Peter Brown presents…

| | |

La presentazione del direttore della British School di Trieste a Il mercante di Venezia, che ha inaugurato la stagione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

di Sabrina Di Monte

 

Lo scorso 13 ottobre, nella Sala Bartoli del Politeama Rossetti, è ritornato il primo degli attesi appuntamenti del nuovo ciclo Peter Brown presents… durante il quale Peter Brown, direttore della British School di Trieste, ha presentato Il mercante di Venezia di Shakespeare diretto da Paolo Valerio, che ha inaugurato la stagione teatrale 2022-2023 del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia.

In questa occasione, Peter Brown ha parlato del capolavoro shakespeariano, incantando il pubblico con la sua voce carezzevole e ironica, oscillando come sempre tra il serio e il faceto, infarcendo la sua presentazione in italiano con frasi in purissimo inglese britannico e scusandosi per il suo italiano che, anche dopo cinquant’anni che abita a Trieste, riconosce assomigliare ancora a quello di Stanlio e Ollio. In prima fila ad ascoltarlo c’erano anche gli attori e il regista.

Peter Brown si è detto preoccupato e anche un po’ angosciato dal timore di non essere all’altezza della delicatezza del compito: parlare del Mercante di Venezia vuol dire affrontare temi che sono ancora molto attuali, tanto più nella città dove le leggi razziali furono promulgate, e nel giorno – era come abbiamo scritto il 13 ottobre – del discorso con cui Liliana Segre ha inaugurato al Senato la nuova legislatura. Ha ricordato anche che Il mercante di Venezia fu una delle prime opere teatrali rappresentate a Londra dopo la guerra nel 1945, in yiddish.

E poi ha chiesto, strappando al pubblico una risata: «Why Merchant of Venice? Why not Merchant of Muggia, or Barcola?».

Perché Venezia era una grande potenza marittima e mercantile, i cui ambasciatori venivano regolarmente ricevuti dalla regina Elisabetta I, che li accoglieva parlando loro in italiano.

La cultura veneziana (e italiana in generale), l’immagine internazionale di Venezia, la sua vita spettacolare, i tesori d’arte e d’architettura uniti all’unicità e alla bellezza della sua posizione le davano un fascino che si era diffuso in tutta Europa, e che era particolarmente percepito in Inghilterra, altra grande potenza politica e commerciale, cresciuta straordinariamente soprattutto dopo la sconfitta dell’Invincibile Armata spagnola, nel 1588.

La società inglese in epoca elisabettiana viene sovente descritta come giudeofobica. In realtà, Peter Brown sottolinea quanto l’intolleranza religiosa e il fondamentalismo riguardassero soprattutto i protestanti e i cattolici: i primi particolarmente crudeli e intolleranti nei confronti dei secondi, sin da quando Enrico VIII si era staccato dalla Chiesa di Roma.

Per quanto riguarda gli ebrei inglesi, questi erano stati banditi dal paese nel 1290 e non vi erano potuti tornare prima del 1656, quando ad avere il potere in Gran Bretagna erano i puritani. In Inghilterra, gli ebrei non vissero mai in quartieri separati, come furono costretti invece a fare in Italia, in particolare a Venezia, dove le porte del Ghetto la notte si chiudevano e venivano sorvegliate da guardie cristiane. Da sempre nell’immaginario collettivo, anche grazie alla commedia di Shakespeare, gli Ebrei vengono visti come usurai avidi e pieni di denaro. In realtà, essi praticavano l’usura perché la Chiesa cattolica condannava il prestito ad interesse e per questo le leggi di molti paesi in cui gli ebrei risiedevano attribuivano tale mestiere solo a loro (in Inghilterra invece, dal 1571 il prestito ad usura era permesso a tutti, con un tetto massimo del 10% di interesse).

Negli ultimi anni del Cinquecento, l’antisemitismo della società inglese fu risvegliato da un episodio che coinvolse Rodrigo Lopez, ebreo portoghese convertito e medico personale di Elisabetta I: Lopez nel 1594 fu accusato di aver attentato alla vita della regina, e per questo fu condannato a morte e giustiziato. Il mercante di Venezia fu probabilmente scritto nel 1596 e fu certamente influenzato da questo fatto senza precedenti.

Indipendentemente dalle effettive intenzioni di Shakespeare, gli antisemiti si sono spesso serviti dell’opera per sostenere le loro posizioni. Peter Brown ci ricorda che anche la Germania nazista si avvalse di Shylock per mettere in atto la sua feroce politica di discriminazione, trasmettendo Il mercante di Venezia via radio immediatamente dopo la Notte dei cristalli (9 – 10 novembre 1938).

Brown ha poi ricordato che Shakespeare non inventava niente: come una gazza ladra traeva ispirazione da opere precedenti, rielaborando le trame e facendole sue, spesso intrecciando fonti diverse.

Il genio di Shakespeare sta proprio in quel ‘in più’ che rende le sue opere uniche dal punto di vista poetico, letterario, linguistico e umano. Shakespeare scava nell’interiorità e nelle passioni dei suoi personaggi dando vita a piccoli e grandi drammi di coscienza che sono universali e potrebbero essere i nostri.

I temi del Mercante sono molti, sottolinea Peter Brown: l’intolleranza religiosa e l’antisemitismo, ma anche l’ambivalenza spesso presente in sentimenti come l’amicizia e l’amore; i matrimoni interrazziali; la critica all’eccessivo materialismo e alle speculazioni azzardate; la vendetta; la giustizia; la schiavitù.

