Qualche ora con Ugo Nespolo

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Diverse vite, diverse attività riunite in un luogo e, anzi, in un uomo solo, artista, scrittore, cineasta, pubblicitario, designer e tanto altro ancora

di Alberto Brambilla

 

Era da anni che non tornavo a Torino. La ragione, diciamo, ‘sentimentale’ del ritorno era il desiderio di rituffarmi nelle memorie deamicisiane della città. Avendo sul telaio un corposo libro dedicato al “capitan cortese”, mi sembrava giusto e doveroso rendergli omaggio e insieme ricavarne energia e  ispirazione per la nuova impresa. Uscito dallo smisurato vascello di acciaio, vetro e cemento della Stazione di Porta Susa, ho percorso corso Bolzano e poi, giunto  a Piazza San Martino (oggi Piazza 18 dicembre) a Palazzo Perini, ho cercato e trovato con commozione al numero 1 l’elegante casa borghese dove visse (forse al secondo piano) per anni Edmondo, licenziando qui, era il 1886, il mitico Cuore. Come avverte un’altra piccola targa, in quello stesso edificio dimorò nel 1897 Emilio Salgari, quasi a significare una sorta di ideale staffetta tra due poli opposti del medesimo impegno pedagogico (penso coi brividi che in quel medesimo lasso di tempo percorse le vie torinesi un profeta inascoltato come Nietzsche). Cosa volere di più?

Sentimentalismi a parte, il vero scopo di quella giornata era incontrare Ugo Nespolo che ha costruito la sua Factory creativa a non poca distanza dalla casa deamicisiana. Non conoscevo di persona l’uomo, con cui avevo però scambiato delle mail e alcune telefonate molto promettenti. Come spesso mi capita, non avevo un programma preciso, una scaletta prefissata. L’esperienza mi ha insegnato che quasi sempre è meglio lasciare al caso, che spesso è più generoso di noi stessi. Come tutti, avevo un’idea abbastanza sommaria dell’artista, di cui tuttavia sapevo riconoscere lo stile inconfondibile, applicato a vari settori artistici, industriali e commerciali. Bastava del resto osservare alcuni immagini presenti alla stazione di Porta Susa per comprendere che già lì Nespolo era diffusamente presente, nei pannelli della metropolitana o nelle insegne collocate alla partenza degli autobus. Come dire che la città di Torino aveva accolto con affetto e riconoscenza (e tuttora continua a farlo) uno dei suoi figli più prestigiosi e civilmente impegnati. È impossibile fissare in poche righe il percorso artistico di Nespolo, che sin dagli anni Sessanta ha attraversato da protagonista le diverse esperienze d’avanguardia, mantenendo tuttavia una sua autonomia di pensiero e di giudizio critico.

Devo confessare che, paradossalmente, quello che allora mi attraeva era il Nespolo intellettuale e in particolare lo scrittore. Ero fresco della lettura di Per non morire d’arte (cfr. Il Ponte rosso n. 69, maggio 2021) che mi aveva impressionato per la qualità stilistica e per la quantità di conoscenze che il saggio proponeva. Mi sembrava strano, lo confesso, che un artista avesse tali capacità di scrittura e di riflessione. Mi sono del tutto ricreduto quando ho potuto leggere gli interventi che Nespolo offre mensilmente ai lettori de Il Foglio, in parte raccolti nel denso volume intitolato Maledette belle arti (Skira 2019). Tali caratteristiche mi incuriosivano e aumentavano il desiderio di incontrare Ugo nella sua tana. Quando sono entrato nella palazzina di via Susa, ho immediatamente intuito di trovarmi all’interno di un Regno favoloso, da cui scaturiva un’energia positiva. La presenza dell’artista era marcata ovunque, già nel portone d’ingresso, e poi, come avrei avuto modo di ammirare, nei mobili, nelle suppellettili; e si allargava di spazio in spazio (senza tuttavia l’horror vacui di altri ateliers che avevo visitato) coinvolgendo oggetti d’ogni tipo che direttamente ci avvicinavano al pittore, all’incisore, allo scultore e ad altro ancora.

