Pop – ethics di Pierpaolo Marrone

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Un libro per riproporre, con esempi contemporanei, antichi problemi

di Cristina Benussi

 

Cosa può fare oggi la filosofia? Pierpaolo Marrone opta per due delle possibili risposte: fare domande su qualsiasi cosa, e affrontare i problemi non ancora risolti dalla scienza. E tra questi due opzioni si muove, allorché cerca di dare delle risposte “scientificamente” impostate per interpretare fenomeni di costume, leggere testi letterari e musicali, scoprire le logiche che permettono ai personaggi più diversi di imporsi sul mercato massmediatico, ecc. Il metodo consiste nell’applicare gli stessi procedimenti usati nel passato dai classici della filosofa morale, che Marrone insegna all’Università di Trieste, per verificare la loro tenuta sull’oggi. La filosofia insomma viene interpellata quale strumento rigoroso per riproporre, con esempi contemporanei, antichi problemi, tra i quali, ad esempio, il tema del soggetto come entità stabile o quello della libertà, di cui molti oggi parlano senza neppure pensare di doverlo prima definire nei suoi termini epistemici corretti. Le occasioni in cui l’autore si imbatte sono certamente personali, ma coincidono in buona parte con quelle di cui molti hanno fatto esperienza: una canzone dei Beatles, la lettura di un elzeviro di Magris, i social, le interviste e le dichiarazioni di personaggi noti, da Lapo Elkann a Donatella Versace. Prendiamo ad esempio Open, l’autobiografia di Andre Agassi, la cui dedizione al tennis viene posta sotto l’ordine della necessità: spinto da un padre ambizioso, e incoraggiato dalle centinaia di milioni di dollari guadagnati in premi e sponsorizzazioni, nonché dal fascino di una vita piena di belle cose e di belle donne, il campione dichiara di non poter più giocare a tennis, dal momento che corpo e mente ne sono ormai completamente condizionati. Agassi confessa che ha continuato a giocare perché non sapeva come altrimenti guadagnarsi da vivere, e dunque di non essere riuscito a trovare un’alternativa a quella gabbia dorata che però ormai odia. Quando, col tempo, perde le prime posizioni nel ranking mondiale, non può non fare di tutto per tornare nei posti alti della classifica, riuscendoci. In filosofia la libertà si definisce potestas ad opposita, la capacità di volgersi verso azioni e stati del mondo, che sono reciprocamente esclusivi. Scegli uno ed escludi l’altro, cosa che il tennista in questione non può fare, perché quella macchina che è diventata la sua mente non può fare altro che continuare a giocare. Anche Leibniz, citato in questa occasione, pensava che non si potesse scegliere, ma lo faceva all’interno di una visione in cui la Provvidenza garantiva un certo ordine, per noi prestabilito. Agassi invece rinuncia all’idea della libertà, ma in una prospettiva tragica, perché non sa trovare nessun senso in quel vortice di allenamenti feroci, tornei, vittorie e sconfitte.

E cosa c’entra Descartes con la pubblicità dell’Oreal? Molto più di quanto possiamo supporre. Il pensatore francese, ritenuto il primo pensatore in grado di fornire un quadro filosofico di riferimento per la scienza moderna, ha cercato di individuare i principi fondamentali che possono essere conosciuti con assoluta certezza. Così aveva definito la “sostanza” come quella cosa che esiste in modo tale da non aver bisogno di nient’altro per esistere. La sostanza, ciò che noi siamo, viene da lui identificata per la prima volta non come qualcosa che sta sotto, struttura di altro, ma attraverso la sua autonomia, ossia un valore. «Perché io valgo» è lo slogan notissimo dell’Oréal. Inizialmente la campagna pubblicitaria era stata adottata per il lancio di una tintura di capelli, Préferénce, che avrebbe dovuto sgominare la rivale Claroil già presente sul ricco mercato americano. Il nuovo prodotto costava di più ma il messaggio subliminale era chiaro: «non m’importa dei soldi. M’importa dei miei capelli… perché io valgo». Dunque, la bionda che nello spot faceva quell’affermazione comunicava una cosa importante: che nessuno poteva dirle che cosa era e come doveva diventare, perché spettava solo a lei farlo, dal momento che il suo essere non dipendeva da un riconoscimento, ma da un’autoaffermazione di valore, che era solo lei a poter fornire, e nessun altro. Lo spot era davvero geniale, tanto da essere stato poi esteso a tutti i prodotti della casa. Ma a questo punto sarebbe potuto intervenire Hegel, che nella sua Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito la pensava diversamente rispetto al questo-qui-ora, l’oggetto concreto che abbiamo davanti: una tazzina di caffè, la tastiera del pc, l’albero fuori dalla finestra, ecc. Ebbene per lui tutto ciò che sembra poter esistere concretamente, da solo, vive perché immerso in un mare insondabile di relazioni, le sole che lo rendono possibile. La tazza sarebbe nulla senza qualcuno che l’abbia progettata, e che abbia pensato ai macchinari necessari a modellare la ceramica e a decorarla. Per il filosofo tedesco sono le relazioni a costituire la realtà: gli oggetti sono solo un epifenomeno che fuori dalle relazioni non esisterebbero. Dunque «nulla fuori dalle relazioni», nessuna bionda senza qualcuno a cui piacciono le bionde, e dunque nessuna tintura bionda se non ci fosse quella prelazione, direbbe Hegel, che probabilmente se fosse vissuto oggi avrebbe infine comprato qualcosa, se non una tintura Oréal, almeno un integratore alimentare, o il tablet, perché tutti noi siamo inseriti nelle relazioni del consumo che alla fine tutti noi siamo, perché « noi valiamo».

