prove di estrazione fin qui prodotte da questa “inesauribile miniera” non hanno convinto del tutto. Il primo volume pubblicato, La pace lontana. Diari 1941 – 1950 (Gorizia, LEG, 2005, a cura di Ilenia Marin) ha avuto certamente il merito di rompere il ghiaccio, ma proponeva per intero solo il diario scritto da Marin dal 3 maggio all’11 novembre 1941, mentre si limitava ad una sintesi degli anni 1945-1950 ridotti in maniera troppo drastica, a pochi giorni (5 per il 1947, 6 per il 1948, 6 per il 1949, 1 per il 1950), del tutto insufficiente per fornire anche solo un quadro introduttivo ai problemi trattati da Marin. Mancavano, inoltre, la dichiarazione di un preciso criterio di selezione e un apparato critico funzionante e funzionale. Nel secondo volume, Vele in porto. Piccole note e frammenti di vita. 27 agosto 1946 – 3 febbraio 1950 (Gorizia, LEG, 2012, a cura di Ilenia Marin) si è cercato di correggere il tiro rispetto al primo. Qui, la pubblicazione del secondo quaderno mariniano è integrale ma, viste le sovrapposizioni di date, rende inutile il 25% del volume precedente e lascia incompleto il 1946.

Ora, di fronte al recente Considerazioni sui problemi del mio tempo e appunti vari. 11 novembre 1940 – 28 agosto 1952 (Trieste, EUT, 2015, a cura di Gianni Cimador), le perplessità rimangono.

Perché allora pubblicare questo quaderno, il numero 136 del Fondo Marin conservato presso l’Archivio degli scrittori e della cultura regionale dell’Università di Trieste, e non, come ci si sarebbe aspettato, il quarto volume della serie, quello che va dal 6 febbraio del 1950 all’8 agosto 1951, naturale proseguimento di Vele in porto?

Seppur presentato nella sua interezza, è un quaderno sul quale Marin ritorna a più riprese per quasi dodici anni, lasciando scoperti dei periodi anche molto lunghi sia all’interno che all’esterno degli anni documentati. Per esempio, c’è totale assenza di scrittura dal 15 novembre 1940 al 3 novembre del 1944 e per tutto il 1951. La parte centrale del volume, circa la metà, riguarda gli anni 1945 – 1950, gli stessi (a volte addirittura le stesse giornate, che avrebbero meritato attenzione particolare, un riferimento, un confronto, magari da svolgere in nota) già coperti dalle pubblicazioni precedenti. Dove, allora, i motivi d’urgenza e di necessità di questo libro?

Certo, quello indicato dal curatore all’inizio della sua introduzione, il fatto cioè che questo diario “si colloca in un periodo cruciale della storia del Novecento, tra gli sviluppi del secondo conflitto mondiale e della caduta del Fascismo e i nuovi assetti di un dopoguerra caratterizzato da profondi cambiamenti politici e sociali, ma anche dalla persistenza di elementi contraddittori della situazione precedente, evidenti e in qualche modo amplificati in un contesto come quello di Trieste e della Venezia Giulia”, ne giustifica pienamente la pubblicazione. Ma all’interno dell’opera di Marin, o meglio, all’interno della diaristica mariniana, qual è la novità di questo quaderno?

Quella più evidente sta nel fatto di essere testimonianza della complessità del modo di scrivere e di pensare di Marin quando non scrive o pensa in forma di poesia. Da queste pagine emerge lo sforzo continuo di Marin di “considerare”, di “appuntare” il suo tempo, il suo mondo, per riuscire e capirlo, per trovare e per trovarsi un senso, una posizione che, inevitabilmente, è e rimane provvisoria, smentita o addirittura contraddetta nel giro di poche pagine perché la realtà che sta attraversando muta ad un ritmo talmente alto che sfugge ad una razionalizzazione critica e costruttiva, scivola continuamente e con essa scivolano idee, convinzioni, strutture mentali e sociali, scivolano nazioni, confini, vite. Ecco allora il passaggio da un quaderno all’altro, il sovrapporsi di giorni e luoghi, la necessità di mettere dei titoli ai quaderni che ne indichino non tanto il contenuto ma il percorso di ricerca, che siano traccia che salva, certezza che conserva. Ma è un possesso di sé e del mondo, quello che Marin rincorre in questo volume, che non è, va ricordato, esempio isolato e che va affiancato ad altri quaderni simili (i tre depositati presso il Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta dell’Università di Pavia, che coprono, anche qui con delle sovrapposizioni di date, un arco di tempo che va dal 24 agosto 1942 all’8 gennaio del 1944, ed i due di “stralci” e di “appunti”, rispettivamente del 1939 e del 1944 presenti nello stesso Fondo da cui provengono queste Considerazioni), che per ampiezza, frammentarietà ed inconsistenza non riesce ad essere contenuto, gestito, linearizzato, ma necessita continuamente di aggiustamenti, ritocchi, riconsiderazioni che Marin sparpaglia qua e là nel tentativo di fare ordine.