Dopo esserci ‘annusati’ vicendevolmente, il padrone di casa – vero folletto patafisico dotato di ubiquità – mi mostrava orgoglioso le varie stanze dell’immenso edificio, che comprendeva diversi studi (dove erano al lavoro alcuni collaboratori), locali adibiti a incontri, sale espositive, piccoli musei (come quello degli apparecchi cinematografici), un salone per conferenze e persino una saletta per proiezioni, a ricordare che Nespolo è stato uno dei maestri del cinema sperimentale. Numerose sono le pareti interamente ricoperte di volumi e in alcune vetrine fanno bella mostra di sé rarissimi libri d’artista (in questo caso soprattutto di futuristi russi), che sono la mia passione. In un altro ambiente, su mia esplicita richiesta, Ugo mi mostra con gli occhi lucidi uno dei suoi tesori, il libro Sapho, composto dalla strana coppia Emilio Villa e Alberto Burri. Molte sarebbero le ricchezze da esaminare, ma non c’è il tempo, sarà per una prossima occasione. Così almeno ci promettiamo.

Riesco tuttavia a scambiare qualche battuta su un tema che sto da qualche anno approfondendo, ossia l’illustrazione (o, se volete la traduzione) di classici letterari da parte degli artisti. Nespolo naturalmente si era provato anche in questo campo, ad esempio con interventi sull’Apocalisse e  su Pinocchio. A me premeva sapere qualcosa sul suo modo di leggere, anche fisicamente, i testi; per farmi capire al volo, lui mi ha mostrato un volume che stava studiando, fitto di annotazioni anche a penna e di vari segni di attenzione. Non aveva il culto del libro intonso, piuttosto lo viveva come uno strumento di conoscenza, un limone da spremere per trarne succo. Il mio specifico interesse si concentrava sulla sua opera intorno a Cuore, l’opera pensata e concretamente scritta a poche centinaia di metri da dove ci trovavamo. Per l’Istituto geografico De Agostini nel 2008 aveva confezionato un’edizione speciale del capolavoro di Edmondo, per celebrare un secolo dalla scomparsa dello scrittore. Il lavoro di Nespolo si era concretizzato nella copertina e in quattro tavole inserite in corrispondenza di quattro racconti mensili. Si trattava di un’interpretazione figurativa e tuttavia piena di invenzioni stilistiche che in qualche modo andavano oltre il flusso narrativo del libro. E poi c’era la scelta di utilizzare colori vivissimi per un libro che molti considerano piuttosto grigio, avvolto in una nube di dovere e di dolore. Avrei voluto esaminare i disegni preparatori, ma – ipse dixit – forse non si sono conservati, oppure giacciono, insieme ai disegni originari, nel suo ricchissimo Archivio. Non c’è il tempo per una ricerca. Dovrò per forza ritornare chez Nespolo, ça va sans dire.