È il capitalismo che illude ciascuno di noi sulla possibilità di essere liberi nelle scelte. Quando diciamo che Diego Armando Maradona è un calciatore, e che Diego Armano Maradona junior è un calciatore, non stiamo evidentemente parlando del medesimo calcio giocato. Protagora di Abdera con il suo celebre motto «l’uomo è misura di tutte le cose di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono» aveva formulato l’idea che la molteplicità debba essere il nostro destino, perché tutte le cose che sperimentiamo sono davvero diverse tra loro. Dunque non esisterebbe l’universale, ma soli i nomi: «nomina nuda tenemus» riprendeva la scolastica medievale. Il nominalismo come fase suprema del capitalismo, si potrebbe dire parafrasando Lenin, se consideriamo che il capitalismo è lo spirito capace di trasformarsi in qualunque cosa pur di generare profitto, mettendo a disposizione marketing individualizzati. Il capitalismo potrebbe essere considerato come l’unica rivoluzione permanente della quale ci è dato modo di fare esperienza. Una rivoluzione nella quale tutto è vero perché tutto è individuale, e in cui tutto è falso perché privo di qualsiasi stabilità. Il gruppo britpop dei Blur negli anni Novanta, nella loro celebre The Universal, enunciano delle teorie che sembrano porre proprio questo problema: «Yes, the future has been sold», cioè tutto, anche la nostra esistenza futura è già venduta se, immersi nell’illusione della libertà promessa dalla sovranità del consumatore, non facciamo che vivere la vita che è già stata di qualcun altro, cantando, come in un karaoke infinito, parole non solo già scritte, ma anche sbagliate: «How we like to sing a song/Although the words are wrong». E così continuiamo a far parte di un processo di alienazione diventando consumatori e illudendoci di rimanere persone, mentre siamo appendici della merce e merce noi stessi. Il consumo è la promessa di una felicità che si realizza nell’oggetto che possiedi, come se con esso tu potessi dare una svolta alla tua vita in ogni acquisto che fai: merce è il vestito che compri, il cibo, ma anche le esperienze che desideriamo e vogliamo acquistare… dall’andare in palestra a frequentare un corso di lingue e altro.

Nessun moralismo, ovviamente. Pierpaolo Marrone non si chiama fuori, e ha il coraggio di mettere a disposizione del suo lettore una serie di riflessioni che lo riguardano anche da vicino, come soggetto che non può avere un’identità stabile e che per questo comprende la sofferenza di chi non sa darsi una ragione riguardo, ad esempio, la propria personale solitudine. A volte si incontrano persone che parlano a un cellulare fingendo che dall’altra parte ci sia qualcuno che le ascolta: pensiamo siano matte, senza riflettere che un po’ di quella follia alberga in ciascuno di noi quando fissiamo lo schermo del nostro smartphone in attesa di essere chiamati da qualcuno. Certo, Pop-Ethics ci coinvolge direttamente, perché parla della condizione umana al tempo dei social e dunque proprio di noi, delle nostre paure e delle nostre illusioni.

 

Pierpaolo Marrone

Pop-Ethics. 40 occasioni

per la filosofia morale

Mimesis, Milano-Udine2016

  1. 294, Euro 26,00

 

 

Pierpaolo Marrone è nato a Trieste nel 1961.

Dopo il Liceo classico si è laureato in Filosofia all’Università della città natale. È stato docente di ruolo alle scuole superiori, dottore di ricerca in filosofia, borsista post-dottorato, ricercatore di Filosofia morale, ed è attualmente professore associato di Filosofia morale. Fa parte della redazione della rivista Filosofia politica e del comitato scientifico di Diritto & Questioni Pubbliche. Ha promosso e dirige la rivista di filosofia on line Etica & Politica / Ethics & Politics. Suoi contributi e recensioni compaiono nelle più autorevoli riviste scientifiche del suo ambito di ricerca. Ha redatto alcune voci dell’Enciclopedia Filosofica (Bompiani) e dell’Enciclopedia del pensiero politico (Laterza).

Volumi pubblicati:

Studi sul pensiero di Paul Ricoeur, Cluet, Trieste 1986; Consenso tacito, La Rosa Editore, Torino 1996; L’io delle passioni. Indagini su Hume, Edizioni Goliardiche, Trieste 2000; Nomi comuni. Esplorazioni di filosofia morale, Mimesis, Milano 2007; Un’introduzione alle teorie della giustizia, ivi 2007;; Etica, utilità, contratto, Mimesis, Milano 2011; Pop-ethics- 40 occasioni per la filosofia morale, ivi, 2016.