Quale cambiamento?

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Nella stucchevole rincorsa a formulazioni in grado di indorare le pillole ammannite a profusione agli elettori, e non da oggi, si è fatto – e si continua a fare – ricorso a pseudo definizioni apologetiche a priori di provvedimenti o orientamenti del governo, nel tentativo di escludere o almeno limitare assai l’esercizio della critica da parte di chi potrebbe avere qualcosa da obiettare.

Emblematico il caso della “buona scuola”, di renziana memoria, ma anche dopo che si sono capovolte le cose in Parlamento e a Palazzo Chigi non si va tanto per il sottile, basti pensare al “decreto dignità”, denominazione che, in anticipo sul primo flop del provvedimento, enfatizzava una nuova stagione di lotta alla precarietà del lavoro che in effetti nessuno ha visto, almeno finora. Quello che si è autodefinito “Governo del cambiamento” pare ripetere pedissequamente i medesimi sentieri tracciati dagli esecutivi che lo hanno preceduto. Dov’è infatti il cambiamento nel linguaggio propagandistico utilizzato nei due esempi citati più sopra?

C’è una misura ricorrente e particolarmente odiosa ai contribuenti onesti, mentre è altrettanto alettante per chi sta al governo e intende racimolare qualche soldo secondo la norma non scritta del “pochi, maledetti e subito”. Si chiama condono fiscale, e ogni volta che lo si ripropone si avverte che quello sarà l’ultimo. Come farà allora il “Governo del cambiamento” a riproporre una misura così logora e indigesta a una vasta parte del suo elettorato? La risposta è semplice; basta cambiargli nome, indorare un’altra volta la pillola affidando a una denominazione accattivante il vecchio ingiusto arnese, ed ecco confezionata la “Pace fiscale”! Bella trovata, un eufemismo di rara efficacia, ma, ancora una volta, dov’è qui il cambiamento?

Ricordando la recriminazione secondo la quale da Monti in poi i governi che si sono succeduti non avevano legittimazione in quanto non supportati da un voto popolare, può sembrare balzana l’idea di affidare la guida del Governo – almeno nominalmente – all’avvocato Giuseppe Conte, che alle elezioni non si era nemmeno candidato. Dove sta in questa scelta il cambiamento?

C’è forse del cambiamento per quel che riguarda il rapporto tra Governo e Parlamento? Parrebbe di no, ricordando le tumultuose sedute di Camera e Senato allorché a nome del Governo il ministro a ciò delegato poneva la questione di fiducia, e constatando oggi come, anche in assenza di un disegno ostruzionistico che ancora non si è visto, si sia ripetutamente reiterato tale comportamento, lesivo dei diritti delle opposizioni, tale da impedire nei fatti il diritto di critica. Nel ricorso reiterato alla fiducia parlamentare c’è forse cambiamento?

Nel corso della precedente legislatura i due contraenti del Contratto per il governo del cambiamento (sic!) si sono fieramente opposti a misure giudicate clientelari del Governo presieduto da Matteo Renzi, tra le quali il bonus da 80 euro per dodici mensilità per i lavoratori dipendenti, che però è rimasto inalterato, a meno di sorprese dell’ultima ora in fase di approvazione alla legge di Bilancio. E qui, dov’è il cambiamento?

Vi ricordate quando imprecavano contro il malvezzo di inserire in provvedimenti di legge materie improprie che non avevano alcuna attinenza con il titolo delle leggi delle quali il governo richiede l’approvazione? Ora elargiscono un condono edilizio tombale per Ischia inserendolo nel decreto legge contenente disposizioni urgenti per la città di Genova, decreto necessario ed urgente dopo il tragico crollo del ponte Morandi. E qui, dov’è il cambiamento?

Eppure siamo tutti convinti che di un autentico cambiamento il Paese avrebbe davvero bisogno, ma da quanto si profila in questo primo semestre a conduzione gialloverde, dalla totale assenza di una cultura civica rinnovata e rispettosa dell’elettorato, molti sono indotti a ritenere che dovremo aspettare un altro giro di giostra. O magari più d’uno.