Forse perché colpito da qualche mia precedente domanda, l’artista ci teneva a mostrarmi il suo cabinet de travail, collocato al piano superiore, pochi metri quadrati dove si ritira per studiare e scrivere. È una sorta di ascesi zen a cui si sottopone, non senza lunghe sofferenze prima del parto. Si va a pranzo, ma il dialogo non ha mai una pausa. Per strada due o tre persone salutano il ‘maestro’. A tavola ci serve una gentile cameriera giapponese, molto carina. Nespolo intreccia con lei una discussione su alcuni luoghi specifici del Giappone che ha avuto modo di visitare in occasione di qualche mostra. Io ascolto e non so che dire. Da Torino a Tokio, la strada è breve per chi ha esposto in mezzo mondo. Torniamo in studio per il caffè. Ascolterei volentieri e all’infinito il mio ospite che, lo si comprende, aveva (ed ha) a sua volta una toccante nostalgia per le lunghe animate discussioni d’antan, quando ancora gli artisti e in genere gli intellettuali (più volte nel corso della chiacchierata mi parlerà con affetto e ammirazione di Edoardo Sanguineti) amavano stare insieme per confrontarsi e, al limite, scontrarsi. Più di tutti è dolorosa l’assenza di Enrico Baj, padre amico e maestro, nonché compagno di avventura e di bisboccia (cfr. al riguardo il prezioso volumetto scritto a quattro mani Enrico Baj Nespolo. Ovvero il pretesto del funzionale (Skira, 2020). E ugualmente gli manca il respiro lungo e potente del panorama internazionale a cui è da sempre abituato, rinforzato da frequenti viaggi e lunghi soggiorni all’estero. Qui sembra soffocare in un mondo globalizzato e stolto che fatica a comprendere, come non manca ogni volta di sottolineare con la penna velenosa. Ciononostante non sta a guardare inerme e vorrebbe ancora salvare il mondo, cercare la bellezza, magari schermata da una risata dadaista.

Diverse vite, diverse attività riunite in un luogo e, anzi, in un uomo solo, artista, scrittore, cineasta, pubblicitario, designer e tanto altro ancora, nel segno di un eclettismo permanente che è una delle massime perseguite dall’artifex. Quella che ho ammirato è in effetti una fabbrica di idee che si traducono in opere ed in oggetti; mi ha stupito la serenità dei dipendenti che ho incontrato, così come l’estrema pulizia dei luoghi. La star rimane però sempre lui, Ugo il folletto e intorno ruotano i pianeti in perfetta armonia (e, aggiungerei, letizia). Devo prendere un treno per Chambery e anche lui ha degli impegni di lavoro. Ci si saluta con un abbraccio e la promessa di continuare il nostro dialogo.

Mentre passeggio per il corso Inghilterra, cerco mentalmente di fissare alcuni punti fermi per costruire un ritratto affidabile dell’artista e dell’intellettuale. Sarebbe come chiudere Nespolo in qualche gabbia: la pantera è però troppo irrequieta e sfuggente. Tentiamo con qualche definizione, a scopo didattico per chi ci legge. È sin troppo semplice appioppargli l’etichetta di neofuturista, sulla scia dell’amato Fortunato Depero (di cui Ugo possiede la preziosa scrivania ed altri cimeli), capace di imporre il suo stile a ogni cosa che prendeva tra le mani. Allo stesso modo si può forse criticare la disponibilità di Nespolo a progettare e realizzare ogni possibile oggetto, dalla carrozzeria di un’automobile di lusso a un tappeto o a una tazzina di caffè. È, se vogliamo, il prezzo per esercitare altrove un’anarchia creativa assoluta senza piegarsi alle leggi del Mercato. E comunque l’importante è mantenere la propria dignità, senza mai chinarsi, coltivando la somma indifferenza. E poi, per fortuna c’è sopra tutto la grande magica sovrana, l’Ironia, eletta musa patafisica.

Di fronte a Nespolo, lo confesso, sono rimasto spiazzato e non a caso ho impiegato più giorni per stendere questa breve cronaca di poche ore passate in sua compagnia. Come accadeva per gli eteronimi di Pessoa, ho incontrato una moltitudine di personaggi che si riuniscono in un solo individuo, Ugo il Faraone. Capisco come mai il puzzle sia una specie di cifra distintiva del suo lavoro. è l’unità frammentata o, se si vuole, viceversa. Ma, si badi bene, tutto è gioco, ludus. È davvero giunto il tempo di chiudere come chiede miagolando il mio fedele Poldo. Salvo il testo e chiudo il PC. Dalla finestra scende una strana luce verdastra. Siamo in attesa della pioggia che tutto cancella. Forse.

 

 

Ugo Nespolo nel suo studio