Tutto questo è riconoscibile nella struttura stessa del volume che, prendendo a prestito il titolo di un’opera di Edmond Jabés, è, di fatto, un “libro delle interrogazioni”. Fin dalla sua apertura, infatti, questo quaderno rivela il suo carattere interrogante, il suo essere un luogo in cui Marin pone e si pone innanzitutto delle domande per testare e stimolare, “l’incertezza del [suo] pensiero”, il “dubbio sulla [sua] sufficienza a giudicare”, nella consapevolezza che più che una riposta riuscirà solo ad “illustrare le ragioni” che le hanno generate e “l’angoscia” dalla quale nascono.

Alla domanda inaugurale del volume, “Io, sono italiano?”, ne seguono molte altre di sicuro interesse che aprono e chiudono, mai definitivamente, argomentazioni di tipo sociologico, economico, politico, religioso, letterario, filosofico, militare, morale, culturale, etnologico nella quali Marin mette tutto se stesso e dove si intrecciano riferimenti già consolidati ed impressioni del momento mosse spesso da letture recenti di quotidiani, riviste o libri dai quali estrae e commenta ampie citazioni, ma anche da incontri personali e conversazioni con amici e conoscenti.

Marin discute di socialismo, comunismo, fascismo, liberalismo, di Hitler e di Mussolini, della forza e della solidità dei tedeschi, dei russi e degli slavi che premono su Trieste, ma anche della pochezza del popolo italiano giudicato ed analizzato senza sconti e fino all’intero delle pieghe più segrete, di moralità, di onestà, di eserciti e di individui, di razze e di nazioni, di filosofia e di religione, di Chiesa e di Stato, dell’uomo e di Dio, di Platone e di Dostoevskij, di Maometto e di Mazzini, della rappresentazione delle donne nei romanzi italiani e, alla fine, di se stesso, attraverso tutto questo.

Un libro, dunque, caratterizzato da una grade dinamicità interna, dovuta non solo alla diversità delle annate che lo compongono, ma soprattutto dall’affanno intellettuale ed umano di Marin, che non conosce sosta, che non si accontenta, pur avendone nostalgia, di una verità conquistata una volta per tutte, ma continua ad interrogare il mondo, “i problemi del suo tempo” con la fermezza e l’onestà, ma anche con il tremore, proprio di quell’autobiografismo “vociano” trapiantato da Firenze e fatto germogliare a Trieste a tal punto da diventare marchio della letteratura triestina e giuliana del primo Novecento. Era stato proprio Prezzolini, ricorda Scipio Slataper, a suggerire al gruppo triestino che gravitava attorno a La Voce di tenere un diario dove esibire una nudità interiore che avesse a che fare con il dire e con il dirsi, con il distruggere con il costruire, con l’essere e con il nulla.

Queste Considerazioni, ed è un ulteriore loro merito, mettono il lettore di fronte ad un modo nuovo in cui Marin ha seguito e praticato il suggerimento prezzoliniano, nuovo e diverso sia dalla breve parentesi giovanile del Libro di Gesky (Pisa-Roma, Serra Editore, 2010, a cura di Edda Serra) scritto tra il 1913 ed il 1914, sia dai due volumi dei diari fin ora pubblicati.

Ma se da una parte il libro rappresenta una nuova occasione d’indagine sulla diaristica mariniana e un ulteriore passo avanti nella ricostruzione della sua dimensione di intellettuale, dall’altra parte rappresenta anche un’occasione persa o sprecata, nel senso che rende evidente che la pubblicazione dei diari di Marin avrebbe dovuto essere affrontata in modo diverso. Senza nulla togliere al lavoro dei curatori, ciò che è mancato è stato un preciso piano editoriale a lungo termine, gestito da un gruppo di studiosi competenti, affiatati ed adeguatamente finanziati che, con una cadenza stabilita e rispettata, avessero iniziato a pubblicare, presso lo stesso editore, nella stessa collana e con lo stesso criterio critico, i vari volumi della serie principale dei diari – i numeri 1 – 132 del Fondo Marin dell’Università di Trieste – ed avessero utilizzato, sovrapponendoli e risistemandoli in ordine cronologico, i vari quaderni di “spunti”, “appunti personali”, “stralci” e “considerazioni” per coprire i vuoti della serie e per integrare le varie note che Marin ha scritto lo stesso giorno ma in quaderni diversi.

L’avventura episodica, la discesa solitaria nella “miniera” della diaristica mariniana si esaurisce nell’euforia immediata, nella visibilità di qualche giorno, alza polvere inutile, può causare cedimenti, fratture, crolli che compromettono per sempre una ricchezza che merita di essere estratta, valutata e divulgata solo nella sua interezza.