Con la macchina del tempo di Brown, arriviamo quindi nella Trieste del 1880 quando Il mercante di Venezia venne rappresentato in lingua italiana ma osteggiato dalle autorità austriache.

Un giovane ebreo triestino difese la figura di Shylock nell’articolo con il quale esordì, il 2 dicembre 1880, nel giornale L’Indipendente: «Shakespeare ha creato in Shylock una figura colossale, ammirabile, umana». Questo giovane si chiamava Hector Aaron Schmitz, e diventerà famoso come Italo Svevo.

Peter Brown finisce la sua presentazione dicendo che «la vera cultura non fa mai muri, ma crea ponti e noi stasera abbiamo fatto questo evocando un ponte, il Ponte di Rialto». Invita poi il regista Paolo Valerio a raggiungerlo sul palco: «Se vuoi raggiungere questo matto… sai che noi a Trieste i matti li amiamo». «Non c’è problema», gli viene risposto, «io sono di Verona e di noi veronesi si dice veronesi tutti matti».

Paolo Valerio chiama Shakespeare «l’inventore dell’umano», e non può non tornare in mente il titolo del celebre saggio di Harold Bloom, Shakespeare. L’invenzione dell’uomo (Rizzoli 2003). Parla soprattutto delle sfide che pone il mettere in scena una sua opera. La prima è la traduzione. Tradurre è tradire, dice: si tratta solo di scegliere quale tradimento sia il più accettabile. In questo caso si è scelta la traduzione del grande Masolino D’Amico. Per la comprensione si è poi avvalso dell’aiuto essenziale della professoressa Laura Pelaschiar dell’Università di Trieste.

Ovviamente la scelta degli attori è stato un altro momento molto delicato. Franco Branciaroli nei panni di Shylock era stata sin da subito la prima scelta: attore capace di rendere l’unicità e la complessità di un ruolo nel quale interpreti del calibro di Laurence Olivier, Orson Wells, Al Pacino, Giorgio Albertazzi e tanti altri si sono cimentati prima di lui. Valerio sottolinea anche le doti di grande capocomico di Branciaroli, capace di entrare da subito in sinergia con tutta la compagnia.

Parlando della scenografia, il regista ha detto di aver scelto di rappresentare una Venezia che tenesse conto del fatto che questa è una commedia nera (una delle Dark Comedies di Shakespeare), in cui i personaggi sono ombrosi, moralmente opachi. Il muro in scena ha voluto evocare il Muro del Pianto, il nero della laguna ed essere anche il segno di una Venezia già un po’ fatiscente.

L’alternanza tra Venezia e l’isola fantastica di Belmonte ha posto dei problemi alla scenografia. D’altronde era proprio del teatro elisabettiano l’idea che la scenografia dovesse essere tutta negli occhi degli spettatori.

In questo contesto, la prima scelta registica è stata quella di aver voluto tutti gli attori sempre presenti sulla scena, dall’inizio alla fine. Questo perché avere tutti gli attori in scena, che diventano rumoristi o musicisti quando non direttamente coinvolti nel dialogo teatrale, porta un’energia molto intensa a tutto lo spettacolo.

Altra scelta molto importante è stata quella di non fare uscire Shylock alla fine del IV atto, così come avviene nell’opera originale. Questo per cercare di rendere evidente il dramma del personaggio che, costretto a convertirsi dopo essere stato da sempre bistrattato, emarginato e vilipeso, alla fine non sopporta una simile imposizione: «Insomma» dice il regista «ho voluto trasformarlo in un martire e restituirgli una sorta di dignità, che susciti empatia e commozione».

Nel corso del dialogo con gli attori, si è ancora di più chiarita la visione di Shylock che certo è spietato nel reclamare la libbra di carne del mercante Antonio per il debito non pagato, ma solo perché, nella sua esasperazione, non sa trovare altro modo per rispondere, vendicandosi, ai maltrattamenti che da sempre ha subito per mano dello stesso Antonio e degli altri cristiani.

Peter Brown è intervenuto sottolineando che è verosimile che il Mercante di Shakespeare contenga una critica del proto-capitalismo di Venezia e, soprattutto, della “sua” Londra. Alternando le azioni del dramma tra la prosaica Venezia e Belmonte, luogo idilliaco e favoloso, regno della leggerezza, della tranquillità e del vivere senza problemi, il drammaturgo ha voluto contrapporre alla grande città commerciale dove vige la legge del denaro, dell’interesse e dell’azzardo, un mondo parallelo dove si vive nell’agio e nell’ozio più nobili e raffinati.

Eppure, in entrambi i luoghi sono proprio il piacere e il denaro i fulcri su cui ruotano le azioni dei personaggi.

Durante il dibattito è emerso che anche oggi realtà immaginarie e parallele vengono idealizzate, basti pensare al Metaverso o al fenomeno delle Criptovalute e del miraggio di guadagni facili. Fenomeni affascinanti, luoghi incantati dove tutto è possibile o specchio per le allodole?

Grazie a quest’ora, una volta di più, ci rendiamo conto che la modernità di Shakespeare non risiede solo nella sua straordinaria capacità di sondare le pieghe e le contraddizioni dell’animo umano, ma anche nel riuscire a mostrarci il confine spesso labile tra vita e sogno, realtà e fantasia.

 

Il mercante di Venezia

foto di Simone Di Luca